
(AGENPARL) – mar 17 dicembre 2024 SCHEDA STUDI BANDO MULTI-ROUND DI FONDAZIONE TELETHON
LOMBARDIA
Il gruppo guidato da Anna Christina Kajaste-Rudnitski dell’Università di Pavia studierà la sindrome Aicardi-Goutières (AGS) una leucodistrofia genetica che colpisce principalmente il cervello, il sistema immunitario e la pelle. Un fattore primario nella patogenesi di questa sindrome sembra essere un’attivazione aberrante delle risposte immunitarie. Tuttavia, il motivo per cui le cellule nell’AGS attivano queste risposte immunitarie senza infezione microbica è ancora sconosciuto, poiché finora è stato difficile ricapitolare la malattia in modelli sperimentali. L’approccio dello studio si basa su una nuova tecnologia che sfrutta le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), che consentono di modellare fedelmente la malattia da un punto di vista dello sviluppo. Si tenterà di identificare quali sono le molecole endogene che attivano in modo anomalo le risposte antivirali che causano malattie in queste cellule e sull’analisi di come i geni che causano l’AGS portano alla presenza di questi fattori scatenanti nelle cellule AGS. Determinare con precisione come, dove e quando viene avviata la cascata di sensitività innata patologica nell’AGS fornirà conoscenze fondamentali per lo sviluppo di terapie mirate per prevenire l’insorgenza e la progressione di questa e di altre leucodistrofie mortali.
Chiara Fiorentini dell’Università degli Studi di Brescia, studierà con il suo gruppo la sindrome di Noonan, una malattia genetica rara, legata a mutazioni nei geni che codificano per le proteine che controllano la cascata Ras/MAPK/Erk, compresa la proteina Shp-2, e che è clinicamente caratterizzata da una serie di diverse manifestazioni che includono anomalie della crescita, malattie cardiovascolari ed una elevata suscettibilità ai tumori. Inoltre, il 30-50% dei pazienti con sindrome di Noonan soffre di disabilità cognitive per le quali non esistono cure. Alla base della patogenesi di numerosi difetti correlati alla sindrome di Noonan, comprese le disabilità cognitive, vi è un’aumentata attivazione della via di segnale intracellulare delle Erk1/2. In questo studio, si tenterà di verificare l’ipotesi che il complesso recettoriale composto dai recettori NMDA e dai recettori per la dopamina D1 (complesso NMDA-D1R) e che richiede, per il suo funzionamento la proteina Shp-2, possa rappresentare un nuovo bersaglio farmacologico per normalizzare i livelli di Erk1/2, migliorando così le disabilità cognitive.
Silvia Brunelli dell’Università di Milano-Bicocca Lombardia guiderà un gruppo sullo studio della Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP), una rara malattia genetica in cui i tessuti molli come muscoli e legamenti si trasformano in ossa, causando gravi disabilità sin dalla giovane età. Questo è causato da mutazioni in un gene chiamato ACVR1, che induce il corpo a creare ossa dove non dovrebbe, un processo noto come ossificazione eterotopica. I trattamenti attuali sono limitati e poco efficaci. La ricerca si concentrerà su una proteina chiamata SPP1, che gli studi preliminari mostrano essere coinvolta nell’interazione tra cellule immunitarie e cellule che formano le ossa, promuovendo la crescita ossea indesiderata. Il nostro obiettivo è capire esattamente come SPP1 influenza queste interazioni e contribuisce all’ossificazione eterotopica nei pazienti con FOP. Scoprendo il ruolo di SPP1 nella FOP, si spera di trovare nuovi obiettivi terapeutici che potrebbero prevenire o ridurre la crescita ossea anormale nei pazienti. Questa ricerca potrebbe portare allo sviluppo di trattamenti più efficaci, offrendo un miglioramento significativo nella qualità della vita per coloro che sono affetti da questa condizione debilitante.
