
Mi piacerebbe lanciare un’idea – anche se a qualcuno potrebbe sembrare sterile – contro una dinamica tossica e purtroppo ancora troppo presente in molte aziende italiane, in particolare in quelle pubbliche o che svolgono un servizio di interesse collettivo.
Parliamo del fenomeno delle carriere costruite non sulla competenza, ma su relazioni personali, affettive o ambigue con dirigenti, direttori o colleghi influenti. Un vero e proprio sottobosco di favoritismi che mina alle radici il principio di meritocrazia e svilisce il valore del lavoro onesto e preparato.
Una questione etica e organizzativa
Non è solo una questione morale – che già basterebbe – ma anche un problema concreto di efficienza, credibilità e trasparenza. Quando i ruoli chiave sono decisi non per capacità, ma per dinamiche relazionali, l’intero sistema pubblico ne risente:
- Si scoraggia chi lavora con dedizione e impegno.
- Si favorisce la mediocrità, il conformismo e il clientelismo.
- Si crea un clima malsano, dove il sospetto sostituisce la fiducia.
Una proposta chiara: rimuovere chi ha relazioni di interesse con superiori
È ora di introdurre regole chiare e meccanismi di verifica severi. Le aziende pubbliche – e tutte le realtà che gestiscono risorse comuni – devono adottare un principio semplice ma cruciale:
Chi intrattiene relazioni personali (sentimentali o di altro tipo) con un superiore gerarchico non può continuare a lavorare nella stessa struttura o dipendere dalla stessa linea di comando.
La rimozione da quel contesto non è una punizione, ma una misura necessaria per garantire imparzialità, equità e rispetto per chi lavora senza scorciatoie.
Serve il coraggio di dire le cose come stanno
Questa non è una crociata moralista. Nessuno vuole giudicare la vita privata di nessuno. Ma chi lavora in strutture pubbliche – o che hanno un impatto sul bene collettivo – deve accettare che i conflitti di interesse, anche solo percepiti, danneggiano tutti. Danneggiano la fiducia, la reputazione e il senso stesso di giustizia.
Chi ha potere decisionale ha anche la responsabilità morale di non approfittarne.
Conclusione: la meritocrazia non è un’utopia
Se vogliamo davvero una pubblica amministrazione credibile, giusta ed efficiente, dobbiamo avere il coraggio di rompere i silenzi e affrontare questo problema con regole, trasparenza e responsabilità.
La meritocrazia non è un sogno impossibile: è una scelta, e ogni giorno può essere il giorno giusto per iniziare a difenderla davvero.