
(AGENPARL) – Roma, 07 settembre 2022 – I vertici dell’UE stanno lavorando alacremente in questi giorni per poter trovare una soluzione a una crisi energetica che sta peggiorando di giorno in giorno e che sta creando non pochi problemi in alcuni paesi membri.
È improbabile che il modo in cui si stanno avvicinando alla soluzione produca risultati duraturi.
L’ex segretario all’energia di Trump ha affermato che gli sforzi dell’UE per controllare i costi energetici sono come uno schema Ponzi.
«Una delle leve politiche più semplici, se vuoi, è che puoi far passare una bolletta, appropriarsi di denaro e dare denaro ai cittadini per pagare le bollette dell’elettricità», ha detto Brouillette a Hadley Gamble della CNBC a margine della conferenza Gastech a Milano lunedì.
Ha continuato ad essere d’accordo quando gli è stato chiesto se l’approccio potesse essere paragonato a uno schema Ponzi. Eppure, sembra che le tasse straordinarie e i sostegni energetici siano solo l’inizio e il prodotto finale potrebbe rivelarsi molto peggiore di uno schema Ponzi.
Il Financial Times ha riferito questa settimana che l’UE sta cercando poteri ampi sulle imprese negli stati membri che consentirebbero sostanzialmente a Bruxelles di dire a queste società cosa produrre, quanto e a chi venderlo in tempi di crisi. La definizione di crisi sarebbe prerogativa della stessa Ue.
Una decisione che sta facendo scalpore tra le imprese che vedrebbero un tale intervento come una limitazione del potere decisionale degli imprenditori.
Un provvedimento che potrebbe obbligare gli stati membri a ignorare il diritto contrattuale, costringere le aziende a divulgare informazioni commercialmente sensibili e spartire i loro prodotti immagazzinati o imporre la loro produzione come decide la commissione.
Un altro rapporto , di Bloomberg, si è concentrato sulle misure di intervento diretto sul mercato dell’energia su cui Bruxelles sta riflettendo.
Il rapporto citava diversi salvataggi a cui i governi di Germania, Svezia e Finlandia hanno dovuto ricorrere per evitare che i servizi pubblici andassero in crisi a causa della crisi dei prezzi come eventi che hanno spinto il blocco all’azione.
L’azione che sarà discussa in una riunione di venerdì dei ministri dell’Energia consiste nel limitare le importazioni russe di gas, limitare temporaneamente il prezzo del gas utilizzato nella produzione di elettricità e sospendere il commercio di derivati.
Tutti provvedimenti studiati nel tentativo di aumentare la liquidità sul mercato elettrico.
I prezzi del gas naturale in Europa sono aumentati di circa il 400% nell’ultimo anno.
La crisi è iniziata in realtà questa volta l’anno scorso e gli eventi in Ucraina di quest’anno sono serviti solo ad aggravare gravemente una situazione già brutta.
Le soluzioni sono complicate e complesse.
Per Dan Brouillette, presidente di Sempra Infrastructure, attiva nel business del GNL, la soluzione è semplice: l’Europa deve solo investire in una maggiore dipendenza da petrolio e gas dagli Stati Uniti Per l’Europa stessa, sostituire una dipendenza con un’altra non è certo la strada migliore di azione, anche se le relazioni politiche con gli Stati Uniti sono molto diverse dalle relazioni con la Russia.
Tuttavia, anche l’energia pulita autoprodotta, come l’ha definita la presidente della CE Ursula von der Leyen la scorsa settimana, non è una soluzione, per ragioni puramente fisiche. Non ci sono abbastanza materie prime nel mondo per rendere l’Europa dipendente al 100% da vento e solare. E questo senza menzionare la dipendenza globale dalle terre rare e dalla capacità di elaborazione del litio della Cina.
L’Europa ha un inverno difficile da affrontare. Poiché i tentativi di far fronte diventano sempre più disperati prima che inizino ad arrivare le bollette della prima stagione di riscaldamento, questa disperazione sta guidando verso una direzione sempre più interventista.