Chiara Zucchelli dell’Università Vita-Salute San Raffaele, con il suo gruppo affronterà le malattie genetiche da prioni, delle rare e letali patologie neurodegenerative che progrediscono rapidamente a causa della trasformazione della proteina prionica normale (PrPC), presente nei neuroni, in una forma dannosa (PrPSc). Attualmente non esistono trattamenti approvati. Il progetto si basa sulla precedente scoperta di una molecola, Zn(II)-BnPyP, che può combattere le malattie da prioni tramite una doppia azione: bloccare la formazione di PrPSc e diminuire i livelli di PrPC. Al momento però, l’efficacia di Zn(II)-BnPyP è limitata dalla sua difficoltà ad entrare nel cervello in quantità adeguate. Utilizzando tecniche avanzate come la spettroscopia NMR e i calcoli computazionali, il progetto consentirà di approfondire la conoscenza sul modo con cui Zn(II)-BnPyP riconosce e interagisce con PrPC. Diverse versioni di Zn(II)-BnPyP saranno analizzate per identificare i metalli e i gruppi chimici più adatti ad ottimizzare il legame con PrPC ed ottenere una forte attività anti-prionica. Studiando nel dettaglio come funziona Zn(II)-BnPyP a livello molecolare, questo progetto potrebbe portare allo sviluppo di nuove molecole con un meccanismo d’azione più potente rispetto alle molecole anti-prioniche studiate finora.
Marco Gaetano Lolicato dell’Università di Pavia approfondirà con il suo team la Sindrome da Deficit di GLUT1 (GLUT1-DS), una condizione genetica causata da mutazioni che alterano la funzione della proteina GLUT1, essenziale per il trasporto del glucosio nel cervello. Questa sindrome provoca vari problemi neurologici, come disabilità intellettiva, problemi di movimento ed epilessia. Il trattamento principale è la dieta chetogenica, che però non è efficace per tutti i pazienti e può essere difficile da seguire. La ricerca attuale mira a sviluppare nuovi farmaci specifici per GLUT1-DS. Sono stati identificati composti chimici che migliorano l’assunzione di glucosio nelle cellule attraverso GLUT1. Gli studi si concentrano su come questi composti interagiscono con GLUT1 e sulla loro efficacia nelle cellule dei pazienti. L’obiettivo è testare questi composti e studiare i cambiamenti specifici in GLUT1 nei pazienti per garantire l’efficacia dei trattamenti in situazioni reali.
Chiara Zuccato dell’Università degli Studi di Milano e Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM), studierà la Corea di Huntington, una malattia neurodegenerativa ereditaria causata dalla mutazione del gene Huntington e dalla conseguente produzione di una proteina chiamata huntingtina mutata che è tossica per i neuroni. Le aree del cervello più colpite nella Corea di Huntington sono la corteccia e lo striato, uniti tra loro dalla via cortico-striatale. In questa via, i neuroni corticali proiettano lunghi prolungamenti che fanno contatti con i neuroni dello striato. È stato dimostrato che l’espressione della proteina huntingtina mutata nei neuroni corticali altera il funzionamento della via cortico-striatale, danneggiando i neuroni dello striato e provocando la malattia. La compromissione della corteccia è, dunque, uno degli elementi chiave che dà inizio alla patologia. Per questo motivo, è fondamentale intervenire sulla corteccia per prevenire l’insorgenza o rallentare la progressione della malattia. Il fulcro di questo studio è un enzima chiamato ADAM10 che svolge un ruolo chiave nel mantenimento del buon funzionamento del cervello. Nei pazienti con Corea di Huntington l’attività di questo enzima è troppo alta nei neuroni, contribuendo al malfunzionamento dei circuiti cerebrali. Considerata l’importanza della disfunzione corticale nella Corea di Huntington, questo progetto si propone di inibire l’enzima ADAM10 nella corteccia di un modello murino della malattia con l’obiettivo di contrastare le alterazioni della via cortico-striatale, rallentare la degenerazione dei neuroni striatali e prevenire l’insorgere dei sintomi. Se questo approccio si rivelasse efficace, potrebbe aprire la strada a nuove terapie per la malattia di Huntington mirate a inibire l’enzima ADAM10 nella corteccia. Poiché la corteccia è più facilmente raggiungibile dai farmaci rispetto allo striato, eventuali risultati positivi permetterebbero di accelerare lo sviluppo di inibitori di ADAM10 per uso clinico.
