
(AGENPARL) – Thu 29 May 2025 DEMENZA SENILE E MALATTIA DI ALZHEIMER: ASPETTI PSICOLOGICI ED EMOTIVI. INTERVISTA AD ADELIA LUCATTINI, ORDINARIO DELLA SOCIETÀ PSICOANALITICA ITALIANA
Lucattini: “Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha ampiamente riconosciuto l’importanza clinica della cognizione sociale, anche nella demenza senile e nella malattia di Alzheimer. In questi casi, offrire sostegno psicologico ai familiari non è soltanto un atto terapeutico rivolto a chi si prende cura, ma si configura come un atto clinico e umano di grande portata etica, capace di incidere sul destino del malato e della sua famiglia”.
Intervista di Marialuisa Roscino
L’Alzheimer e le varie forme di demenza sono una delle cause principali di disabilità e dipendenza tra gli anziani in ogni angolo del mondo. Le conseguenti ripercussioni sono profonde, non solo per chi ne è affetto, ma anche per i caregiver e i familiari che si fanno carico della maggior parte dell’assistenza e del supporto che in molti casi, può essere schiacciante, dovendo fronteggiare stress emotivo, fisico e finanziario.
Il deterioramento emotivo e cognitivo progressivo, tipico delle varie forme di demenza e del morbo di Alzheimer, comporta, pertanto, una serie di cambiamenti che influenzano profondamente la sfera psicologica ed emotiva di chi ne è affetto e dei familiari. Di questo e molto altro, ne parliamo con Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana
Dott.ssa Lucattini, sono sempre più in aumento i casi di demenza senile e di Alzheimer, cosa può dirci al riguardo?
Secondo i dati del 2025 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la malattia di Alzheimer costituisce la forma più comune, rappresentando circa il 60–70% dei casi. Già dal 2021, nel mondo, oltre 57 milioni di persone vivevano con demenza, con un incremento di circa 10 milioni di nuovi casi ogni anno.
Proiezioni epidemiologiche indicano che, se non vi fossero interventi di prevenzione e cura efficaci, il numero di persone affette da demenza si potrebbe triplicare nel 2050, in quel caso raggiungendo circa 152 milioni.
In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) stima che nel 2025 in Italia circa 1,5 milioni di persone vivranno con demenza, con un impatto significativo sulle famiglie e sul sistema sanitario nazionale. Questa crescente incidenza ha implicazioni profonde per la salute pubblica e la società nel suo complesso. La demenza non solo compromette le funzioni cognitive, ma rappresenta anche una delle principali cause di disabilità e dipendenza tra gli anziani.
L’aumento dei casi di demenza e di malattia di Alzheimer è, quindi, una realtà, con ricadute importanti sulla salute personale, familiare e collettiva. Per questo l’OMS indica che è essenziale adottare strategie di prevenzione, diagnosi precoce e supporto psicologico psiconalitico alle persone che ne sono affette e agli stessi familiari o caregiver che se ne prendono cura.
La presenza di sintomi psichiatrici, come depressione e apatia, secondo Lei può aumentare significativamente il rischio di progressione verso il deterioramento intellettivo, di memoria, indipendentemente dai biomarcatori dell’Alzheimer?
Numerose evidenze empiriche convergono nel delineare la depressione senile come un significativo fattore di rischio per il declino cognitivo, intellettivo, della memoria e della presenza a se stessi anche emotivamente. In particolare, una ricerca pubblicata su The Lancet Psychiatry ha evidenziato che la presenza di sintomi depressivi in età avanzata si associa a un rischio pressoché raddoppiato di sviluppare una sindrome demenziale nel corso del tempo. Parimenti, l’apatia, frequentemente sottovalutata o erroneamente assimilata alla depressione, si può configurare come un indicatore clinico autonomo e rilevante. Studi recenti, tra cui un contributo apparso su Neurology, hanno dimostrato che la sua presenza si correla con un’accelerazione del deterioramento cognitivo, anche in assenza di alterazioni strutturali cerebrali o di biomarcatori positivi per la malattia di Alzheimer.
Tali studi suggeriscono che i sintomi psichiatrici, lungi dall’essere mere manifestazioni secondarie della patologia neurodegenerativa, possano rappresentare segnali prodromici e, in alcuni casi, fattori patogenetici, causali, che agiscono attivamente nel processo di declino psichico, sono pertanto meritevoli di un’attenta valutazione clinica e di un tempestivo intervento terapeutico.