Questo ha già spinto alcuni ad accusare l’UE di essere autoritaria e sui social sono comparsi confronti con l’Unione Sovietica.
Le persone stanno già protestando contro le politiche energetiche dei paesi europei e ci saranno altre proteste con l’avanzare dell’autunno verso l’inverno.
Purtroppo, oltre all’intervento diretto sui mercati energetici e allo «schema Ponzi» per le famiglie, i governi europei non hanno molte carte da giocare.
Negli Stati Uniti 20 milioni di famiglie è in ritardo nel pagamento delle bollette dell’energia poiché i prezzi dell’elettricità aumentano e l’inflazione consuma i redditi, ha riferito Bloomberg , citando i dati della National Energy Assistance Directors Association (NEADA), che ha affermato che questo è il peggiore crisi che abbia mai documentato.
Nel frattempo ci sono i magazzini pieni perché i consumatori non li acquistavano a causa di problemi economici.
Secondo un recente sondaggio, fino a sei aziende manifatturiere britanniche su 10 sono a rischio di chiusura, poiché l’aumento vertiginoso delle bollette energetiche e la più ampia crisi del costo della vita hanno i proprietari in difficoltà.
Non occorrono grandi economisti come Adam Smith che individua l’origine della ricchezza delle nazioni non nella disponibilità di metalli preziosi ma nella produzione agricola e manifatturiera.
E’ chiaro che un paese non è ricco perché dispone di tanto oro ma è ricco perché produce grano e manufatti. Sono le quantità di merci prodotte e disponibili per il consumo – cioè il prodotto interno lordo (PIL)– la vera causa e la vera misura del benessere economico. Ne segue che una nazione può accrescere la sua ricchezza solo se produce quantitativi maggiori di beni ovvero solo se le sue attività produttive diventano più efficienti.
Ma quali sono i fattori che stimolano l’efficienza produttiva? La risposta di Smith a questa domanda è precisa e intelligente: oltre all’impiego di mezzi di produzione che consentono di risparmiare lavoro, il fattore che più di tutti rende la produzione efficiente è la specializzazione produttiva. La specializzazione produttiva genera efficienza a livelli diversi, al livello dei singoli individui così come al livello delle imprese e di intere nazioni.
Gli analisti prevedono ora che l’Eurozona, come minimo, si stia dirigendo verso una recessione economica e – giustamente – la Germania sta prendendo gli opportuni provvedimenti.
E quale è la risposta italiana alla probabile recessione economica?
La risposta finora è nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, nei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi «spintaneamente» dall’Europa, dal numero delle aziende che i suddetti hanno acquistato dallo Stato (Gs, Telecom, Ilva, Alitalia, ecc) per lo più a prezzo di saldo e che sotto la loro «illuminata» guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo di tasca propria.
Per questo motivo va rimesso in campo uno strumento formidabile per il nostro sistema economico che è quello dell’IRI.
Non si può continuare a proseguire verso un futuro incerto e parolaio in materia di piani industriali e di rilancio delle aziende specie quelle in crisi.
Al MISE ci sono ben 150 tavoli aperti che – con molta probabilità – non approderanno a nulla in quanto non ci saranno risposte concrete.
Altro aspetto è che fine faranno gli imprenditori che dichiareranno fallimento. Saranno denunciati per bancarotta?
Il Governo e il Mise dovrebbero riflettere seriamente e correre ai ripari perché in questa logica del «apriamo i tavoli, prendiamo il caffè e ci vediamo alla prossima riunione» non andiamo da nessuna parte. L’unica strada è quella della nazionalizzazione delle imprese in crisi.
E’ chiaro che in questa situazione dell’ormai noto «Festival delle chiacchiere» gli investitori e gli imprenditori continuano a scappare dall’Italia perché non ci sono le condizioni neanche normative per investire in Italia e la sola prospettiva è quella di chiudere le aziende.
Impensabile che in Italia l’unica soluzione è quella di aprire gli ammortizzatori sociali per le aziende in crisi anzichè dargli prospettive di poter lavorare facendole uscire dalla crisi salvaguardando i livelli occupazionali.
Ma ci vuole tanto a capirlo?