Marianna Leonzino, ricercatrice dell’Istituto di Neuroscienze del CNR presso l’area Ricerca di IRCCS Istituto Clinico Humanitas, approfondirà, con il suo team, le mutazioni del gene VPS13D che causano un complesso disturbo del movimento con sintomi altamente variabili. Sfortunatamente non sono disponibili trattamenti mirati per questa malattia, perché ancora non è chiara la funzione della proteina VPS13D. Studi precedenti hanno mostrato che VPS13D ha un ruolo nella mitofagia, un processo usato dalle cellule per eliminare i mitocondri (strutture importanti per la produzione di energia) quando sono danneggiati. Poiché problemi di mitofagia caratterizzano molti disturbi neurologici, si indagherà quale sia il ruolo di VPS13D in questo processo e come mutazioni in questa proteina lo alterino. Sarà studiato come VPS13D interagisce con altri fattori coinvolti nella mitofagia e valuteremo come queste interazioni vengono alterate dalle mutazioni di VPS13D osservate nei pazienti. Inoltre, sarà adottato un modello di studio che riproduce fedelmente ciò che accade nelle cellule nervose dei pazienti che hanno tali mutazioni in VPS13D. Questo approccio aiuterà a scoprire i meccanismi e i fattori coinvolti nello sviluppo della patologia, comprese le possibili ragioni della variabilità dei sintomi. In generale, lo studio si propone di chiarire come le mutazioni di VPS13D influenzano la mitofagia e, di conseguenza, la salute del nostro cervello e sistema nervoso. Queste informazioni potranno contribuire a svelare strategie terapeutiche adatte al trattamento della patologia.
Alessandra Bragonzi dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano studierà, con il suo gruppo, la fibrosi cistica, una malattia genetica grave causata da alterazioni del gene CFTR, il quale codifica per una proteina coinvolta nella regolazione delle secrezioni di numerosi organi. Nelle persone affette, le secrezioni risultano più dense del normale, con effetti particolarmente dannosi sugli apparati respiratorio e digerente. Nei polmoni, il muco tende a ristagnare, creando un ambiente favorevole allo sviluppo di infezioni batteriche e infiammazioni croniche. Attualmente, non è del tutto chiaro come si sviluppi e progredisca un’infezione polmonare che, una volta diventata cronica, non regredisce neanche con l’assunzione di terapie volte a ripristinare la funzionalità della proteina CFTR. Servono nuove conoscenze per comprendere la malattia in una prospettiva multiorgano, al fine di sviluppare nuovi approcci diagnostici e terapeutici calibrati su quella che e? la fibrosi cistica oggi. Questo progetto si distingue per l’adozione di un approccio innovativo, esplorando l’interazione tra il polmone e altri organi e il loro ruolo nella progressione della malattia. Utilizzeremo un nuovo modello animale di fibrosi cistica per approfondire i meccanismi di interazione tra intestino e polmone, analizzando la correlazione tra microbiologia (studio dei microrganismi), immunologia intestinale e danno polmonare. I risultati ottenuti da questo studio potranno contribuire allo sviluppo di nuovi protocolli diagnostici e di nuove strategie terapeutiche per la fibrosi cistica.
Paola Sacerdote dell’Università degli Studi di Milano approfondirà, con il suo team, alcuni aspetti della malattia di Anderson–Fabry. Si tratta di una malattia causata da un difetto del gene GLA, che codifica per la proteina ?–galattosidasi ed è caratterizzata dall’accumulo nei lisosomi, componenti cellulari con funzione degradativa, di molecole complesse, chiamate glicosfingolipidi. Tra i sintomi più comuni, il dolore è uno dei più precoci e si può sviluppare in qualsiasi regione del corpo, debilitando i pazienti. I farmaci attualmente in uso, tra cui quelli analgesici, non hanno effetti significativi sulla cura del dolore, che può essere correlato anche allo sviluppo di disturbi dell’umore quali depressione e ansia. Negli ultimi anni la ricerca sul dolore cronico ha dimostrato che la sua origine è dovuta alla presenza di neuro-infiammazione, cioè attivazione nel sistema nervoso di cellule non neuronali, quali microglia e astrociti, che producono sostanze chimiche che intensificano e sostengono il dolore. Il gruppo di ricerca ha dimostrato come l’antibiotico minociclina, già in uso da anni e che agisce sulla microglia, sia efficace nel trattamento del dolore in un modello animale della malattia di Anderson-Fabry. Il trattamento con la minociclina permette di bloccare l’attività della prochineticina, una molecola che svolge un ruolo importante nella regolazione sia nel dolore sia nell’infiammazione. Questo studio si propone di approfondire quali sono i meccanismi associati al dolore nei pazienti con malattia di Fabry e di testare gli effetti sul dolore di una combinazione di nuovi trattamenti analgesici con la terapia enzimatica sostitutiva, la terapia cardine per i pazienti, nel modello animale della malattia, al fine di individuare nuovi e migliori trattamenti per il dolore.
