
In un post pubblicato ieri sull’account X, il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha reagito con toni durissimi all’ultima presa di posizione della cosiddetta “Troika” – il trio di diplomazie internazionale composto da Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito. L’organo aveva affermato che «Dodik non può essere un interlocutore di nessun attore politico a cui stia a cuore lo Stato», mettendo formalmente in discussione la sua legittimità come rappresentante serbo all’interno delle istituzioni bosniache.
Secondo Dodik, tuttavia, «ogni nuova dichiarazione della Troika sembra un messaggio nervoso da parte di coloro che non sanno spiegare il motivo per cui continuano a sfuggire al dialogo, alla realtà e alla responsabilità». Il leader serbo ha accusato indirettamente l’alto rappresentante internazionale Christian Schmidt e gli alleati occidentali di aver creato e alimentato la crisi politica nella Bosnia-Erzegovina, rafforzando le spinte centripete verso una Bosnia “senza i serbi”, a danno della democrazia e del rispetto degli accordi di Dayton.
«Non è nemmeno più una questione di politica: è resistenza a tutto ciò che non possono controllare o che qualcun altro non può controllare per loro. Questa è l’essenza della loro politica: Bosnia-Erzegovina, sì, ma senza i serbi. Democrazia sì, ma solo se si è d’accordo con il risultato».
Nel suo post, Dodik ha invitato la Troika «a rileggere i vecchi messaggi WhatsApp di Michael Murphy», l’ex inviato statunitense a Sarajevo, «per ricordare i momenti felici e trovare in essi sostegno, significato, comandi su cosa e come fare». Un’affermazione volutamente provocatoria, volta a sottolineare – secondo lui – l’incapacità degli “osservatori internazionali” di gestire la normalità del dialogo politico.
Il nodo della legge imposta
Dodik ha inoltre ribadito che, secondo la Costituzione bosniaca, «solo l’Assemblea parlamentare della Bosnia-Erzegovina può approvare le leggi», contestando la legittimità della normativa varata d’autorità da Schmidt con l’obiettivo di contrastare le derive referendumarie e secessioniste della Republika Srpska.
«Non ho chiesto a Schmidt di imporre una legge con la quale li avrei giudicati, ma sono stati loro a giudicarmi in base alla sentenza di Schmidt, che porta il mio nome», ha sottolineato. «La Republika Srpska non ha compiuto alcun attacco all’ordine costituzionale, ma piuttosto, spinti dal desiderio di danneggiarla e di eliminarmi politicamente, hanno abusato delle istituzioni, reso la Bosnia-Erzegovina disfunzionale e attaccato la sua stessa Costituzione».
Verso le elezioni
Con lo sguardo già rivolto alle elezioni politiche che si terranno nelle prossime settimane, Dodik ha sfidato apertamente la Troika: «Dopo il voto non avrete più bisogno di dichiarazioni o traduzioni: vi resterà solo una versione abbreviata del vostro nome: Trojčica». Una battuta che sintetizza la sua linea dura e il monito contro ogni intervento esterno ritenuto illecito e anti-costituzionale.
Prospettive e reazioni
Le tensioni aperte da Dodik si inseriscono in un contesto di crescente polarizzazione inter-etnica e di scontro tra Sarajevo e Banja Luka sul grado di autonomia da concedere all’entità serba. L’Unione Europea e gli Stati Uniti, pur condannando le proposte secessioniste, hanno invitato tutte le parti a tornare al negoziato e al rispetto delle istituzioni condivise. Resta da vedere se il prossimo Parlamento bosniaco sarà in grado di ricomporre le fratture, o se – come teme la comunità internazionale – il Paese scivolerà in una nuova fase di stallo politico.