(AGENPARL) – mer 22 gennaio 2025 AVV. PROF. MARIO BERTOLISSI
EMERITO
DIRITTO
COSTITUZIONALE NELL’UNIVERSITÀ DI
PADOVA
AVV. GIACOMO QUARNETI
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
MEMORIA
ai sensi dell’art. 33 della legge n. 352/1970,
in vista della camera di consiglio del 13 gennaio 2025
della REGIONE
interessato interveniente ad opponendum, in persona del Presidente della
Giunta regionale pro tempore, dott. Luca Zaia, con sede in Palazzo Balbi –
Dorsoduro, 3901, Venezia (30123), rappresentata, come da delibera della
Giunta regionale n. 1530 del 30 dicembre 2024 (doc. 1) e da procura in calce
presente
memoria,
BRTMRA48T28L483I,
dagli
avv.ti
prof.
Mario
Bertolissi
(c.f.
Quarneti dell’Avvocatura regionale (c.f. QRNGCM77L07E730G, fax
fisico eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Fondamenta S. Lucia
– Cannaregio, 23, Venezia, e domicilio digitale eletto presso i seguenti
indirizzi di posta elettronica certificata:
nel giudizio reg. amm. ref. n. 181
di ammissibilità del seguente quesito referendario unificato, dichiarato
legittimo con ordinanza definitiva del 12 dicembre 2024 dell’Ufficio centrale
per il referendum presso la Corte suprema di cassazione: “Volete voi che sia
abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, ‘Disposizioni per l’attuazione
dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi
dell’articolo 116, terzo comma, della Cost.’, come risultante a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024’?”, avente quale
denominazione: “Legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione
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dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi
dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione: abrogazione totale”.
* * *
L’art. 33, 3° co., della legge n. 352/1970 stabilisce che “Non oltre tre
giorni prima della data fissata per la deliberazione, i delegati e i presentatori
e il Governo possono depositare alla Corte memorie sulla legittimità
costituzionale delle richieste di referendum”.
Codesta Ecc.ma Corte non ha escluso che si possa consentire,
nell’ambito del giudizio, l’ingresso di memorie provenienti da altri soggetti,
interessati, ancorché non parti del medesimo: ad esempio, con la sent. n.
26/2011 e con la sent. n. 56/2022.
La Regione del Veneto è intervenuta nel giudizio in via di azione,
promosso dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, risolto con
la sent. n. 192/2024. Ora, si attiva, in seguito a quanto deciso dalla Corte
suprema di cassazione – Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza
definitiva 12 dicembre 2024, assunta ai sensi dell’art. 32, 6° co., della legge
n. 352/1970, sottoponendo all’Ecc.ma Corte le proprie considerazioni in
ordine all’ammissibilità oppure no della richiesta di referendum.
* * *
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La sentenza n. 68/1978 della Corte
costituzionale. – 3. Il comunicato stampa del 14 novembre 2024. – 4. La sentenza n.
192/2024 della Corte costituzionale. – 5. L’ordinanza definitiva dell’Ufficio centrale
per il referendum. – 6. Alcune considerazioni conclusive sull’inammissibilità.
1. Premessa
Per quanto si debba ritenere scontata – se non, addirittura, superflua –
qualunque osservazione, che abbia ad oggetto l’istituto del referendum
abrogativo ed i suoi peculiari caratteri; tuttavia, vale la pena di soffermarsi un
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istante sull’argomento, in quanto, se è vero che il giudizio di ammissibilità è
riservato a un giudice, nondimeno, si tratta di un giudice particolare, al quale
non aveva pensato, in parte qua, il Costituente. Si tratta, poi, di fattispecie
intrise – per non dire, dense – di politicità1. Il che ha determinato conseguenze
non di poco conto in ordine alla sua applicazione.
Infatti, si è notato che “Nessun altro tipo di atti normativi, incluse le
leggi regionali, è stato a tal punto plasmato dalla Corte, mediante decisioni
che non di rado hanno assunto caratteristiche altamente creative”2. Sicché,
“Ciò avvalora l’impressione che la Corte eserciti un controllo esteso in
qualche modo al merito dei problemi sul tappeto; e che, in ogni caso, i criteri
elaborati dalla giurisprudenza costituzionale comportino imponenti margini
discrezionali, almeno per quanto riguarda la struttura delle domande
referendarie”3.
Quello in esame è, formalmente, un caso diverso: non rileva
l’articolazione del quesito. Conta, invece, un’altra circostanza: vale a dire,
che l’oggetto del medesimo è stato inciso dalla sent. n. 192/2024 della Corte
costituzionale sia attraverso declaratorie di illegittimità, sia attraverso
interpretazioni conformi alla Legge fondamentale. Dunque, amputazioni di
disposizioni e amputazioni di norme. È a questo proposito che conservano
intatto il loro significato le annotazioni di chi poneva il problema di accertare,
rigorosamente, se le “modificazioni” – introdotte per via legislativa oppure
V., ad es., C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, tomo II, Cedam, Padova, 1976,
836 ss., e A. MORRONE, La Repubblica dei referendum. Una storia costituzionale e politica
(1946-2022), il Mulino, Bologna, 2022.
L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bologna, 1996, 275, il quale, già
allora, aggiungeva: “Di più: l’indirizzo giurisprudenziale è mutato ripetute volte, integrando
e contraddicendo gli orientamenti adottati in precedenza. Dal 1972 al 1978, dal 1981 al 1987
e oltre, la Corte ha corretto o modificato quasi di continuo le sue prospettive e i suoi criteri
di giudizio, non senza sconcertare gli osservatori e minare la certezza del diritto”. Non è
poco, vista la caratura di chi ha formulato un simile giudizio, rincarato da quel che segue: “E
non si può essere sicuri che simili vicende appartengano ormai al passato: la stessa fantasia
con la quale i promotori esercitano la potestà referendaria lascia presagire sempre nuovi
problemi, che la Corte potrebbe essere tentata di affrontare per mezzo di nuove risposte,
anziché servirsi del ricco armamentario da essa costruito nel corso di quasi vent’anni”.
Conclusione, confermata nel suo ultimo elaborato scritto: ID., Intervento, in AA.VV.,
Referendum e legalità. “Tornare alla Costituzione”, Giappichelli, Torino, 2000, 19 ss.
L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, cit., 292.