Matteo de Rosa del Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR di Milano approfondirà le amiloidosi, patologie che possono essere considerate come una malattia delle proteine, che a causa di difetti genetici perdono la loro forma naturale e funzionale, formando aggregati potenzialmente dannosi. Infatti, questi aggregati di proteine crescono nel tempo fino a formare lunghe fibre che si depositano in diversi organi, dove causano infiammazione e danni meccanici. Nell’Agel amiloidosi, la proteina gelsolina mutata tende a frammentarsi. Questi piccoli frammenti si riconoscono e si assemblano come una colonna di mattoncini giocattolo. L’ipotesi dei ricercatori è che bloccare questo processo potrebbe prevenire l’evoluzione della malattia. Cosa accadrebbe se si costruissero dei mattoncini simili alla gelsolina ma non in grado di formare gli aggregati? Questo finto mattoncino potrebbe unirsi agli altri mutati, senza però favorire l’aggregazione. Ispirati da queste domande, sono stati costruiti tre di questi mattoncini sintetici: di questi, due si sono mostrati capaci di ostacolare il processo di aggregazione. Sulla base di queste preliminari ma promettenti osservazioni, lo studio si propone di indagare meglio il meccanismo e la struttura di questi mattoncini sintetici di gelsolina; inoltre, ne saranno prodotti altri ancora più efficaci nel prevenire il processo dannoso per le cellule di organi e tessuti. Per valutare l’efficacia di questi mattoncini in un contesto biologico, verranno condotti esperimenti in vitro e in un modello animale (un piccolo verme) che esprime la gelsolina umana, in forma sia normale che mutata. Questo modello animale della malattia, seppur semplice, permetterà di fare un passo avanti nella conoscenza della AgeI amiloidosi e altre patologie simili, velocizzando lo sviluppo di nuovi potenziali approcci terapeutici.
Simona Lodato dell’Humanitas University guiderà uno studio sugli errori di immunità innati (IEI), disturbi genetici in cui il sistema immunitario non funziona correttamente, portando a frequenti infezioni. Tra le IEI, la sindrome WHIM (verruche, ipogammaglobulinemia, infezioni, e mielocatessi) è caratterizzata da infezioni ricorrenti causate da neutropenia grave, ipercellularità del midollo osseo e linfopenia più lieve, oltre che da osteoporosi e, più recentemente, da difetti cardiaci. La sindrome WHIM è causata da mutazioni autosomiche dominanti nel gene CXCR4 (un recettore coinvolto nella migrazione cellulare). Utilizzando un modello di topo della sindrome WHIM, sono state osservate difficoltà motorie e comportamenti ansiosi. Questi sintomi, presenti anche nei pazienti, erano precedentemente ritenuti secondari alle frequenti infezioni, ma la ricerca del gruppo dimostra che sono direttamente dovuti alle alterazioni cerebrali. Trattando questi topi con un farmaco antagonista di CXCR4, è stata corretta sia la struttura del cervelletto sia il comportamento degli animali, dimostrando che questi sintomi sono direttamente causati dalla mutazione nel cervelletto. Questo studio ha due obiettivi principali: (1) capire come la mutazione nel gene CXCR4 influenzi lo sviluppo cerebrale prima della nascita, tracciando lo sviluppo di specifici neuroni del cervelletto; (2) valutare come le infezioni ripetute, frequenti nei pazienti WHIM, peggiorino i loro sintomi. Verranno esposti quindi i topi WHIM a infezioni e si studieranno i cambiamenti nel loro cervello e comportamento. Inoltre, verranno analizzati i dati clinici dei pazienti, risonanze magnetiche e valutazioni della salute mentale per capire come questi fattori si influenzino tra loro. Nel complesso, la ricerca mira a collegare le mutazioni genetiche ai problemi comportamentali nella sindrome WHIM, per sviluppare trattamenti personalizzati per i pazienti.
