
L’Onorevole Marinella Pacifico, già Senatrice della Repubblica, Segretario di Schengen, Presidente UIP Italia-Tunisia e componente della Commissione Esteri, è nota per il suo impegno nel dibattito pubblico su vari temi strategici, tra cui la scuola e la formazione. In questa intervista, l’Onorevole Pacifico condivide la sua visione sulla condizione attuale del sistema scolastico italiano, ponendo l’accento sui problemi strutturali, le politiche educative e le riforme necessarie per garantire una scuola pubblica inclusiva, di qualità e all’altezza delle sfide contemporanee.
Le sue riflessioni spaziano dalla formazione degli insegnanti all’impatto delle tecnologie digitali, fino al ruolo fondamentale delle famiglie e delle comunità nel supporto all’istruzione. Un’analisi critica che mette in luce i limiti delle politiche attuali e traccia un percorso per un sistema educativo più equo ed efficace.
Di seguito, riportiamo alcune delle domande e risposte principali dell’intervista.
Domanda. Quali sono, secondo lei, i principali problemi attuali della scuola pubblica in Italia e quali misure propone per affrontarli?
Marinella Pacifico. Il sistema scolastico italiano riflette inevitabilmente la realtà dell’intero Paese, essendo i nostri studenti il vero futuro, ma anche il termometro economico e sociale dei nostri tempi. Questo grazie alla sensibilità che contraddistingue l’età adolescenziale. Detto ciò, il primo problema è legato alla qualità dei corsi e dei programmi di apprendimento per gli studenti. Nel nostro sistema scolastico, l’insegnamento curricolare è stato drasticamente ridotto dal ministro Valditara che ha preferito una progettualità extracurricolare privando gli studenti dell’apprendimento accademico e culturale che ha sempre caratterizzato le scuole e il popolo italiano. L’approfondimento, l’analisi e il memorizzare sono stati etichettati come metodi obsoleti, optando per format preconfezionati che non tengono conto delle differenze e delle capacità individuali. Il secondo problema riguarda gli insegnanti, che non ricevono una formazione adeguata a stare al passo con l’evoluzione della didattica, che a sua volta non è al passo con i cambiamenti della società. Con stipendi dal basso potere d’acquisto e un processo di reclutamento non adeguato alle
necessità del sistema di formazione che comporta ritardi nell’assegnazione delle cattedre e mercimonio di certificazioni atte a creare un sistema di disuguaglianze tra i docenti stessi. Da qui la mancanza di passione per molti professori che va ricordato la maggior parte sono precari, almeno uno su quattro, e sempre più anziani, in quanto l’età pensionabile si allontana sempre più, e sempre meno giovani scelgono di intraprendere questa carriera con notevole rischio sociale educativo e lavorativo per l’Italia. A partire dall’anno scolastico scorso, 2023-2024, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha avviato, con il decreto-legge PA bis, un piano di assunzioni a tempo indeterminato di docenti in attesa dello svolgimento dei concorsi previsti dal Pnrr. L’iniziativa puntava ad assicurare la continuità didattica per gli studenti, la qualità dell’insegnamento e la riduzione del precariato, ma senza intervenire sul processo di assunzione, né motiva in alcun modo il corpo docente, non prevedendo stipendi adeguati ai partner UE e alcun meccanismo di carriera con una progressiva e retribuita assunzione di responsabilità nelle funzioni didattico-organizzative. Basterebbe questo a spiegare il malcontento degli insegnanti italiani, a ciò dobbiamo sommare il fatto che si continua a lasciare le progressioni stipendiali alla sola anzianità di servizio, con un meccanismo di incentivazione una tantum, tanto mal congegnato, da aver creato veri e propri conflitti. È chiaro che il Governo ha fallito nel trovare soluzioni adeguate nel garantire un’istruzione pubblica accessibile a tutti, completa e neutrale, oltre ad intervenire direttamente sui curricula scolastici sulla base di ideologie del partito al potere, ovvero quello di Giorgia Meloni. I DS, invece, si trovano a svolgere un ruolo simile a quello di un amministratore d’azienda, sempre più lontani e distanti dalla didattica. Poi c’è il problema del bullismo, della violenza nelle scuole, che sono a mio avviso ricollegabili alle criticità già citate, oltre alla mancanza di risorse, fondi e tecnologie che non consentono la realizzazione di un ambiente sano e accogliente per gli studenti, con grandi differenze regionali tra nord e sud, già senza la sciagura dell’Autonomia.
Domanda. In che modo la formazione degli insegnanti può influenzare la qualità dell’istruzione? Quali iniziative potrebbero essere adottate per migliorare questa formazione?