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giurisprudenziale – fossero più apparenti che di sostanza: “di dettaglio, non
incidenti sui principi e sui contenuti normativi essenziali delle singole
disposizioni”4. Il che impone di non trascurare quanto ha avuto occasione di
rilevare l’Ufficio centrale per il referendum nella sua ordinanza, assunta ai
sensi dell’art. 32, 6° co., della legge n. 352/1970, in modo particolare là dove
argomenta a favore dell’ammissibilità del referendum, attraverso il richiamo
di una massima, riguardante “innovazioni formali o di dettaglio” apportate
dal legislatore al testo originario della legge; mentre qui si tratta di stabilire –
lo dirà espressamente codesta Ecc.ma Corte – quali sono le conseguenze
derivanti dalla sent. n. 192/2024 a carico della legge n. 86/20245.
In ogni caso, non vanno trascurate alcune note di commento, formulate
a caldo, ma significative: già in margine al comunicato del 14 novembre
2024; quindi, in presenza del testo della pronuncia. Nessuno ha minimizzato
le implicazioni di quanto deciso. In particolare, coloro che hanno avversato
la legge n. 86/2024 hanno concluso che si era giunti al capolinea, essendo –
l’atto normativo – ridotto ormai a ben poca cosa. Essenziali, di contro, i vuoti
da riempire e le riletture (di quel che resta) dettate dal Giudice delle leggi6.
V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. II. L’ordinamento costituzionale
italiano, Cedam, Padova, 1984, 476.
Induce a riflettere L. BERLINGHIERI, Cassazione: “Sì al referendum se l’intento
d’autonomia resta”, in il mattino di Padova, 15 dicembre 2024, 4 (vi si legge: “Gli Ermellini
anticipano la valutazione che dovrà fare la Consulta”). Affermazioni irrilevanti e
giornalistiche, si dirà. Ma le impressioni tratte dall’opinione pubblica hanno un loro
significato: in primo luogo, che si possa affermare tutto e il suo contrario, affidandosi alla
motivazione retorica. Non è affatto retorico, ad esempio, M. SMIDERLE, L’Italia allergica
alle riforme, in Il Giornale di Vicenza, 15 dicembre 2024, 1 e 62, né P. ERLE, Autonomia, la
legge va davvero rifatta. Cancellato anche il Comitato dei Lep, ivi, 1 e 8.
E. PATTA, Autonomia, Ddl inapplicabile. Nel mirino anche il Titolo V, in Il Sole 24
Ore, 4 dicembre 2024, 13 (“Più lontano il referendum”); G. MERLO, Materie limitate e Lep.
Così la Consulta smonta l’Autonomia della destra, in Domani, 4 dicembre 2024, 6; M.
SORGI, Così la Consulta affossa l’autonomia, in La Stampa, 4 dicembre 2024, 1; G. LONGO,
Stangata autonomia, ivi, 16; Autonomia rasa al suolo, in il Fatto Quotidiano, 4 dicembre
2024, 1; S. TRUZZI, “Per il Governo sarà difficile riscriverla: è una scatola vuota”, ivi, 3 (è
l’opinione di Antonio D’Andrea, il quale precisa che “Ora anche il referendum può essere
inutile e dannoso”); M. VILLONE, Autonomia, la Consulta stavolta mette i paletti, ivi, 13 (il
quale ritiene che la legge debba essere cancellata “nella sua interezza”); C. BERTINI,
Ceccanti: “Il testo va riscritto ma il referendum è superato”, in il mattino di Padova, 4
dicembre 2024, 11.
V., altresì, C. MARINCOLA, La Consulta seppellisce l’autonomia, in il Quotidiano del
Sud, 4 dicembre 2024, 1; ID., Avvertite Calderoli: la guerra è finita, ivi, 11 dicembre 2024,
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Tant’è – si è notato –, “Proprio di questo disegno la Corte ha accertato per più
aspetti l’incostituzionalità con una sentenza che riporta alla partenza il
processo di attuazione dell’art. 116, 3° comma, Cost. sulla concessione
dell’autonomia differenziata alle Regioni che ne facciano richiesta”7.
C’è da credere – a chi scrive pare inconcepibile l’assunto contrario –
che la Corte, investita dei quattro ricorsi regionali e destinataria delle richieste
referendarie, abbia valutato, fin dall’inizio, quale dovesse essere l’esito
complessivo di tali iniziative. Che le abbia coordinate, attraverso un’opzione
di senso, allo scopo di evitare il vero e proprio cortocircuito, rappresentato da
un penetrante sindacato di costituzionalità, di carattere profondamente
demolitorio, e da una consultazione referendaria addirittura concentrata sulle
macerie della legge n. 86/2024.
Per quanto sia stato collocato sullo sfondo di una vicenda a dir poco
snervante (in realtà, del tutto ignorato), non si può trascurare, come non fosse
mai avvenuta, la consultazione referendaria regionale consultiva dell’ottobre
del 2017: espressione del principio democratico, allora; come, ora,
sostengono i promotori dell’odierno referendum, per quanto li riguarda.
Dimenticando, per sé stessi, che in un ordinamento di democrazia
rappresentativa l’istituto referendario costituisce l’eccezione, perché la
responsabilità del normare ricade sul Parlamento8. Ammenoché, il
referendum richiesto non sia strumentale, rispetto alle contese in atto,
concernenti le formazioni politiche parlamentari. Il che impone, in questa
sede, di battere la strada del rigore argomentativo, distante dalle
giustificazioni retoriche: significa prendere sul serio ogni parola contenuta
negli atti finora elaborati, confluiti in questo giudizio, alla luce di quanto
affermato da codesta Ecc.ma Corte, in particolare, nella sent. n. 68/1978.
1; C. MIRABELLI, Svuotata, ivi, 13 dicembre 2024, 1; A. TROISE, Autonomia. Ora la parola
deve tornare al Parlamento, ivi, 14 dicembre 2024, 1.
S. BARTOLE, Regioni, l’autonomia ridimensionata, in il mattino di Padova, 8
dicembre 2024, 9.
C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., spec. 837.
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* * *
2. La sentenza n. 68/1978 della Corte costituzionale
È innegabile che i caratteri propri dell’istituto, previsto dall’art. 75
Cost., sono stati definiti – non una volta per tutti; ma, senz’altro, fino ad ora
– nell’anno 1978. In linea generale, dalla sent. n. 16/19789; in taluni
particolari aspetti, dalla successiva sent. n. 68/1978, la cui questione di
legittimità costituzionale (inerente l’art. 39 della legge n. 352/1970) fu
sollevata d’ufficio, dinanzi a sé stessa, dalla Corte costituzionale.
Essa ha avuto modo di precisare, nella seconda pronuncia, che tra l’una
e l’altra decisione esistono “analoghi criteri” di giudizio, riconducibili ad
un’espressione, in sé e per sé risolutiva: “matrice razionalmente unitaria”,
la quale implicava allora (sent. n. 16/1978) “l’omogeneità dei corrispondenti
quesiti”; ora (alla luce della sent. n. 68/1978), l’equivalenza del quesito
“risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024”10
rispetto a quello originario, avente ad oggetto l’integrale abrogazione della
legge n. 86/2024.
