
Agli Stati Generali delle Aree Protette non dovevano assolutamente mancare gli allevatori estensivi e i pastori che, da generazione, utilizzano in modo sostenibile tali aree e alle quali sono legati non solo per esigenze economiche ma per evidenti e fortissimi legami culturali e identitari. “La partecipazione di una nostra piccola delegazione ha rappresentato un’occasione importante, per cercare, in tutti i modi, di portare le nostre rivendicazioni all’attenzione dei più alti vertici politici del Ministero dell’Ambiente, nonché sul pulpito del macrocosmo ambientalista” ha affermato Virgilio Morisi, allevatore di Pescasseroli e Presidente dell’ETS “Iura Civium ad Bonum Naturae” – Abruzzo.
La presenza di alcuni allevatori all’evento è stata, e sarà sicuramente utile alle nostre rispettive organizzazioni, per capire gli orientamenti del governo in merito alle politiche ambientali e a calibrare, di conseguenza, delle controproposte sensate. “Non crediamo alla favola rewilding di una natura che rigenera automaticamente se stessa, ricreando un equilibrio perduto” afferma Morisi. E’ evidente, ad esempio, che agli stravolgimenti ambientali che hanno portato all’espansione incontrollata di alcuni ungulati (es. cinghiali e cervi) sul nostro territorio, non si può che rispondere attraverso azioni mirate, e scientificamente adeguate, di cui l’uomo si deve fare necessariamente carico, proprio perché ‘madre natura’ è stata sconvolta e non riesce più ad ‘autorigenerarsi’ da sola…come invece vorrebbe una certa narrazione in salsa ‘rewilding’. A visioni ideologiche stereotipate, bisogna sostituire interventi calibrati che mettano in risalto le conoscenze ed esperienze di chi vive sul territorio. “Insomma non si può più interpretare la presenza dell’uomo, ad esempio, in un’area protetta, sempre e comunque, come una minaccia per la natura. Bisogna, invece, imparare a guardare alle esperienze e conoscenze dei residenti, e di noi allevatori estensivi, come un valore aggiunto per il territorio” lo afferma Guglielmo Lauro, Presidente di CAAT – Molise.
“Per certi versi ci siamo trovati parecchio spaesati, assistendo ai lavori degli Stati Generali” continua Morisi “eravamo consapevoli di essere ospiti non graditi e, ovviamente, non invitati, ma – diligentemente – ci siamo iscritti online e, con un po’ di fortuna, oltre ad essere stati presenti, siamo anche riusciti a dire due parole”. L’intervento passionale di Giuseppe Tatangelo, allevatore estensivo di Trasacco (AQ), ha riportato al centro del dibattito la questione dei diritti civici dei residenti, spesso calpestati all’interno delle aree protette. Tatangelo ha sottolineato come il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) entra in competizione con gli allevatori per accaparrarsi nuovi territori che, invece di essere fidati a quest’ultimi, sono affittati al Parco. Attraverso questi meccanismi subdoli, tristemente avallati dai sindaci compiacenti, vengono sottratte aree pascolive agli allevatori. Tatangelo ha parlato anche dell’applicazione punitiva della Valutazione d’Incidenza Ambientale (VIncA). Si tratta di una procedura prevista dall’Unione Europea che ha lo scopo di accertare preventivamente se determinati progetti possono avere incidenza sulla conservazione di Siti d’Importanza Comunitaria, ma non dovrebbe applicarsi al pascolo. Oggi, a causa dei parametri proposti dalla VIncA, gli allevatori sono costretti a ridurre le proprie aziende dal 30% al 50%. Questo si traduce in una consistente riduzione del numero di bestiame e, conseguentemente, in un calo significativo del reddito. Infatti, il parametro per il carico di bestiame di 1UBA per ettaro e stato ridotto a 0,3 UBA per ettaro, ciò significa che per ogni mucca ci vogliono oggi 3,3 ettari di pascolo. Questi parametri sono stati calcolati per il pascolo perennale e, quindi, non sono applicabili a chi, come i pastori transumanti, utilizza i pascoli di montagna per un periodo che va generalmente dai 60 ai 120 giorni.
Tatangelo ha anche chiesto che si faccia chiarezza sulle responsabilità del Dott. Luciano Sammarone, oggi direttore del PNALM, per l’annegamento di ben cinque orsi marsicani in una cisterna sita su Monte Breccioso. Due orsi sono annegati nel 2010, all’interno di quella cisterna, a cui si aggiungono altri tre orsi morti nel 2018, nello stesso modo e nello stesso luogo. Secondo Tatangelo, dopo il primo incidente, il Parco avrebbe dovuto collaborare con il comune locale per rendere la cisterna sicura e prevenire nuove morti, ma non ha fatto nulla. Alla fine, la cisterna è stata sigillata mentre, secondo Tatangelo, il Parco avrebbe dovuto creare un accesso sicuro per gli orsi a questa preziosa fonte d’acqua. Poiché l’acqua non si trova più su Monte Breccioso, gli orsi hanno ora invaso il vicino villaggio di Balsorano (AQ) e altre zone limitrofe. Per Tatangelo, come per molti altri allevatori, spesso la gestione della fauna selvatica all’interno dei Parchi è carente e, sicuramente, fallimentare per quanto riguarda il PNALM. Anziché porre tanta enfasi sulla creazione di corridoi per gli orsi e sulla creazione di nuove riserve integrali (ha anche affermato Tatangelo in altre occasioni) bisognerebbe provare qualcosa di diverso per aumentare la disponibilità di cibo per gli orsi, al fine di fermare o almeno ridurre i loro spostamenti verso villaggi e aree agricole. Insomma, l’intervento di Tatangelo al Convegno sugli Stati Generali delle Aree Protette, non è stato – affatto – fuori tema, ma ha posto l’attenzione – ancora una volta – sulla necessità di coinvolgere gli attori locali e le loro conoscenze, nella gestione delle aree protette. Aspettativa, purtroppo, palesemente e puntualmente disattesa.