Federica Briani dell’Università degli Studi di Milano guiderà un gruppo di ricerca il cui obiettivo principale sarà individuare piccole molecole che possano aiutare a ripristinare la funzione di forme mutate di un enzima cruciale chiamato poliribonucleotide fosforilasi (hPNPase). Questo enzima è importante per varie funzioni nei mitocondri, le centrali energetiche delle nostre cellule. Quando il gene per la hPNPase (PNPT1) è mutato, può portare a gravi disturbi neurologici. Per sviluppare nuove strategie terapeutiche, i ricercatori propongo di sfruttare il riposizionamento di alcuni farmaci potenzialmente in grado di ripristinare la funzione della hPNPase mutata. In particolare, i ricercatori analizzeranno una collezione di circa 3500 composti che sono già approvati per l’uso umano o che hanno superato le prime fasi della sperimentazione clinica. Le molecole identificate come più promettenti saranno sottoposte a ulteriori test per capire il loro meccanismo di azione e verificare la loro specificità nel bersagliare solo hPNPase mutata. Gli esperimenti e i diversi modelli cellulari ed in vitro sono già stati sviluppati dal gruppo di ricerca nell’ambito del progetto POLYVAR precedentemente finanziato dalla Fondazione Telethon. Risultati positivi del progetto velocizzeranno lo sviluppo di farmaci per il trattamento di rari disturbi mitocondriali.
Il gruppo guidato da Chiara Marabelli della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia studierà la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica di tipo 2 (CPVT2), una malattia cardiaca ereditaria associata a mutazioni di una piccola proteina, la calsequestrina, essenziale per la contrazione ordinata del cuore. Trattamenti farmacologici oppure l’impianto di defibrillatori possono ridurre il rischio di morte improvvisa nelle persone affette. Purtroppo, queste terapie non sono specifiche per il meccanismo patologico e una persona su tre rimane soggetta a improvvise aritmie. La pesante incertezza sul rischio a cui rimangono esposte queste persone e i loro familiari rende urgente identificare e correggere il difetto specifico della calsequestrina. I risultati preliminari degli studi del gruppo hanno già fornito le prime indicazioni sull’esistenza di due distinte forme patologiche di calsequestrina, già associabili a due diverse modalità ereditarie di CPVT2. Il progetto intende validare il meccanismo proposto paragonando le diverse forme mutate di questa proteina per le loro caratteristiche biochimiche e il loro effetto aritmico in vivo. I risultati di questo studio permetteranno quindi di identificare chi potrà beneficiare dalla terapia genetica già in sviluppo e forniranno le basi per l’immediato sviluppo di una terapia complementare, specifica per la seconda forma di CPVT2.
Chiara Lanzuolo della Fondazione Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM) di Milano guiderà un gruppo di ricerca sulla sindrome di Hutchinson-Gilford, o progeria (HGPS), una rara malattia genetica che causa un invecchiamento accelerato nei bambini. Attualmente non è disponibile alcuna cura e le terapie in corso di sperimentazione non sono comunque in grado di far regredire la malattia. Alla base della sindrome HGPS ci sono mutazioni nel gene della lamina A/C, che portano alla sintesi di una forma troncata della proteina, la progerina. Normalmente la lamina A/C è importante per il controllo della struttura tridimensionale del DNA all’interno del nucleo della cellula: è fondamentale per regolare la funzionalità del genoma, ossia come le sue diverse porzioni vengono attivate o disattivate in diversi tipi di cellule e tessuti. La versione tronca di questa proteina, la progerina, interferisce quindi con la struttura del DNA e determina alcune disfunzioni del genoma. Nel 2020 è stato approvato negli Stati Uniti il primo farmaco specifico per la progeria, il lonafarnib. Altri farmaci sono in fase di studio preclinico, come per esempio progerinin. Ad oggi non sono stati condotti studi sul ruolo di lonafarnib o progerinin sulla conformazione del DNA. Inoltre, non esiste ancora un quadro chiaro riguardo alle alterazioni della cromatina, a causa della mancanza di tecnologie adeguate a eseguire analisi approfondite. In questo progetto, saranno utilizzate tecniche sperimentali avanzate (inclusi metodi sviluppati nel laboratorio) nel modello murino di HGPS, per identificare le strutture alterate della cromatina resistenti ai trattamenti farmacologici. Questo studio non solo migliorerà le nostre conoscenze di base sulla malattia, ma potrebbe portare all’identificazione di nuovi bersagli per terapie innovative.