Si tratta di operare una verifica non trascurando alcun aspetto giuridicocostituzionale, il quale risente sia delle coincidenze, che si possono cogliere
nella abrogazione referendaria delle disposizioni e nella “decisione di
accoglimento ‘mero’ o ‘secco’”11; sia delle differenze – meglio ancora: delle
difformità – ineliminabili, quantomeno sul piano della certezza degli effetti,
se non altro nel caso in cui, con l’accennata fattispecie abrogativa, se ne
combina una di ulteriore, che fa valere il principio dell’interpretazione
conforme a Costituzione12.
Per tutti, L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, cit., 277 ss.
È la formula finale, che afferma la conformità a legge della richiesta di referendum
abrogativo, contenuta nell’ordinanza definitiva dell’Ufficio centrale per il referendum del 12
dicembre 2024.
A. MORRONE, La “legge vigente” e il sindacato dell’Ufficio centrale per il
referendum, in Quad. cost., n. 2/1999, 349.
Così dispone la sent. n. 192/2024.
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Dimodoché – salve tutte le possibili puntualizzazioni del caso –, non
v’è dubbio che l’Ufficio centrale per il referendum deve accertare se “la
nuova legislazione [la legge n. 86/2024, amputata di disposizioni e di norme]
non è più [oppure lo è ancora] ricollegabile alla precedente iniziativa
referendaria: in quanto [aggiunge la Corte] non si può presumere che i
sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all’abrogazione della normativa
già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum
quella stessa ulteriore disciplina”13. Con la precisazione – riferita a modifiche
di scarso o nessun rilievo, da dimostrare, non da affermare in assenza di
indispensabili distinguo14 – che “Se invece l’‘intenzione del legislatore’
rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali, che
siano state apportate dalle Camere [è quel che si deve provare, perché solo
allora], la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché
diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe
ridotta ad una mera apparenza”15.
Ovviamente, qui non si tratta di spiegare alla Corte quale è il significato
della sent. n. 68/1978. È indispensabile, tuttavia, soffermarsi sul suo sintetico,
ma articolatissimo contenuto, con una certa attenzione, in funzione delle
conseguenze, che se ne possono e se ne debbono trarre, ai fini della
determinazione del significato del combinato disposto legge n. 86/2024sent. n. 192/2024 (la quale – come si è rilevato – amputa disposizioni e
norme, facendo salve alcune di esse)16.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto, ripreso dall’ordinanza
definitiva, sub 8.4.
Pare essere questo il criterio seguito dall’Ufficio centrale per il referendum, come
si vedrà sub 5.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto. V., altresì, ordinanza
definitiva, sub 8.4., all’interno di un contesto, che non dà conto della portata
dell’affermazione della Corte, dimodoché il lettore è portato a credere che, ove la richiesta
referendaria non sia dichiarata conforme a legge, venga lesa “la sovranità del popolo”. Si
tratta di una petizione di principio.
Fin d’ora, si precisa che l’ottica, cui ci si atterrà (visto che una chiave di lettura è
indispensabile, per non navigare a vista), è quella della forma di Stato e della forma di
governo. Infatti, la sent. n. 192/2024 ridefinisce sia il rapporto cittadini-sistema di potere, sia
la titolarità e l’esercizio della funzione di indirizzo politico. V. sub 4 e 5, nonché il testo, cui
è riferita la nota 49.
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a) A dire il vero, non è il caso di trascurare, innanzi tutto, talune
affermazioni contenute nella sent. n. 251/1975, suggerite alla Corte dal caso
di specie, che rappresenta un precedente specifico di quello in esame: dal
momento che ha avuto ad oggetto le conseguenze derivanti, a carico di una
procedura referendaria, da pronunce rese, medio tempore, dal Giudice delle
leggi, interferenti con la richiesta di abrogazione.
Allora, i referendum ebbero di mira alcuni articoli del codice penale
(collocati sotto il Titolo X – Dei delitti contro la integrità e la sanità della
stirpe). Relativamente ad alcuni di essi (segnatamente, l’art. 553 e l’art. 546)
aveva avuto occasione di pronunciarsi la Corte costituzionale con sentenze di
accoglimento. Con la sent. n. 49/1971, ancor prima che fossero avviate le
procedure referendarie (del 1975); quindi, con la sent. n. 27/1975. Nel primo
caso, la Corte ritenne “assorbita la finalità cui istituzionalmente è preordinato
il referendum abrogativo”17. Nel secondo – poiché tale pronuncia è
intervenuta “in data posteriore a quella (5 febbraio 1975) in cui (…) i
promotori avevano reso nota (…) la loro iniziativa per la richiesta di un
referendum abrogativo”18 –, decise19 di arrestarsi “a tali constatazioni, senza
inoltrarsi nelle loro implicazioni”20.
Aggiunse, quindi, non per celia, allo scopo di indicare il seguito e le
relative peculiarità, che “non appartiene, infatti, al presente giudizio la
cognizione della problematica che si profila in conseguenza di quanto
rilevato”21. Infatti, può “essa investire – riferita che sia all’intero complesso
normativo o ai soli due articoli sopra menzionati o ad uno solo di essi – tanto
la conformità a legge della richiesta di referendum, quanto l’ulteriore
svolgimento delle operazioni (art. 39, legge n. 352/1970). Come si è innanzi
ricordato, ai relativi controlli, ed alla soluzione delle pertinenti questioni, è
Corte cost., sent. n. 251/1975, n. 4 del Considerato in diritto.
Ibidem.
Dopo aver precisato quali erano i compiti spettanti all’Ufficio centrale per il
referendum e alla Corte medesima: n. 1 del Considerato in diritto.
Ivi, n. 4 del Considerato in diritto.
Ibidem, a proposito – come accennato – del seguito da darsi alla procedura, allorché
sia intervenuta una sentenza di accoglimento, che colpisce una disposizione, oggetto di una
richiesta di referendum abrogativo.
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preposto l’Ufficio centrale per il referendum, al quale questa sentenza va
comunicata, in ottemperanza al disposto dell’ultimo comma dell’art. 33 della
citata legge”22.
Le fattispecie in esame potevano dirsi due, ovviamente equiparate:
abrogazione espressa o per incompatibilità e sentenza di accoglimento
“secco”.
b) Si è già accennato al fatto che l’Ufficio centrale per il referendum ha
ripreso il testo della sent. n. 68/197823. Del relativo contenuto si è citato
qualche significativo frammento24, la cui portata deve essere definita alla luce
di talune altre significative affermazioni, che riguardano – detto in breve, ma
con l’indispensabile chiarezza – l’essenziale25 e ciò che essenziale non è:
perché è marginale, secondario, non rilevante, se non, addirittura, superfluo.