Tuttavia, nell’ambito di questa due giorni, ci sono stati anche ottimi interventi come quello del Sottosegretario La Pietra, in apertura lavori, e del Presidente della Regione Lazio, La Rocca, a difesa dei valori tradizionali legati alla gestione del patrimonio naturalistico italiano, sapientemente gestito con regole millenarie tramandate di generazione in generazione e che hanno saputo coniugare progresso, sviluppo socio economico e conservazione. Peccato, però, che – di primo acchito – le tavole tematiche presentate come documento introduttivo dei lavori e preparate dai tecnici del Ministero dell’Ambiente, sono apparse assolutamente in linea con le ideologie rewilding e con il relativo ‘mantra’ sul ripristino degli ‘ecosistemi naturali selvaggi’. Tutto questo fa riflettere su ciò che una rivisitazione della legge 394/91 potrebbe significare in chiave ‘rewilding’. Insomma, si domanda Morisi “la nuova versione della 394 frenera’ o agevolerà l’avanzare inesorabile del nuovo e salvifico auto-ripristino degli ecosistemi naturali che piace tanto agli ambientalisti radicali?”. Gli allevatori estensivi, infatti, temono che una modifica della 394 possa favorire l’instaurarsi di un sistema vincolistico su scala nazionale che vedrebbe il ‘sistema parchi’ inglobare e fagocitare ogni area sottoposta a qualsiasi grado di tutela (zone contigue, aree natura 2000, riserve di vario genere, etc.). Non a caso, sembra sia tornato alla ribalta un vecchio progetto denominato ‘Appennino Parco d’Europa’, che potrebbe acquisire la gran parte delle funzioni pubbliche, oggi attribuite agli enti locali Regioni, Province e Comuni. In tal modo, la governance dei Parchi sostituirebbe quella degli enti costituzionalmente preposti, allontanando sempre più i cittadini residenti dalla pianificazione gestionale dei propri territori.
Comunque, quello che bisognerebbe assolutamente evitare è che le modifiche che si vogliano apportare alla 394 vadano ad incidere, invece, su alcuni articoli che noi allevatori estensivi riteniamo fondamentali. Infatti, l’attuale Legge Quadro sulle aree protette recita all’articolo 11 sez. 5. che, nell’ambito dell’applicazione dei regolamenti dei Parchi: “restano salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali”. Inoltre, nella sezione h), 2-bis dello stesso articolo, è chiaramente specificato che i Parchi sono tenuti a valorizzare “altresì gli usi, i costumi, le consuetudini e le attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché le espressioni culturali proprie e caratteristiche dell’identità delle comunità locali….”. Se i cambiamenti che si vogliano apportare alla 394/91andranno a sostenere, con maggior vigore, i principi che l’articolo 11 già riporta, allora si sarà fatto un ulteriore passo in avanti, se andranno invece a depotenziarli, allora si rischierà, non solo, la fine delle nostre aziende ma di tutti gli Italiani che ancora vivono in montagna ed in quelle aree definite ‘marginali’ ma che, per noi allevatori, sono veri e propri territori di vita. Ci preoccupa il fatto che, durante gli Stati Generali, qualcuno ha proposto di aggravare la posizione di chi contravviene alle disposizioni regolamentarie e alle direttive dei Parchi, punendo penalmente i contravventori. Pur desiderando anche noi regole certe e non l’anarchia, non vogliamo – però – l’istaurazione di un regime ‘militaristico’ all’interno dei nostri territori e non vogliamo che questi continuino ad essere ingabbiati in regolamenti e normative completamente calate dall’alto, senza nessun tentativo di consultazione con le popolazioni locali. Allo stesso tempo siamo confidenti nel fatto che, una rinnovata legge quadro, che ponga nuovi limiti al godimento dei domini collettivi, andrebbe comunque ad arenarsi al vaglio della costituzione.