In questi casi, ritiene sia importante intercettare e monitorare i sintomi psicologici e le oscillazioni del tono dell’umore soprattutto in senso depressivo, anche nelle fasi precliniche della malattia?
Dal punto di vista psicoanalitico, i quadri clinici osservabili nelle demenze, in particolare nelle loro manifestazioni affettive e motivazionali, possono essere letti come espressioni di un progressivo impoverimento del mondo interno, segnato da un ritiro dell’investimento oggettuale (allontanamento affettivo dai propri cari) e da una compromissione della capacità rappresentare e quindi pensare la realtà, sia interna che esterna.
In tale prospettiva, l’apatia che è frequentemente riscontrata nei disturbi neuro-psico-cognitivi va intesa non solo come sintomo comportamentale, ma come una difesa estrema contro l’angoscia depressiva, che nell’età senile si intensifica per via del confronto con la perdita, il declino, la e la paura della morte. Laddove viene meno la possibilità di dare senso all’esperienza, anche la memoria e il pensiero divengono più fragili, come se la mente stessa “si ritirasse” dal campo dell’esistere. Sono, dunque, espressioni psichiche complesse che meritano di essere ascoltate con lo sguardo profondo dell’analisi, capace di coglierne la dimensione emotiva, simbolica e relazionale.
Dott.ssa Lucattini, le misure di cognizione sociale possano aiutare nella diagnosi e nel monitoraggio della demenza?
La “cognizione sociale” rappresenta una dimensione cruciale del funzionamento psichico, questo concetto comprende quell’insieme articolato di processi mentali che consente all’individuo di capire, interpretare e rispondere in maniera adeguata ai comportamenti, alle emozioni e alle intenzioni altrui. È un insieme di funzioni mentali che rende possibile la vita relazionale, l’empatia, la reciprocità e il senso di appartenenza.
Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha ampiamente riconosciuto l’importanza clinica della cognizione sociale, anche nella demenza senile e nella malattia di Alzheimer. Uno studio pubblicato su Neuropsychology Review ha evidenziato che i deficit di cognizione sociale si manifestino precocemente, in particolare nella demenza frontotemporale, ma siano presenti anche nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer. Le compromissioni della teoria della mente, ovvero la capacità di riconoscere e rappresentarsi gli stati mentali propri e altrui, sono tra i primi segnali a manifestarsi. Un lavoro apparso sul Journal of Alzheimer’s Disease ha ulteriormente dimostrato che specifici compiti clinici legati all’empatia affettiva e alla teoria della mente possono distinguere soggetti con decadimento cognitivo lieve non solo dalle persone in buona salute, ma anche dai pazienti affetti da morbo di Alzheimer in stadio iniziale.
Non di rado, i piccoli cambiamenti psicologici vengono notati dai familiari, molto prima che siano rilevabili attraverso i test psicodiagnostici. Sono piccoli segnali, sottili disallineamenti relazionali, variazioni nella qualità dello sguardo, nella sintonizzazione emotiva, nell’umore affettivo. Questi indizi meritano un’attenzione clinico e una sensibilità verso il mondo interno del paziente, poiché il venire meno delle capacità relazionali è già, di per sé, una forma di perdita di capacità psichiche.
Al fine di stimolare una maggiore risposta alla reattività emotiva nei pazienti con malattia di Alzheimer, crede sia importante anche per le famiglie dei pazienti con malattia di Alzheimer e con demenza senile, ricevere un supporto psicologico?
La letteratura scientifica contemporanea evidenzia con crescente chiarezza come il contesto affettivo e relazionale in cui è immerso il paziente affetto da demenza possa incidere profondamente sulle sue risposte emotive, cognitive e comportamentali. Il modo in cui la famiglia si relaziona al malato, la qualità della presenza emotiva e la disponibilità psichica del caregiver costituiscono elementi determinanti nella modulazione della sua esperienza soggettiva.
Uno studio pubblicato su The Gerontologist ha messo in luce che i caregiver sostenuti attraverso un adeguato intervento psicologico sviluppano una più raffinata capacità empatica, riducono il rischio di esaurimento emotivo e riescono a mantenere una comunicazione affettivamente sintonica con il proprio caro. Ciò si traduce in una maggiore reattività emotiva da parte del paziente, il quale, anche in presenza di deterioramento cognitivo, conserva una sensibilità profonda alla qualità del legame.