Che coinvolgono una data matrice26, la quale incide sulla applicazione
dell’art. 39 della legge n. 352/1970.
A tale proposito, vale la pena di ricordare ciò che ha determinato la
Corte a sollevare, dinanzi a sé stessa, “d’ufficio”, “la questione di legittimità
costituzionale” del citato art. 39. Essa osserva che “Nell’articolo impugnato
si dispone (…), senza distinguere fra le diverse ipotesi di abrogazione, che se
‘la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il
referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’Ufficio centrale per il
referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso’. Con ciò
stesso possono però determinarsi – come la Corte ha notato – ‘applicazioni
lesive delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute ai firmatari delle
richieste di referendum’: quanto meno nella parte in cui l’art. 39 ‘prevede che
il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la
Ibidem.
V. la nota 15 ed ivi un sintetico appunto critico.
V. il testo, cui sono riferite le note 13 e 15.
“Che costituisce, rappresenta ciò che è proprio di una cosa e fondamentale”: Il
piccolo Rizzoli Larousse, Rizzoli Larousse, Milano, 2004, ad vocem.
“Ciò che sta alla base di qualcosa”: Il piccolo Rizzoli Larousse, cit., ad vocem.
“Condizione di vitale importanza; dal punto di vista preparatorio e formativo: l’esperienza
romantica rappresenta la vera m. della prosa manzoniana”: G. DEVOTO, G.C. OLI,
Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 2024, ad vocem.
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sopravvenuta norma abrogativa sia accompagnata dalla emanazione di altra
normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o
di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli
precetti, né i principi ispiratori della complessiva disciplina sottoposta a
referendum”27.
La fattispecie è, dunque, quella dell’abrogazione espressa o per
incompatibilità di disposti, oggetto di richieste di referendum abrogativo. A
tal fine – precisa la Corte –, “occorre stabilire in quali rapporti si trovino – ai
sensi dell’art. 75 Cost. – le richieste di referendum abrogativo o gli atti
legislativi che producono, prima dell’effettuazione dei referendum,
l’abrogazione delle leggi, degli atti aventi forza di legge ovvero dei singoli
disposti, inizialmente indicati dai promotori delle richieste medesime”28.
Meglio ancora, perché ciò non basta. Infatti, “Più specificamente, deve essere
accertato se la legislazione ordinaria sia paralizzata o altrimenti limitata, nel
corso dei procedimenti per il referendum, quanto agli oggetti delle richieste
referendarie; e reciprocamente deve essere accertato se con tali richieste
possano validamente interferire, e con quali conseguenze, gli eventuali atti di
esercizio della funzione legislativa conferita alle Camere dall’art. 70 della
Costituzione”29.
Esclusa ogni paralisi della funzione legislativa, in forza del suo carattere
inesauribile30, ed ammessa la facoltà di legiferare in qualunque momento, la
Corte precisa che è necessario considerare i casi di “abrogazione totale”, di
“abrogazione parziale”, di “abrogazione dissociata” e di abrogazione
Corte cost., sent. n. 68/1978, Ritenuto in fatto. Qui sta la ragione giustificativa della
rimessione “d’ufficio”. Sul punto, “i promotori assumono che ‘il legislatore non possa
sottrarsi alla verifica popolare se non abrogando la legge o l’atto avente forza di legge,
secondo l’intenzione dei richiedenti la consultazione’: vale a dire, attraverso una
‘eliminazione pura e semplice della legge o dell’atto avente forza di legge dall’ordinamento
giuridico’” (ibidem). Questo è il punto di vista dei promotori dell’odierno referendum, il
quale – a ben vedere – intende privare di ogni contenuto (se non formalmente, nella sostanza)
l’art. 116, 3° co., Cost., eliminando tutto ciò che è riconducibile all’autonomia differenziata:
v. M. VILLONE, Gli “zombie” dell’autonomia insistono: ora il referendum, in il Fatto
Quotidiano, 24 dicembre 2024, 15.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 1 del Considerato in diritto.
Ibidem.
Ibidem.
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“accompagnata da una nuova regolamentazione della materia, mediante
innovazioni di sostanza o di forma, di principio o di dettaglio”31. Perché, “gli
effetti abrogativi, in quanto incidenti sull’oggetto del quesito referendario,
non possono non ripercuotersi sulla corrispondente richiesta”32. E l’art. 39
della legge n. 352/1970 “non predispone adeguati mezzi di tutela dei firmatari
delle richieste di referendum abrogativo”33. In gioco vengono tre attori: i
promotori, il corpo referendario e il legislatore, la cui posizione deve essere
valutata oggettivamente: non sulla base delle rispettive intenzioni, la cui
rilevanza e consistenza possono essere variamente condizionate da premesse
di carattere politico, antropologico, sociologico, culturale e via dicendo.
Ebbene, non è questione di nominalismi, dal momento che “gli atti o i
disposti legislativi indicati in ciascuna richiesta non sono altro che il mezzo
per individuare una data normativa sulle sorti della quale gli elettori vengono
in effetti chiamati a pronunciarsi”34. Essa va presa in considerazione ed
analizzata – come si è avuto occasione di ricordare35 – valorizzando il
parametro definito con l’espressione “matrice razionalmente unitaria”, di cui
va adeguatamente valutato il contesto36.
Ivi, n. 2 del Considerato in diritto.
Ibidem, nell’esordio.
Ivi, n. 3 del Considerato in diritto.
Ibidem.
V. il testo, cui è riferita la nota 10.
Vale la pena di avere a portata di mano il brano complessivo, nel quale è inserita la
locuzione, formulata, per la prima volta, nella sent. n. 16/1978. Appunto, “Nella sentenza n.
16 di quest’anno, giudicando sull’ammissibilità della richiesta per l’abrogazione
dell’ordinamento giudiziario militare, la Corte ha viceversa precisato che ‘il tema del quesito
sottoposto agli elettori non è tanto formato (…) dalla serie delle singole disposizioni da
abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava’; ed in questi termini ha
coerentemente valutato se alla base delle varie richieste assoggettate al suo giudizio fosse o
meno riscontrabile quella ‘matrice razionalmente unitaria’, in vista della quale dev’essere
accertata l’omogeneità dei corrispondenti quesiti. Con analoghi criteri va ora risolto il
problema dei limiti in cui può verificarsi – legittimamente – il blocco delle operazioni per il
referendum, a causa degli effetti abrogativi previsti dall’art. 39 della legge n. 352 del 1970.
