
(AGENPARL) – mer 05 giugno 2024 Per lo sviluppo sostenibile del mondo digitale servono cultura della legalità e
vera etica nella gestione dei diritti
Il 37% delle piattaforme online ricorre a pratiche ingannevoli per persuadere gli utenti a fare scelte
non convenienti o rinunciare alla loro privacy. Sanzione da oltre 7 milioni di euro ad Amazon per uso
di dark pattern. Bernardi: «Le Big Tech non hanno dato un buon esempio di etica». Rossetti:
«Necessario evitare la formazione di paradisi della privacy». Casaccino: «In molte imprese manca
ancora la cultura della legalità per proteggere tutti gli individui, soprattutto i giovani». Maranini: «Non
basta elencare i diritti dell’interessato per rispettare formalmente le prescrizioni di legge». L’etica e
la responsabilità civile delle imprese al centro del dibattito venerdì al Privacy Day Forum
Arezzo, 5 giugno 2024 – Secondo un’indagine della Commissione UE il 37% dei siti di shopping online usa
pratiche ingannevoli per raggirare gli utenti, e basta navigare su qualche sito di shopping o sui social per rendersi
conto come le piattaforme online ricorrano spesso a espedienti e trabocchetti per persuadere gli utenti a fare acquisti
con modalità non realmente vantaggiose per loro, o vengano indotti a rinunciare alla loro privacy con “dark pattern”
studiati ad arte per ottenere consensi per usare i dati a loro proprio tornaconto.
E di recente certe tattiche ingannevoli sono costate care anche ad Amazon, che è stata sanzionata per oltre 7
milioni di euro dall’autorità antitrust polacca per avere inserito informazioni importanti sulle condizioni di vendita
riportandole scritte in grigio su sfondo bianco nella parte inferiore dell’ultimo passaggio della procedura d’acquisto,
e quindi difficilmente percettibile anche per i clienti più attenti.
Ma spesso le multe inflitte alle Big Tech non hanno sortito l’effetto dissuasivo che si proporrebbe l’art. 83 del GDPR,
come fa notare Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy:
«Quando fu introdotto il Regolamento europeo, le sanzioni fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato dei
trasgressori sembravano spaventare le aziende, e in questi anni buona parte dei circa 5 miliardi di euro delle multe
sono state inflitte proprio ai colossi del web, che però finora non hanno dato un buon esempio di etica, limitandosi
a pagare sistematicamente dazio per poi continuare nel loro business basato sui dati, come quando si pesca un
cartoncino degli ‘imprevisti’ nel gioco del Monopoly, dove per uscire di prigione basta pagare una modesta cauzione,
ma con la privacy degli utenti non si può scherzare».
E anche se il GDPR rappresenta un’idea tutta europea di integrazione tra mercato e diritti, nei 6 anni da quando è
stato introdotto ha dimostrato di avere però qualche limite che finisce per avvantaggiare i colossi del web, come
osserva Stefano Rossetti, avvocato esperto di protezione dei dati dell’organizzazione non profit noyb.eu (European
Center for Digital Rights):
«Da una parte il regolamento europeo ammette e favorisce lo sviluppo economico, dall’altra rimane vigile sui rischi
che uno sviluppo senza freni può avere sui diritti fondamentali dell’individuo. C’è solo un ‘piccolo’ problema: il GDPR
trova applicazione nei confronti di piccole, medie e anche grandi imprese nazionali, ma non fa lo stesso verso i
giganti della tecnologia, il cui trattamento dovrebbe viceversa essere sottoposto a più attento scrutinio da parte di
alcune autorità straniere. Un serio problema, non solo per l’individuo, ma anche per il mercato unico e la
competitività delle aziende europee. Proprio come avveniva per i paradisi fiscali, occorre evitare la formazione di
paradisi della privacy».
Sebbene il mondo istituzionale e la comunità degli addetti ai lavori sollevino a gran voce la necessità di regole che
garantiscano più equità nei confronti dell’intero mondo imprenditoriale e norme etiche per creare uno sviluppo
sostenibile della nuova civiltà digitale, molte aziende sono però attualmente ben lontane anche dal rispetto delle
stesse prescrizioni del GDPR e delle indicazioni fornite dal Garante, come spiega l’Avv. Paola Casaccino, partner
compliance & data protection di Aria Legal & Compliance:
«Con l’avvento delle tecnologie digitali, la protezione dei dati personali degli utenti è diventata sempre più
vulnerabile, e in molte imprese manca ancora la cultura della legalità che possa proteggere tutti gli individui,