In modo convergente, una ricerca pubblicata sull’American Journal of Psychiatry ha dimostrato che interventi psicoterapeutici rivolti ai familiari non solo alleviano i sintomi depressivi nei caregiver, ma ritardano sensibilmente la necessità di ricorrere all’istituzionalizzazione del paziente, suggerendo che il sostegno offerto ai congiunti abbia ricadute clinicamente significative sul decorso stesso della malattia.
Dal punto di vista psicoanalitico, la famiglia rappresenta il contenitore psichico ed emotivo primario, uno spazio interno ed esterno nel quale il soggetto continua a cercare riconoscimento, rispecchiamento e senso. Quando il legame affettivo è nutrito da una mente capace di pensare, sostenere e contenere, è possibile arginare, almeno in parte, il collasso rappresentazionale che accompagna il declino tipico delle demenze.
In questa prospettiva, offrire sostegno psicologico ai familiari non è soltanto un atto terapeutico rivolto a chi si prende cura, ma si configura come un atto clinico e umano di grande portata etica, capace di incidere sul destino del malato e della sua famiglia.Spesso manca consapevolezza e comprensione della demenza, con conseguente ritardo nella diagnosi e nell’accesso alle cure, a Suo avviso, la psicoanalisi potrebbe essere efficace per il trattamento e la cura delle demenze?
La psicoanalisi e la psicoterapia psicodinamica nella loro specificità conferiscono senso e significato all’esperienza di malattia e si configurano come approcci efficaci e complementari nel trattamento delle demenze.
Ricerche scientifiche pubblicate sull’International Psychogeriatrics e su Cochrane Database of Systematic Reviews evidenziano come le difficoltà nel riconoscere e accettare la diagnosi possano condurre a isolamento, ansia e perdita del senso di sé, complicando il decorso della malattia. L’approccio psicoanalitico offre strumenti preziosi per sostenere sia il paziente e i suoi familiari. Numerosi studi indicano che interventi psicoterapeutici psicodinamici adattati alle capacità residue del paziente, possono migliorarne il benessere soggettivo e la qualità di vita, contribuendo a ridurre i sintomi quali ansia, depressione e apatia
Uno studio pubblicato sul Journal of Psychoanalytic Practice ha evidenziato come la psicoterapia a orientamento psicoanalitico, mirata a mantenere il legame con se stessi e la continuità narrativa interiore del paziente, possa attenuare l’angoscia esistenziale e favorire l’elaborazione della malattia, anche nelle fasi moderate della demenza.
Dal punto di vista teorico, un lavoro sull’American Journal of Psychiatry afferma che la psicoanalisi consente di indagare il vissuto interno del paziente, le dinamiche inconsce legate alla perdita, alla frustrazione e al lutto anticipatorio, aspetti che troppo spesso rimangono non riconosciuti negli approcci medici tradizionali.
Inoltre, secondo sul Journal of the American Geriatrics Society, la psicoterapia psicoanalitica estesa ai caregiver si è dimostrata efficace nel ridurre il carico emotivo, prevenire il burnout e migliorare la qualità dei rapporti, elementi fondamentali perché possa esservi un supporto duraturo nel tempo.
Quali consigli si sente di dare ai familiari e ai caregiver dei pazienti con morbo di Alzheimer e con demenza senile?
-E’ fondamentale la diagnosi precoce, sia per i trattamenti neurologici e riabilitativi, che per iniziare una psicoterapia psicoanalitica, che insieme migliorano la qualità della vita dei pazienti e rallentano la progressione della malattia;
-Coltivare la pazienza e la comprensione. La malattia comporta cambiamenti profondi nella comunicazione e nel comportamento dei propri congiunti. Per sostenere il loro benessere emotivo è importantissimo accogliere queste trasformazioni con sensibilità e mantenendo la calma;
-Mantenere le relazioni affettuose e parlare senza stancarsi con i propri familiari affetti da demenza. Legami affettivi stabili e rassicuranti, li aiutano danno un senso di sicurezza, contrastando così l’isolamento (ritiro) che ne aggrava il decorso.
-Prestare sempre attenzione all’ambiente familiare e alla routine delle abitudini quotidiane. Un ambiente ordinato e prevedibile, la scansione regolare delle abitudini giornaliere, riducono l’ansia e favoriscono l’autonomia residua, li incoraggia a “provarci” ancora;
-Non dimenticarsi mai di prendersi cura di se stessi. L’impegno dei caregiver, l’occuparsi del proprio familiare continuativamente, può essere faticoso e stressante. Per questo è di fondamentale importanza occuparsi seriamente del proprio benessere fisico e mentale, chiedendo aiuto e un supporto specialistico e psicoanalitico quando necessario.