Se ‘l’intenzione del legislatore’ – obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte –
si dimostra fondamentalmente diversa e peculiare nel senso che i relativi principi ispiratori
sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia, la nuova legislazione non è più
ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i
sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all’abrogazione della normativa già in vigore,
abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum quella stessa ulteriore disciplina.
Se invece l’‘intenzione del legislatore’ rimane fondamentalmente identica, malgrado le
innovazioni formali o di dettaglio che siano state approvate dalle Camere, la corrispondente
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È evidente, infatti, che la lesione della “sovranità popolare” si ha solo
quando le modificazioni normative possiedono i caratteri indicati dal Giudice
delle leggi. Giudice, che ha ritenuto di dover chiarire, espressamente, che cosa
distingue la richiesta di referendum riguardante “nella loro interezza una
legge od un atto equiparato (od anche un organico insieme di disposizioni,
altrimenti individuate dal legislatore) da quella in cui fosse stata proposta
soltanto l’abrogazione di disposizioni specifiche”37.
A prescindere dalla seconda situazione, qualora sia chiesta l’integrale
abrogazione della legge38, “questa Corte ritiene che l’indagine non possa
limitarsi alle affinità o alle divergenze riscontrabili fra le singole previsioni
della precedente e della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raffronti
fra i principi cui si informino nel loro complesso l’una o l’altra disciplina;
sicché il mutamento dei principi stessi può dare adito al blocco delle relative
operazioni referendarie, quand’anche sopravvivano – entro il nuovo
ordinamento dell’intera materia – contenuti normativi già presenti
nell’ordinamento precedente”39. Del resto, “non si può certo sostenere che
gli elettori vengano chiamati a votare su un quesito affatto diverso da quello
per cui erano state operate la presentazione e la sottoscrizione della richiesta
di referendum abrogativo”40. Il che non si configura – ribadisce la Corte –
quando siano introdotte “modificazioni formali o di dettaglio”41.
richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo (attivata da
quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza” (il grassetto è di chi scrive).
Ripreso espressamente, senza le necessarie puntualizzazioni, dall’Ufficio centrale per il
referendum.
L’Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto inammissibile la richiesta di
abrogazione parziale della legge n. 86/2024 con l’ordinanza definitiva del 12 dicembre 2024,
n. 10.1, 33 ss. In questo caso – si legge nella sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto
– “decisivo è il confronto fra i contenuti normativi dei singoli precetti, senza che occorra aver
riguardo ai principi dell’intero ordinamento in cui questi si trovino inseriti: appunto perché i
promotori ed i sottoscrittori delle richieste di referendum non avevano di mira l’abrogazione
di quell’ordinamento considerato nella sua interezza”.
È il caso in esame, come è indicato nel quesito, ove si conclude con “abrogazione
totale”.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto. Il grassetto è di chi
scrive.
Ibidem.
Ibidem.
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Infine – poiché repetita iuvant; ed anche perché da quel che segue
traspare evidente, nel linguaggio adoperato dal Giudice d’allora, una richiesta
di rigore, riconducibile ad un’indagine oggettiva sullo stato della normazione
di risulta, che va depurata di tutto ciò che attiene ad auspici politico-partitici,
talora addirittura veementi –, “In questi termini, l’Ufficio centrale per il
referendum è dunque chiamato a valutare – sentiti i promotori della
corrispondente richiesta – se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel
corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da
precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina
preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una
conclusione
negativa
dell’indagine,
legislazione
successiva.
Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di
verificare se non sussistano eventuali ragioni d’inammissibilità, quanto ai
nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare
abrogativo”42.
L’odierna vicenda possiede caratteri comuni, rispetto al caso
considerato nella sent. n. 68/1978: in specie, per quanto concerne l’effetto
dell’abrogazione totale. Ad essa si debbono aggiungere le non poche
interpretazioni conformi a Costituzione, che concorrono a modificare nella
sostanza – è da credere – quanto originariamente previsto43 dalla legge n.
86/2024. La quale deve essere letta congiuntamente non al testo di una legge
successiva (modificativa o integrativa), ma di una sentenza (di proporzioni e
di complessità fuori dal comune): della monumentale sent. n. 192/2024, di
non agevole comprensione, neppure da parte di chi si può considerare
“giurisperito addetto ai lavori”44.
Fin d’ora, ci si può chiedere: quale “sovranità del popolo (attivata da
quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza”45? Affinché sia
Ibidem.
Stando alla prospettazione delle Regioni ricorrenti, condivisa dalla Corte. Ben altro
è il punto di vista della Regione del Veneto, come risulta dalla memoria predisposta in vista
dell’udienza pubblica del 12 novembre 2024 e, persino, dalla lettura di ChatGPT.
Si può tradurre così: costituzionalista di lungo corso.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto, già ripresa più volte.
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davvero esercitata – il che significa: consapevolmente –, è indispensabile che
il quesito sia chiaro ed intellegibile, nonché omogeneo46. Può essere anche
complesso, ma deve sempre tenere conto che, chiamato alla urne, è l’“uomo
della strada. uomo qualunque”: vale a dire, “un cittadino che discute,
commenta, critica, senza una particolare competenza e un particolare acume,
tanto meno in termini tecnici, ma soltanto al lume del suo buon senso, gli atti
o l’inerzia degli uomini di governo, che, a suo parere, mancano precisamente,
molto spesso, di senso comune”47.
* * *
3. Il comunicato stampa del 14 novembre 2024
Il buon senso suggerisce di ritenere che la Corte costituzionale abbia,
fin dall’inizio, messo a fuoco il problema dei problemi: la conclusione
dell’intera vicenda, rappresentata dai ricorsi regionali e dalle richieste
referendarie. Che abbia, in una tale prospettiva, scelto, tra le varie possibili,
il tipo di sentenza idoneo ad assicurare un ben determinato risultato. Se così
non fosse, ci si dovrebbe preoccupare. Dunque, accoglimento delle
impugnative nella loro globalità, con blocco dei referendum; rigetto delle
stesse, con via libera ai referendum48; interpretativa (di accoglimento o di
rigetto), non in grado di precludere, di per sé, la parallela via referendaria? È
una premessa, che consente di precisare, con argomenti del tutto lineari, quale
è – a parere di chi scrive, in funzione di chi legge – la portata della sent. n.
192/2024, nella prospettiva referendaria.
Se ne riparlerà sub 6.
S. ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Giuffrè, Milano, 1983, 234. Il
grassetto è di chi scrive.
