(AGENPARL) - Roma, 19 Dicembre 2025Dal 1990 a oggi l’Italia ha compiuto un’impresa titanica: chiudere circa 1.500 caserme e riuscire, in oltre 35 anni, a non decidere cosa farne.
Un risultato notevole, quasi da Guinness dei Primati, confermato dai dati 2015 dell’Agenzia del Demanio.
Tutto nasce dalla sospensione della leva obbligatoria. Sospensione, attenzione, non abolizione: perché in Italia niente muore mai davvero, al massimo va in letargo normativo. La leva è lì, ibernata, pronta a essere risvegliata con decreto del Presidente della Repubblica, come un mammut giuridico scongelato all’occorrenza.
Nel frattempo le caserme—quelle vere—restano. E che caserme!
Strutture ampie, robuste, già pronte all’uso: camerate (spesso riscaldate!), servizi igienici, docce, mense, palestre, spazi ricreativi, parcheggi interni. Un lusso che milioni di giovani italiani hanno conosciuto controvoglia, ma conosciuto bene.
Oggi queste strutture sono affidate a un elegante giro dell’oca istituzionale: Agenzia del Demanio, Ministero della Difesa, Cassa Depositi e Prestiti, Comuni, privati. Nessuno perde mai il turno, ma nessuno arriva mai al traguardo.
Il risultato? Città costellate di enormi spazi vuoti, fatiscenti, chiusi, recintati e dimenticati, soprattutto nel Nord-Est, dove il cemento militare cresce spontaneo come l’edera.
Nel frattempo, nelle carceri italiane, si vive un’altra realtà.
Un po’ meno ariosa.
Oltre 63.000 detenuti stipati in 190 istituti di pena, progettati per circa 46.000 posti. Celle triple, spazi ristretti, condizioni che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo guarda con la stessa espressione con cui si guarda un frigorifero rotto pieno di pesce d’agosto.
E qui arriva l’idea rivoluzionaria, quasi sovversiva:
perché non usare parte delle caserme dismesse per risolvere il sovraffollamento carcerario?
Idea pericolosissima. Talmente logica da risultare sospetta.
Certo, oggi si parla di “leva di nuova generazione”, volontaria, moderna, forse pure con Wi-Fi. Ma anche in questo caso: accasermare dove?
Nelle caserme chiuse, naturalmente. Quelle stesse che potrebbero intanto ospitare detenuti, studenti, famiglie senza casa, clochard, centri di accoglienza, scuole, residenze universitarie. Un’eresia urbanistica!
Eppure i fondi del PNRR ci sarebbero. Le strutture pure. Le emergenze anche.
Quello che manca—piccolo dettaglio—è la capacità di far dialogare enti pubblici senza evocare spiriti maligni. I passaggi di proprietà sono così farraginosi che spesso l’edificio fa in tempo a cadere da solo prima che qualcuno firmi l’ultima carta.
Così, dopo 35 anni, la maggior parte delle 1.500 caserme è ancora lì: in attesa di un acquirente, di un progetto, o della fine naturale del cemento. Nessuno sa esattamente quante siano state vendute. La trasparenza, come la cultura, è una splendida invenzione di cui sentiamo parlare.
Eppure basterebbe poco: ristrutturazioni parziali, riuso intelligente, adeguamenti mirati. Non demolire, non reinventare la ruota, non convocare conferenze stampa con rendering futuristici che non vedranno mai la luce.
Ma serve una cosa rarissima: volontà politica.
Quella vera.
“Nihil difficile volenti”, dicevano i latini: nulla è difficile per chi vuole.
Oppure, più prosaicamente: volere è potere.
E se questo governo—non altri, questo—vorrà davvero…
potrà.