Osservato speciale durante i lavori è stato l’art. 9 comma 4 della legge-quadro 394/91, nel quale è definita la composizione del consiglio direttivo per rapporto numerico di rappresentanti del territorio. Le associazioni ambientaliste erano nettamente contrarie alla ventilata possibilità che si potessero indicare nello stesso consiglio direttivo, i rappresentanti degli agricoltori/allevatori cosa che è stata proposta dal Ministro del MASAF Francesco Lollobrigida, al quale va il nostro plauso. Alcune delle sue affermazioni sono state a favore del ‘mondo allevatoriale’ per troppo tempo escluso da ruoli partecipativi e rappresentativi. Le associazioni ambientaliste e Federparchi, invece, erano concordi, guarda caso, con la necessità di rendere snelli questi organi perché – a loro dire – un Parco – ad esempio – che ha 20 comuni non può, a sua volta, avere un consiglio direttivo con 20 membri sindaci. Si comprende facilmente perché le associazioni ambientaliste sono a sfavore di questa ipotesi, sicuramente perché temono che nelle decisioni da intraprendere circa le aree protette, prevarrebbero numericamente i rappresentanti dei territori, mentre loro diverrebbero una minoranza, all’interno del consiglio direttivo.
Va inoltre tenuto conto che la legge 394/91 è rimasta per tanti aspetti inattuata, soprattutto nella parte in cui essa attribuisce, proprio ai Parchi, il compito di effettuare monitoraggio sulla fauna selvatica, allo scopo di prevenire eventuali squilibri tra le stesse specie. Infatti, in caso di sovrannumero il parco stesso dovrebbe predisporre corretti piani di abbattimento e prelievi selettivi. Ciò invece non è mai avvenuto, ad esempio nel contesto del PNALM. Va anche specificato che, eventuali diritti di caccia, sono liquidati dal competente commissario agli usi civici su istanza dell’ente parco art 11 della 394/91. L’articolo 11 resta, cosi’, fondamentale, anche se il mondo ambientalista, molto probabilmente, tenterà di stravolgerlo.
Non ci sono piaciute neppure le conclusioni dei lavori da parte de ministro Pichetto Frattin, il quale ha parlato dell’importanza che hanno per il sistema Italia, le 1049 aree protette e i suoi gestori, come primi attori dello sviluppo del territorio. E’ proprio da qui che dobbiamo ripartire, afferma Virgilio Morisi “non sono gli enti gestori i primi attori di sviluppo del territorio, bensì i residenti delle cui esigenze tali gestori, invece, dovrebbero farsi portavoce”. Se vogliamo ridisegnare un nuovo futuro per le aree protette, afferma Guglielmo Lauro presidente di CAAT Molise, “dobbiamo innanzitutto ridisegnare il ruolo dei vari soggetti, in base alle loro priorità specifiche e titolarità. Insomma, dobbiamo porre al centro della gestione territoriale, chi vive con e del territorio, non chi lo amministra soltanto burocraticamente”.
Il Ministro Frattin, inoltre, riferendosi al documento conclusivo della ‘due giorni romana’, afferma che si tratta di un documento programmatico, condiviso e plurale. Noi invece crediamo che tale pluralità poteva essere garantita soltanto invitando, ufficialmente al convegno, i rappresentanti di quelle organizzazioni che rappresentano le varie tipologie di residenti delle aree protette, non per ultimo gli allevatori di animali allo stato brado e semi brado. Ciò, purtroppo, non è avvenuto.
Claudio Barbaro, Sottosegretario all’Ambiente e alla Sicurezza Energetica ha, inoltre, annunciato che si provvederà alla circolazione di una piattaforma documentale attraverso la quale i protagonisti degli Stati Generali potranno proporre suggerimenti ed emendamenti al documento prima della sua pubblicazione, entro gennaio 2025. Ci si domanda allora se anche a chi vive ed esercita lavori ‘tradizionali’ all’interno delle aree protette (come ad esempio agli allevatori estensivi) sarà dato il privilegio di apportare modifiche al documento finale. Se ciò non avverrà, sarà certamente un omissione imperdonabile, visto che associazioni di allevatori e pastori hanno, in più occasione, già incontrato a Roma i rappresentanti del Ministero dell’Ambiente richiedendo, espressamente, di aprire un tavolo negoziale dove discutere (dal basso verso l’alto) tutte le questioni cruciali inerenti le aree protette.
E’ un vero peccato che tra i sei punti del documento programmatico non ci sia veramente nulla che faccia riferimento alla creazione di processi partecipativi che coinvolgano direttamente i residenti delle aree protette, e non per ultimo, noi allevatori estensivi, nella gestione territoriale e delle aree protette. Resteremo in attesa e osserveremo tutti gli sviluppi che ci saranno circa le modifiche alla Legge Quadro 394/91, pronti a portare all’attenzione dei Commissari agli Usi Civici, qualsiasi tentativo di limitare ulteriormente il diritto ai domini collettivi, soprattutto all’interno delle aree protette.
ETS “Iura Civium ad Bonum Naturae“ – Abruzzo Comitato Allevatori e Agricoltori del Territorio (CAAT) – Molise Alleanza dei Pastori Aurunci e Ciociari (APAC) – Lazio
*Le associazioni menzionate, afferiscono al Coordinamento Nazionale Allevatori di Montagna e Pastori D’Italia (CONAPI).