Fermo restando che l’irrilevanza dei limiti espressi e delle ragioni di inammissibilità
dipende da ben determinate premesse. Ad es., dal fatto di ritenere che la legge n. 86/2024
incida, in qualche modo, sul bilancio; che sia indispensabile all’attuazione dell’art. 116, 3°
co., Cost. (come ha ritenuto più di qualcuno, ivi compreso il ministro Francesco Boccia: da
ciò l’opinione, stando alla quale la legge n. 86/2024 sarebbe una legge a contenuto
costituzionalmente obbligatorio). Nel vuoto di ogni pronuncia, sono innumerevoli le ipotesi
che si possono avanzare, considerando precedenti non certo univoci.
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Sotto questo profilo, assume un non trascurabile rilievo il comunicato
stampa del 14 novembre 2024, diramato dalla Corte costituzionale. Tutto ciò,
per evitare letture distorte del proprio operato ed avvalorare interpretazioni
coerenti con quanto deciso. Istruttivo, proprio nel caso di specie, l’ordine
sistematico delineato nel comunicato stampa.
a) Stando ad esso, la Corte costituzionale, in linea di principio:
– “ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera
legge sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie (n. 86 del 2024)”;
– ha considerato “invece legittime specifiche disposizioni dello stesso
testo legislativo”;
– ha affermato che “l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (…)
deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”49;
– ha precisato che “la distribuzione delle funzioni legislative e
amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo”, ex art. 116, 3° co.,
Cost., non deve “corrispondere all’esigenza di un riparto di potere”, dovendo
“avvenire in funzione del bene comune”, presidiato dalla “sussidiarietà”;
– ha notato che, “In questo quadro, l’autonomia differenziata deve
essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad
assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle
attese e ai bisogni del cittadini”. L’esatto contrario di quanto deve essere
addebitato alla legge n. 86/2024, la quale – a detta delle Regioni ricorrenti e
dei proponenti la richiesta di referendum abrogativo dell’intera legge
Calderoli – avrebbe reso possibile la “secessione dei ricchi”50.
Facendo applicazione di tali premesse di carattere generale, la Corte ha,
quindi, escluso che siano conformi a Costituzione (dichiarandone
È la chiave di lettura, cui si è fatto cenno alla nota 16. Essa è caratterizzata dall’unità
della Repubblica, dalla solidarietà, dall’eguaglianza, dalla garanzia dei diritti dei cittadini e
dall’equilibrio di bilancio, che condizionano il “ruolo fondamentale delle Regioni” e le
relative “forme particolari di autonomia”.
Stando ad una felice – oppure infelice: dipende dal punto di vista e, soprattutto, da
quel che accadrà in futuro, quando occorrerà agire in concreto per il “bene comune” –
espressione (divenuta slogan) di G. VIESTI, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie
regionali e unità nazionale, Laterza, Roma-Bari, 2019.
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l’illegittimità) le disposizioni (articoli e commi della legge impugnata) che
prevedono:
– “la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva
legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie”, anziché
funzioni, in ossequio al principio di sussidiarietà e da giustificare, “in
relazione alla singola Regione”;
– di delegare il Governo a determinare i Lep, in assenza di principi e
criteri direttivi; che il loro aggiornamento avvenga con Dpcm e che, con la
medesima fonte, si provveda fino alla approvazione con decreto legislativo;
– “la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote
della compartecipazione al gettito dei tributi erariali”: anche perché
“potrebbero essere premiate le Regioni inefficienti”;
– “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie
della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica”;
– “l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo
comma, Cost. alle Regioni a Statuto speciale”.
Numerose disposizioni, poi, sono state interpretate “in modo
costituzionalmente orientato”: integrando, con ciò – attraverso un intervento,
che incide in profondità sui significati attribuiti, dalle ricorrenti e dai
promotori del referendum abrogativo della legge n. 86/2024, alla stessa – le
declaratorie di incostituzionalità poc’anzi accennate. Si tratta di aspetti
qualificanti, che incidono – al pari di quel che precede – sia sulla forma di
Stato, sia sulla forma di governo. Ed infatti:
– “l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va
intesa come riservata unicamente al Governo”;
– “la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa”;
– se una materia è definita “no-Lep”, “i relativi trasferimenti non
potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali”;
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– in sede di quantificazione delle compartecipazioni, non si dovrà fare
riferimento alla spesa storica51, bensì ai costi e fabbisogni standard;
– “la clausola di invarianza finanziaria richiede (…) che (…) si tenga
conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo
economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”.
Infine, “Spetta al Parlamento (…) colmare i vuoti”. Mentre “la Corte
resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di
differenziazione”. A conferma – indiretta, ma chiarissima – del fatto che è
stato imposto (quantomeno con riferimento alle tesi sostenute dalle Regioni
ricorrenti) un netto cambio di rotta: una vera e propria inversione di marcia52.
b) Poiché si ragiona di ammissibilità di un referendum abrogativo,
destinato a coinvolgere il cittadino-elettore, va da sé che non siano irrilevanti
le informazioni date all’opinione pubblica. Essa è venuta a sapere, ad
esempio, che “la legge esce (…) malconcia dall’esame della Consulta”, e che
“È il concetto di ‘solidarietà’, secondo la sentenza, a venire messo in
discussione dalla ‘legge Calderoli’”53. Che la legge impugnata è divenuta
“una scatola vuota”54. Che, “Alla fine, lo scorso novembre, il provvedimento
è stato svuotato in gran parte dalla Consulta, che ha ritenuto incostituzionali
alcune parti salienti della riforma e da riscrivere in Parlamento altre norme
non meno rilevanti”55.
È bene ricordare che questo criterio, fonte perenne di discriminazioni, è stato
imposto dal Mef. Più volte contestato dal punto di vista della sua discutibile legittimità
costituzionale, è stato sempre fatto salvo: v., da ultimo, la sent. n. 133/2024. Ma v.,
soprattutto, Considerazioni finali 2008 dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario
Draghi. Costui osservò – senza alcun seguito – che “Il sistema dei trasferimenti agli enti
decentrati deve abbandonare il criterio della spesa storica, che premia l’inefficienza”. Ed
aggiungeva: “Cardine di una sana autonomia fiscale è la stretta corrispondenza tra esborsi e
tassazione: ogni onere aggiuntivo dovrebbe idealmente trovare finanziamento a carico dei
cittadini cui l’amministrazione risponde. Ne sono condizioni la disponibilità di basi
imponibili ampie e stabili, vincoli severi all’assunzione di debito, regole predefinite per i
trasferimenti dal centro”. Quella invocata dalla Corte è una rivoluzione copernicana, come
dimostra, a chiare lettere, l’inciso “maggiore responsabilità politica”, che ridefinisce –
mutandola radicalmente – la “matrice razionalmente unitaria” della legge n. 86/2024, letta
unitamente alla sent. n. 192/2024.
