
(AGENPARL) – Tue 08 April 2025 **Pellegrinaggio toscano della memoria, a San Sabba Andra Bucci si racconta
Il secondo giorno le scuole toscane visitano a Trieste il campo di transito
e sterminio **
/Scritto da Walter Fortini, martedì 8 aprile 2025 alle 17:26/
“Non è facile tornare indietro con la memoria, passare e venire qui,
entrare negli stanzoni.
E’ un grande dolore – confessa Andra Bucci -: per chi soprattutto non c’è
più”. Gli occhi della bambina sopravvissuta ad Auschwitz
cercano quelli delle studentesse e degli studenti e con le parile disegnano
il dramma delle deportazione e dello sterminio.
“In fondo – prosegue Andra – io ho avuto una vita dopo, con alti e bassi
come è normale che sia, però ce l’ho avuta. Tutti gli altri che sono
passati di qua, tantissimi e che non ci sono più, una vita non l’hanno
avuta“.
Il racconto della memoria del viaggio con le scuole toscane riparte
dall’interno della risiera di San Sabba a Trieste, campo di detenzione e
transito (ma anche di sterminio) alla periferia della città: oggi museo,
San Sabba fu l’unico campo in Italia con un forno crematorio ed il
pelligrinaggio toscano della memoria, dopo quattro ore e quasi quattrocento
chilometri da Reggio Emilia a Trieste da poco dopo l’alba a mezzogiorno,
riprende con la testimonianza- sofferta ma in fondo liberatoria – di Andra
Bucci, che a quattro anni con la sorella Tatiana di sei e quasi tutta la
famiglia (eccetto il babbo e uno zio, prigionieri di guerra fuori Italia)
fu deportata nel 1944 da Fiume ad Auschwitz Birkenau, passando per il
piccolo paese di Susak e poi proprio dal campo della Risiera.
Tre pullman, poco meno di centocinquanta persone, ottantuno studentesse e
studenti delle scuole secondarie di secondo grado, venticinque professori.
E poi ancora gli istituti storici della Resistenza e dell’età
contemporanea, le associazioni dei deportati, degli internati militari, dei
familiari martiri, le comunità ebraiche e di chi nel ventennio fascista fu
perseguitato perché scomodo o diverso. E’ folta la delegazione toscana e
la testimonianza di Andra è tutta per loro.
Tutto era iniziato a San Sabba in fondo. “Non riesco ancora ad entrare in
quella cella, una cella stretta e con un tavolaccio di legno troppo
piccolo, dove eravamo stipati in otto della mia famiglia” confessa Andra,
dietro di lei i muri di mattoni con le finestre da cui probabilmente si
affacciò la mattina in cui fu caricata sul camion verso la stazione dei
treni e il convoglio diretto in Polonia. “Mia sorella – prosegue – c’è
riuscita ad entrare qualche anno fa, durante la realizzazione di una
docufilm, ma io ancora non riesco”.
Probabilmente la loro cella non è tra quelle oggi rimaste e visitabili.
Era forse al primo piano del magazzino di tre piani dove, a guerra finita,
i solai sono stati distrutti. Ma poco importa. Il campo, più piccolo di
allora, inglobato negli anni dal quartiere attorno, con le grandi lapidi
nel piazzale dove ancora ci sono le ceneri di chi vi morì, è quello. E il
grande senso di oppressione rimane.
“Non ricordo l’arrivo qui – racconta Andra – . Ma ricordo una mattina in
cui guardavo nel cortile, appoggiata a una balaustra e vedevo un grande
movimento e un sacco di persone che salivano sul camion. Fu il giorno che
ci portarono al treno. E’ un ricordo forte. Il resto, la celletta, il
mangiare, noi otto tutti assieme, è un po’ una fotografia color seppia, un
po’ sbiadita”.
Era la fine di marzo 1944, forse attorno all’ora di ena, quando la famiglia
Bucci fu arrestata a Fiume da tedeschi e collaborazionisti italiani: il
fatto di essere figlie di un matrimonio misto – mamma ebrea e babbo
cattolico – non le salvo dalla deportazione. Probabilmente rimasero solo
alcuni di giorni nella Risiera: loro, la nonna, la mamma, due zie, uno zio
e il cuginetto Sergio De Simone, anche lui appena sei anni. Giusto il tempo
per gli adulti di essere interrogati – i tedeschi cercavano il resto della
famiglia fuggita, in provincia di Vicenza – e poi il viaggio verso
l’inferno dei lager.
“Ma non è vero – precisa Andra – che i bambini non hanno memoria. La mia
memoria si apre con l’arrivo a Birkenau. Non ricordo la quotidianità, non
so dire quello che è successo prima e quello che è successo dopo, però
ricordo tantissimo. Ricordo l’arrivo alle Judenrampe fuori dal campo,
ricordo la selezione iniziale appena scese, era il 4 aprile 1944, dove la
nonna Rosa e la zia Sofia vengono allineate a destra, fatte salire su un
camion e scompaiono per sempre”.
“Ricordo del viaggio, in un angolo del vagone, una specie di secchio –
prosegue -, forse un bidone, per i nostri bisogni e le donne che si
paravano con delle coperte alzate attorno a mo’ di tenda da altre donne.
Ricordo all’arrivo a Birkenau le urla, la violenza, i cani che abbaiano e
ringhiano”.
Andra e Tatiana erano vestite uguali, con lo stesso cappottino cucito dalla
mamma sarta. Le dividevano due anni ma erano quasi due gocce d’acqua.
“Siamo sopravvissute alla selezione iniziale perché Mengele,
probabilmente presente – racconta Andra – ci scambiò per gemelle e ci
reclutò per i suoi esperimenti”. Una fortuna, perché di 776 bambine e
bambini italiani deportati ad Auschwitz e Birkenau ne sono tornati solo
venticinque.
“Potrei raccontare per ore le cose che ricordo, pur essendo una bambina –
dice Andra – . Ma ogni volta mi emozio. E’ difficile tornare qui e le cose
più difficili da raccontare le lascio sempre a mia sorella”.
I ricordi fanno male. “Non sto bene mentre parlo – ripete -, non sto
bene neache dopo: al ritorno da una visita come questa o ad Auschwitz ci
vuole almeno una settimana perché torni quella che ero prima”. Ma tirare
fuori i ricordi è in fondo anche una liberazione. “Per me parlare – dice
– è come stendersi sul lettino dello psicologo. E’ una liberazione che
alla fine mi fa bene”. Anche se non è sempre stato così. C’è voluto
molto tempo, coraggio e determinazione prima che il racconto di
quell’orrore potesse essere condiviso, anche in famiglia. E dalla fine
della seconda guerra monidale, quando la famiglia si trasferì da Fiume a
Trieste, ne sono passati quasi sessanta prima di rimettere piede alla
Risiera di San Sabba.
Ma la bambina sopravvissuta ad Auschwitz, testimone della memoria, è
instancabile. E alle ragazze e ragazzi, alle professoresse e ai professori
dice: “Domani, quando all’aula magna dell’Università di Trieste quando
ci rincontreremo, fatemi tutte le domande che volete”.