
(AGENPARL) – Sat 19 July 2025 Via D’Amelio, Barbera (Prc): “Borsellino non è un’icona neutra. La destra
si nasconde dietro la sua figura, ma la storia non si cancella”
“Nel 33° anniversario della strage di via D’Amelio, numerosi esponenti
della destra di governo, a cominciare da Fratelli d’Italia, hanno invocato
pubblicamente la figura di Paolo Borsellino, cercando di farne un simbolo
utile alla propria legittimazione morale. È un tentativo tanto evidente
quanto inaccettabile. Si tenta di presentare Borsellino come un’icona
condivisa, una figura neutrale da celebrare nel rituale della memoria
istituzionale, cancellandone però la radicalità, la coerenza, la profonda
incompatibilità con ogni forma di potere colluso o complice. Ma Paolo
Borsellino non era un simbolo addomesticabile: era un magistrato scomodo,
libero, fedele alla verità, che ha pagato con la vita la sua coerenza.
Riteniamo profondamente contraddittorio che forze politiche che hanno
sostenuto provvedimenti volti a limitare l’autonomia della magistratura,
attaccato duramente i magistrati che indagavano sulle relazioni tra
criminalità organizzata e potere e promosso una visione securitaria e
autoritaria della legalità, pretendano oggi di ergersi a custodi della
memoria di Borsellino.
Non si può evocare il suo nome senza fare i conti con la storia degli anni
Novanta, con le stragi, le trattative mai completamente chiarite tra
apparati dello Stato e Cosa Nostra, con il contesto in cui si è affermata
la cosiddetta Seconda Repubblica. Un contesto segnato anche dalle ambiguità
del berlusconismo, che ha costruito parte del suo potere su una campagna
permanente contro la magistratura e su un’opacità nei rapporti con settori
della società italiana su cui la storia pone ancora interrogativi pesanti.
Paolo Borsellino fu lasciato solo. Dopo l’omicidio di Giovanni Falcone, in
un clima segnato dal dolore ma anche dal timore, venne isolato
politicamente e istituzionalmente. Aveva capito che si stava consumando
qualcosa di più profondo di una guerra tra Stato e mafia: c’erano rapporti
da indagare, legami da svelare, complicità da rompere. In quelle settimane
drammatiche, Borsellino chiese verità, denunciò omissioni e tentativi di
depistaggio, cercò di capire cosa stesse accadendo dentro lo Stato, ma fu
lasciato senza adeguate protezioni, senza risposte, senza ascolto. Non è un
caso se la sua morte arriva appena 57 giorni dopo quella di Falcone. Non è
un caso se ancora oggi tante verità su quella stagione sono coperte da
silenzi, archivi protetti, zone d’ombra che una parte della politica ha
preferito non illuminare.
È inaccettabile che chi ha fatto parte o continua a richiamarsi a quella
stagione politica cerchi oggi rifugio nella retorica celebrativa per
costruirsi una legittimità morale che non gli appartiene. Tanto più quando
quella stessa destra, oggi al governo propone riforme istituzionali che
minano l’equilibrio democratico e la separazione dei poteri. La memoria di
Borsellino non può essere separata dalla sua storia, dalle sue parole, dal
contesto in cui è vissuto e morto. Non è un patrimonio disponibile per la
propaganda. È un’eredità esigente, che interpella le coscienze e obbliga a
una scelta di campo.
Rivendichiamo una memoria viva, critica e militante di Paolo Borsellino.
Una memoria che significa oggi impegno concreto contro tutte le mafie,
contro ogni connivenza tra interessi privati e pubblici, per l’autonomia
della magistratura, per la verità e la giustizia sociale. Borsellino
appartiene a tutte e tutti coloro che continuano a battersi per una società
libera dalla violenza mafiosa, dalle disuguaglianze, dalle complicità del
potere. Non può appartenere a chi usa il suo nome per costruirsi una
legittimità politica mentre calpesta ogni giorno i valori per cui è morto”.
Lo dichiara Giovanni Barbera, membro della Direzione nazionale di
Rifondazione Comunista.