
(AGENPARL) – Roma, 27 febbraio 2020 – Un vecchio proverbio cinese recita “quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono dei ripari ed altri costruiscono dei mulini a vento” ed è questa la grande sfida che deve affrontare l’Italia con l’impatto del Coronavirus sulla nostra economia.
Infatti, dopo i casi di contagio da Coronavirus nel nord Italia si fanno già i conti sul possibile impatto al ribasso sul nostro PIL.
Il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, è intervenuto il 20 novembre 2019 alla Camera dei Deputati per l’informativa sulle crisi aziendali esordendo “non posso dire che sia un piacere venire a riferire su situazioni di crisi aziendali e in generale sui tavoli di crisi al Ministero. Credo che nessun Ministro dello Sviluppo economico sia contento quando si apre un tavolo. Negli anni della crisi, 2008 e 2009, il numero di imprese cessate ha sfiorato le 630 mila unità, anche se negli ultimi anni il tasso di mortalità delle imprese continua il trend di progressiva riduzione avviato a partire dal 2014”.
Il Ministro Patuanelli ha posto l’accento sul fatto di alcuni imprenditori che non sono riusciti, e non riescono ancora oggi, a superare le difficoltà finanziarie e, in silenzio e nella indifferenza generale, sono stati costretti a cessare l’attività imprenditoriale o, nei casi peggiori, hanno pubblicamente riconosciuto il temuto fallimento.
“Parimenti – ha proseguito il Ministro – sento il peso delle vite di quei lavoratori che a causa della crisi hanno perso il posto: non è facile gestire situazioni di questo genere perché significa dover fare quotidianamente i conti con l’esistenza di tanti cittadini e delle loro famiglie”.
A fronte della crisi economica a cui si aggiunge quella del Coronavirus, serve una politica responsabile per salvaguardare il patrimonio produttivo di tutte le imprese e che sia concentrata a favorire la prosecuzione dell’attività e adottare ogni misura necessaria per salvaguardare i livelli occupazionali.
Non servono i “Festival delle chiacchiere tipicamente italici” ma soluzioni che favoriscano il superamento di criticità economiche, finanziarie, organizzative e occupazionali atte a favorire processi di reindustrializzazione.
La prova provata della crisi profonda in atto nel nostro Paese sono il numero di vertenze (tavoli pendenti al Mise) che è pari a 149 ad oggi, in linea, purtroppo, con quello degli anni ultimi 5 anni”.
La cosa sbalorditiva è che la maggior parte dei tavoli sono attivi da parecchi anni: in taluni casi anche da più di 7 anni.
La conferma viene dallo stesso Ministro Patuanelli che nello specifico ha riferito che di “questi 149 tavoli di crisi 102, pari al 68,5%, sono attivi da più di tre anni e 28 sono aperti da più di 7 anni”.
“E’ evidente che c’è una narrazione – ha dichiarato Patuanelli – per cui sono esplosi improvvisamente 149 tavoli di crisi, in realtà il dato medio degli ultimi 5-6 anni è di 151. Quindi mi sembra che, purtroppo, la gestione dei tavoli di crisi al Ministero dello Sviluppo economico denota questa costanza nel numero dei tavoli di crisi che accedono al Ministero non secondo una procedura ma perché vi è qualche soggetto tra le forze sociali, quindi i sindacati, gli enti locali o l’azienda stessa che chiedono un intervento del MISE per agevolare un processo di reindustrializzazione”.
“Oltre ai i tavoli di crisi aperti, nel periodo tra il giugno 2018 e il giugno 2019 presso il Ministero dello Sviluppo economico, quindi oltre al singolo tavolo della prima riunione, si sono effettuati circa 1.320 tra incontri preliminari, ristrette, plenarie inerenti varie situazioni di difficoltà di aziende e di tavoli di crisi. Quindi non tutte le riunioni che si fanno al MISE diventano un tavolo di crisi. Qualche volta anche con una riunione ristretta o con un singolo incontro preliminare si riesce a trovare una soluzione per la singola azienda e per il singolo caso”.
Di fronte al rischio stallo dell’attività economia del sistema Paese servono azioni concrete quali ad esempio l’introduzione di misure in grado di favorire l’attrazione di investimenti esteri mirati ai territori e alle imprese in crisi.
Occorrono, quindi, azioni di salvaguardia del patrimonio produttivo ed occupazionale del sistema economico italiano e non quello di mantenere tavoli aperti al Mise da più di sette anni, con tanto di commissari straordinari che di fatto hanno “espropriato” a livello governativo i proprietari delle aziende che le hanno acquistare per rilanciarle.
Alla luce delle gravi crisi aziendali occorre quindi individuare soluzioni concrete. percorribili e sostenibili che nulla hanno a che fare con tavoli, tavolini e sedie, nè tantomeno quello di proseguire sulla strada dei circa 1320 incontri preliminari, riunioni ristrette e plenarie al Mise che non approdano a nulla, non risolvono i problemi e che hanno come unica prospettiva futura quella di chiudere e licenziare i dipendenti, scaricando i costi sulla collettività.
Servono norme in grado di attrarre gli investimenti in Italia nel settore delle aziende in crisi.
E’ l’Italietta, quella dei ritardi cronici, delle lentezze burocratiche, dei falsi successi, della crisi economica decennale, della mancanza di riforme, della ricerca di nuove maggioranze, del divario tra nascite e decessi.
Fa indignare vedere un Paese che si è calato le braghe e si sta lentamente arrendendo, facendo precipitare nel ridicolo l’immagine più di quanto già ci sia a livello internazionale.
Oggi l’aspetto chiave della competizione tra Nazioni non è la divisione per cortina di ferro e quindi una divisione per blocchi ideologici ma una questione prettamente economica dovuta all’aggrovigliamento nei mercati globali e nelle catene di approvvigionamento.
E il Coronavirus docet.
Servono idee innovative che si possono avere solo con la preparazione, cioè attraverso una scuola che prepari a queste nuove sfide. Prima chi aveva la bomba atomica aveva un vantaggio essenziale. Oggi non è più così.
La vera sfida è sulle idee e sulle prospettive di un Paese che continuamente pensa al passato e non al futuro. Una Nazione ferma a quella descritta da Dante nel Purgatorio «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!»