Come appare, fin d’ora; e come si chiarirà nel prosieguo: v. sub 4.
In il Giornale, 3 dicembre 2024.
È l’opinione di Antonio D’Andrea (cui si è già fatto cenno alla nota 6), ripresa da
S. TRUZZI, “Per il governo sarà difficile riscriverla: è una scatola vuota”, cit.
G. TORLONTANO, Il labirinto delle riforme, in L’Espresso, 20 dicembre 2024, 32.
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Altri ha rilevato che “quella legge è in sostanza divisibile in due parti:
da un lato essa regola la procedura delle intese fra Stato e Regioni interessate
all’autonomia differenziata, dall’altro determina i tratti della differenziazione,
dei nuovi poteri e del regime finanziario da riconoscere alle Regioni con le
quali le intese vengono stipulate”56. Relativamente ad esse, “la Corte
costituzionale ha nullificato la seconda, conservando invece in vita quasi nella
sua interezza quella riguardante la procedura di formazione delle intese”57.
Con un particolare non trascurabile, però: il Parlamento non dovrà limitarsi a
un “prendere o lasciare”, ma potrà emendare la bozza di intesa, diversamente
da quanto stabilito – sulla base di una differente concezione della forma di
governo, a regia dell’esecutivo – dalla legge n. 86/2024.
c) Sia pure a breve distanza dalla diramazione del comunicato del 14
novembre 2024, c’è stato chi lo ha commentato con apprezzabile rigore,
dando atto, in primo luogo, che la sentenza è destinata a provocare l’insorgere
di problemi “di non facile soluzione”58. Anche perché “molti detrattori della
legge 86 (…) avevano (ed hanno) di mira il bersaglio grosso, retrostante: il
disposto costituzionale, la fonte cioè da cui, a loro dire, sgorga un’acqua
sporca e inquinata”59. Vero è che la Corte ha valorizzato il principio di
sussidiarietà, considerato emendabile l’intesa, rilanciato il ruolo del
Parlamento e così via60: lungo una direttrice di marcia, che diverge non poco
rispetto a quella originaria, uscita dalle mani della Corte per così dire
ristrutturata, sulla scorta – per rimanere fedeli alla metafora dell’architetto –
di un differente progetto.
Per questa ragione, taluno ha concluso che i vizi “riscontrati” dalla
Corte “sono tali da costringere l’Ufficio centrale per il referendum presso la
Corte di cassazione a dichiarare che il referendum incentrato sul quesito che
S. BARTOLE, Cosa resta del referendum abrogativo, in il mattino di Padova, 20
dicembre 2024, 6.
Ibidem.
A. RUGGERI, Il regionalismo differenziato fa tappa presso la Consulta prima di
riprendere il suo viaggio verso… l’ignoto, in Diritti regionali. Rivista di diritto delle
autonomie territoriali, n. 3/2024, 858.
Ivi, 859.
Ivi, 861 ss.
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colpisce l’intera legge non si potrà tenere”61. L’Ufficio centrale ha risolto
altrimenti il problema, sulla base di quanto stabilito nella sent. n. 192/2024.
* * *
4. La sentenza n. 192/2024 della Corte costituzionale
La più volte citata sent. n. 192/2024 va letta ed esaminata con la dovuta
attenzione, anche alla luce di quanto la Corte costituzionale ha stabilito – in
un caso non perfettamente analogo, rispetto a quello in questione – con la
sent. n. 68/1978. È evidente, infatti, che sono destinati ad assumere la veste
di parametro (nell’ottica dell’art. 39 della legge n. 352/1970) le espressioni
“contenuti normativi essenziali dei singoli precetti” e “principi ispiratori della
complessiva disciplina”62; nonché, soprattutto, in forza di un richiamo
espresso alla sent. n. 16/1978, l’inciso “matrice razionalmente unitaria”63.
Quale è, dunque, la portata della sent. n. 192/2024? Come e in quale
misura e a quale livello normativo incide sulla legge n. 86/2024? Quale il
significato e quale la rilevanza – ai fini dell’ammissibilità della richiesta di
referendum abrogativo, in primo luogo, ex art. 39 della legge n. 352/1970 –
della formula “come risultante a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 192/2024”64? Sono plurime le declaratorie di illegittimità
costituzionale (creano lacune nelle disposizioni); molteplici i casi di
interpretazione conforme a Costituzione (creano lacune nelle norme); ma –
ciò che ancor più conta – è il quadro costituzionale di carattere generale, che
viene ridisegnato e riperimetrato, attraverso una rilettura (cogente) di
capisaldi dell’ordinamento costituzionale, destinati a reagire sia sulla forma
di Stato, sia sulla forma di governo: che non sono e non possono essere
L.A. MAZZAROLLI, Sul “comunicato stampa” 14 novembre 2024 che preannuncia
i contenuti della sentenza della Corte costituzionale sulla c.d. “legge Calderoli” n. 86/2024,
in Ambiente Diritto, n. 4/2024, 1 ss.
Corte cost., sent. n. 68/1978, Ritenuto in fatto.
Ivi, n. 3 del Considerato in diritto.
In disparte, i vari limiti e ragioni di inammissibilità, che possono essere condizionati
da questa preliminare ed autonoma questione.
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ritenute fossero (stando all’interpretazione data dalla legge n. 86/2024) quelle
del testo (non a caso, amputato) della legge impugnata da alcune Regioni.
L’affermazione deve essere sorretta da puntuali argomenti e da
altrettanto puntuali richiami65.
a) Termine di riferimento costante è “la sovranità del popolo”66, attivata
dall’iniziativa referendaria, di cui qui si discute, relativamente al testo
originario della legge n. 86/2024, la cui “matrice” è stata ovunque
commentata con parole sferzanti. Termine di riferimento è, quindi, il quesito,
il quale, oltre a dover possedere i caratteri indicati dalla giurisprudenza
costituzionale, a partire dalla sent. n. 16/1978, deve rimanere stabile nel
tempo quanto al suo significato: nell’arco di tempo che corre dalla sua
formulazione e formalizzazione a quando l’elettore dovrà pronunciarsi con
un sì o con un no. L’esistenza di una continuità acclarata o di una frattura
insanabile tra quesito originario e quesito finale deve fare i conti con il
decisum del Giudice delle leggi, il quale è intervenuto – modificandolo
profondamente – sull’oggetto della richiesta referendaria.
Un primo sintomo – è una vera e propria prova provata – di un evidente
cambio di passo è rappresentato dalla filosofia di fondo, che caratterizza,
rispettivamente, la lettura della Costituzione data dalle Regioni ricorrenti (per
come l’hanno concepita, in base al testo della legge n. 86/2024) e data dalla
Corte costituzionale con la sent. n. 192/2024.
