
Perugia – In un’Italia dove le regole giuridiche dovrebbero costituire il fondamento della pubblica amministrazione, l’INPS di Perugia sembra muoversi su un binario tutto suo, dimenticando prescrizioni, fallimenti, legittimazioni passive e – dettaglio non da poco – le sentenze della Corte di Cassazione.
È quanto emerge dal caso giudiziario relativo all’ordinanza di ingiunzione notificata il 7 gennaio 2025 a un soggetto che, a detta della difesa, non solo non doveva ricevere alcuna richiesta di pagamento, ma nemmeno era più legittimato a rispondere a nome della società coinvolta.
Quando la prescrizione è solo un’opinione
La vicenda riguarda il Gruppo Editoriale Umbria 1819 S.r.l., fallito il 17 maggio 2016. Da quella data in poi, qualsiasi pretesa creditoria, ai sensi della legge fallimentare, avrebbe dovuto essere rivolta al Curatore Fallimentare, e non all’ex amministratore. Le somme contestate dall’INPS riguardano ritenute risalenti all’anno 2016, per cui la dichiarazione andava inviata entro il 31 ottobre 2017.
Ma il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della Legge 689/1981 è scaduto il 31 ottobre 2022, senza che la Pubblica Amministrazione abbia mai dato avvio a una procedura esecutiva. La notifica è giunta ben due anni e tre mesi dopo la prescrizione, rendendo l’intero procedimento giuridicamente improcedibile.
L’atto di accertamento… fantasma
Non finisce qui. A monte dell’ingiunzione, manca anche la notifica del verbale di accertamento del 7 novembre 2019, atto prodromico essenziale per dare validità all’intera procedura. La controparte, cioè l’INPS, non ha fornito prova della notifica, sollevando un’ulteriore eccezione di legittimità.
Il fallimento è capiente. Ma l’INPS chiede al soggetto sbagliato
Altro elemento centrale del ricorso è il difetto di legittimazione passiva. L’INPS ha notificato l’ingiunzione a un soggetto che, dal 2016, non ha più alcuna responsabilità legale, trascurando il fatto che il fallimento è capiente da anni, con oltre 600.000 euro depositati sul conto corrente della Curatela.
Nonostante ciò, l’ente previdenziale ha preferito tentare la via giudiziaria contro l’ex amministratore, piuttosto che seguire il canale corretto, ossia l’istanza di ammissione al passivo fallimentare. Una scelta che desta non poche perplessità sul piano operativo e che potrebbe interessare anche la Corte dei Conti, sempre vigile su eventuali sprechi o inefficienze nella gestione della cosa pubblica.
Una richiesta di condanna ex art. 96 CPC
Visto il quadro descritto, la difesa ha chiesto al Tribunale la revoca dell’ordinanza di ingiunzione, nonché la condanna dell’INPS per lite temeraria, ex art. 96 c.p.c., per aver agito con evidente negligenza e infondatezza giuridica. Il ricorrente chiede inoltre la sospensione della procedura esecutiva e la piena vittoria di spese.
Considerazioni finali: svista o sistematica disattenzione?
Resta da capire se quella dell’INPS di Perugia sia stata una svista burocratica isolata o se esista un problema più ampio, fatto di automatismi ciechi, notifiche dubbie e interpretazioni fantasiose delle norme. Una riflessione che forse dovrebbe iniziare proprio dagli uffici romani dell’Istituto, passando per la Cassazione e – chissà – arrivando infine sui tavoli della Corte dei Conti.
Nel frattempo, i cittadini e le imprese si chiedono: ma all’INPS di Perugia, conoscono il concetto di prescrizione?