
In un tempo in cui il giornalismo è chiamato più che mai a difendere verità, trasparenza e libertà, c’è una battaglia che dobbiamo avere il coraggio di affrontare anche dentro casa nostra: quella contro le carriere costruite sulle relazioni personali, le protezioni interne e i favoritismi.
È scomodo dirlo, ma è necessario. In troppe redazioni italiane si cresce non per merito, ma per legami sentimentali, affettivi o opportunistici con direttori, caporedattori o colleghi influenti.
Quando l’etica cede il passo alla convenienza
Non è solo una questione di pettegolezzi o voci di corridoio. È un fenomeno sistemico che produce danni profondi e strutturali:
- Giornalisti capaci e preparati restano ai margini, spesso condannati alla precarietà o a ruoli secondari.
- Il merito viene svilito, umiliato, oscurato da dinamiche opache.
- La qualità dell’informazione si abbassa, soffocata da complicità, autocensure e conformismi imposti dalle relazioni interne.
Tutto questo inquina la credibilità del giornalismo, perché dove manca la libertà interna, viene meno anche quella esterna.
Una proposta radicale, ma necessaria
È ora che le aziende editoriali – pubbliche e private – adottino un principio chiaro, semplice, non negoziabile:
Chi intrattiene relazioni affettive o personali con un superiore gerarchico o con una figura influente nella struttura non può lavorare nella stessa linea decisionale o nello stesso settore.
Non è una crociata morale. È una questione di etica professionale, di trasparenza, di rispetto verso chi lavora ogni giorno con competenza e sacrificio.
Il giornalismo deve dare l’esempio
Come possiamo denunciare i favoritismi nella politica, nella sanità o nella pubblica amministrazione, se nelle nostre redazioni tolleriamo – o peggio, proteggiamo – le stesse dinamiche?
Chi lavora con onestà, rigore e preparazione ha il diritto di vedere riconosciuto ciò che fa, non chi frequenta.
E chi guida le redazioni ha il dovere morale e professionale di garantire questo principio, anche a costo di scontentare qualche “intoccabile”.
Rompere il silenzio, cambiare le regole
Non sarà facile. Ma se vogliamo restituire dignità al mestiere del giornalista e ricostruire un patto di fiducia con il pubblico, dobbiamo cominciare da qui: da una pulizia interna, da una nuova cultura del merito, della trasparenza, della responsabilità.
Il giornalismo non può più permettersi l’ambiguità.
Non oggi, non più.