Che rimangono, peraltro, di necessità legati alla sintesi.
Corte cost., sent. n. 68/1978, n. 3 del Considerato in diritto.
Ognuno sa che su ogni canale televisivo e radiofonico; su ogni testata giornalistica
nazionale e locale; in ogni dibattito (salvo eccezioni irrilevanti) si è affermato e
costantemente ribadito che si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare illegittima e al
corpo referendario di abrogare, nella sua integralità, una legge definita spacca-Italia. Questo
è quel che sa l’elettore. Alfieri indiscussi, Massimo Villone e i giuspubblicisti
dell’Università di Napoli (Radio Radicale), i quali hanno dichiarato che va messa a tacere,
una volta per sempre, la c.d. autonomia differenziata: perché l’art. 116, 3° co., Cost., è una
disposizione eversiva (per la verità, Massimo Villone ha precisato che avrebbe senso per il
Veneto: così doveva essere, come la Regione del Veneto ha sempre sostenuto). Il fatto è che
l’art. 116, 3° co., Cost. è in vigore: la Corte lo ha interpretato, dando voce all’ordinamento
costituzionale complessivo, definendo i relativi contorni, che non sono più (perché non sono
più concepibili) quelli attribuiti, dai promotori del referendum e dalle Regioni ricorrenti, alla
legge n. 86/2024: per come è stata licenziata dal Parlamento.
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Infatti, si è sostenuto67 che “l’eventuale attuazione della legge n.
86/2024, nonché delle singole disposizioni sopra segnalate, determinerebbe
gravissimi danni alla Regione Campania, in termini di lesione delle
attribuzioni costituzionali e, ancor prima, in termini di mutamento dell’assetto
della stessa forma di Stato nella quale la Regione esplica le sue funzioni ed
attribuzioni, determinando un sistema iniquo che non consentirebbe alle
Regioni non differenziate di attendere alle proprie funzioni per la residualità
dei mezzi finanziari previsti, alla luce dell’espressa previsione di invarianza
di bilancio, che non permette allo Stato di redistribuire la ricchezza; e
determinerebbe altresì gravissime ripercussioni sul tessuto sociale e sui
bilanci della Regione Campania, sottraendo risorse ad oggi assegnate alla
stessa. L’attuazione della legge minerebbe alle fondamenta, del tutto
illegittimamente, l’unità culturale ed economica del Paese, con gravissimi
danni per il territorio campano sotto il profilo sociale, culturale ed economico,
aggravando il divario attualmente esistente con le Regioni più ricche, in
quanto la legge altera la forma di Stato, inclinando il suo regionalismo
cooperativo in competitivo senza prima allineare i soggetti territoriali,
costretti a una gara economico-istituzionale tra diseguali”68.
Dunque, l’incidenza è, innanzi tutto, sulla forma di Stato, mutilata sia
sul versante sociale, sia su quello propriamente costituzionale. Repubblica
disunita, discriminata nelle sue componenti più deboli; solidale al contrario;
diseguale, perché orientata a favorire, piuttosto che gli infelici, i fortunati:
appunto – come sta scritto e si legge –, “le Regioni più ricche”.
Ebbene, la sent. n. 192/202469 nega che ciò sia plausibile e che sia
consentito dall’art. 116, 3° co., Cost. Con la conseguenza, naturale, che la
legge impugnata dovrà avere ben altri significati. Un significato radicalmente
Del medesimo tenore sostanziale, quanto si legge nei ricorsi delle Regioni Puglia,
Toscana e Sardegna.
Ricorso della Regione Campania, in G.U., Prima serie speciale, n. 38, del 18
settembre 2024, 45.
Una volta data questa lettura della legge n. 86/2024.
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diverso da quello ad essa attribuito e temuto70, dal momento che l’unica forma
di regionalismo compatibile con la Legge fondamentale è il regionalismo
“cooperativo”71: “Come illustrato nel punto 4”, afferma la Corte72.
Infatti, tutto dipende dall’“interpretazione dell’art. 116, terzo comma,
Cost., introdotto dalla riforma costituzionale del 2001”73. Tale disposto non è
oggetto del quesito referendario, ma incide – non potrebbe essere
diversamente – sulla normatività (sotto il profilo sia qualitativo sia
quantitativo della sua forza giuridica) della legge n. 86/2024. Poiché – nota la
Corte – “Tale disposizione, che consente di superare l’uniformità
nell’allocazione delle competenze al fine di valorizzare appieno le
potenzialità insiste del regionalismo italiano, non può essere considerata
come una monade isolata, ma deve essere collocata nel quadro complessivo
della forma di Stato italiana, con cui va armonizzata”74.
Tra l’altro, da circa 200 giuspubblicisti, tra cui alcuni ex Presidenti della Corte
costituzionale: Mirabelli, Casavola, Flick, Gallo…
Corte cost., sent. n. 192/2024, n. 23.3. del Considerato in diritto. Ecco il contesto,
in cui si colloca questa nota espressione: “Questa Corte, peraltro, non può esimersi dal
rilevare che è improcrastinabile l’attuazione del fondo perequativo previsto dall’art. 15 del
d.lgs. n. 68 del 2011: un ordinamento che intende attuare la punta avanzata del regionalismo
differenziato non può permettersi di lasciare inattuato quel modello di federalismo fiscale
‘cooperativo’ (sentenza n. 71 del 2023), disegnato dalla legge delega n. 42 del 2009 e dai
suoi decreti attuativi, che ne consente un’equilibrata gestione”. Sarebbe interessante
soffermarsi sulle cause di tante inerzie e rinvii: non sono alla portata del metodo deduttivo,
che rifugge dai fatti.
Ivi, n. 8.4. del Considerato in diritto, che ricorda come il n. 4 contenga
puntualizzazioni di rilevanza, per così dire, strategica.
Da notare, fin d’ora, che questa parte della sentenza n. 192/2024 è stata ignorata
dall’Ufficio centrale per il referendum, stando all’ordinanza definitiva del 12 dicembre 2024:
v. n. 9.1. ss. (25 ss.), ove ne è ripreso o poco più il dispositivo. Nulla è detto circa il
comunicato stampa della Corte costituzionale del 14 novembre 2024 (che espone una
sistematica apprezzabile e indica le linee di lettura dell’emananda pronuncia: v. sub 3).
Mentre le “aree tematiche” (individuate al n. 3 del Considerato in diritto) sono state oggetto
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- 27.01.2025 ore 19:00 COD – Center For Openness And Dialogue / Commemorazione del Giorno della memoria. Concerto per chitarra classica del Maestro Denis Bizhga