Marinella Pacifico. Oltre alle lacune curricolari degli insegnanti che ripeto vengono reclutati attraverso graduatorie che discriminano inverosimilmente i vincitori di concorso pubblico non tenendo di fatto conto del merito, ai docenti non è riconosciuto il costo della formazione per affrontare e riconoscere un eventuale disagio giovanile e per questo tutto viene lasciato all’improvvisazione. I precari, con stipendi ben al di sotto dei loro colleghi europei, quando e se lavorano, ma anche gli insegnanti di ruolo più anziani, non hanno i mezzi necessari per riconoscere e prevenire l’emarginazione sociale di un alunno indotta da fenomeni di bullismo, perché straniero, disabile o visto per qualsiasi ragione come il “diverso”. Penso ai bambini stranieri che spesso necessitano di supporto nella comunicazione, fondamentale per la loro integrazione e quella delle loro famiglie che in Italia lavorano, producono e pagano le tasse. Ecco ritengo che una formazione continua e retribuita per l’aggiornamento e l’innalzamento delle professionalità degli insegnanti dovrebbe essere un imperativo per migliorare le capacità comunicativo-relazionali e di gestione delle criticità, anche attraverso la sperimentazione della didattica di altri Paesi, per esempio per la conoscenza e l’uso fluente delle lingue straniere, come Francia, Regno Unito e Stati Uniti che hanno vissuto prima gli effetti della globalizzazione. Si può inoltre ricorrere a psicologi, psicoterapeuti e coach professionali che possano fornire le migliori pratiche da adottare per ciascun studente, tenendo conto degli aspetti emozionali, caratteriali e delle diverse intelligenze degli alunni. Lo stesso vale per le comunicazioni con le famiglie e tra docenti. L’obiettivo deve essere quello di prevenire fatti molto dolorosi di cui è pregna la cronaca del nostro Paese, episodi di violenza tra coetanei, contro insegnanti e problematiche familiari che troppo spesso sfociano in omicidi e femminicidio compiuti da mariti, compagni ed ex compagni di fronte ai minori come accaduto più volte di recente. La formazione continua dunque dovrebbe includere soprattutto non solo nozioni curricolari, ma anche e soprattutto competenze psicosociali che permettano agli insegnanti di riconoscere i campanelli d’allarme e come gestire tali emergenze. Parlando di formazione continua, mi viene in mente inoltre una maggiore collaborazione con i giornalisti in uno scambio win-win. I professionisti dei media avrebbero l’opportunità di migliorare il loro racconto del mondo scuola, purtroppo troppo trattato in modo superficiale, mentre alunni e insegnanti potrebbero approfittare delle competenze dei giornalisti per riconoscere notizie vere da quelle false, le cosiddette fake-news, che la maggior parte dei nostri studenti non sa riconoscere, tanto sono bombardati da messaggi e campagne di ogni sorta sui social media”.
Domanda. Cosa pensa delle nuove tecnologie e dell’educazione digitale nell’ambito scolastico? Crede che possano essere integrate efficacemente nel sistema educativo?
Marinella Pacifico. Credo che le nuove tecnologie e l’educazione digitale offrano un importante ruolo di supporto nel processo di apprendimento, ma non devono assolutamente sostituire una lezione frontale o il rapporto umano docente-studente, per i motivi di cui abbiamo già parlato. Un insegnante ben preparato, ben retribuito, il cui ruolo viene riconosciuto dalla società, dovrebbe essere in grado di riconoscere le emozioni, di intervenire, mentre un computer no. Inoltre, i nostri giovani sono molto intelligenti e trovano sempre il modo di aggirare le regole, quindi serve il controllo di un adulto per monitorare i risultati, i progressi ed eventuali lacune, personalizzando il programma di studio in base all’andamento della classe, ma senza lasciare indietro nessuno. Il fattore motivazionale umano non può in alcun modo essere rimpiazzato dai rudimenti di una macchina. C’è infine la questione dell’intelligenza artificiale, che il Governo Meloni non ha alcuna idea di cosa sia, ad eccezione per le foto della premier con Elon Musk che afferma che il suo insegnante di inglese è stato Michael Jackson. Sul piano serioso però nessuno si sta preoccupando del fatto che le nostre ragazze e i nostri ragazzi accedono a contenuti creati dall’Ia, ma quali valori questa trasmette? Quali nozioni? È sempre tutto vero il contenuto creato online? Ecco questi sono aspetti che richiedono grande attenzione oggi. Sono convinta che le nuove tecnologie potrebbero potenziare la didattica tradizionale, video, suoni, lezioni digitali, soprattutto nelle materie scientifiche, nella storia. Oltre ad offrire la possibilità di lezioni di recupero, esercizi digitali che stuzzichino aree specifiche dell’intelletto, ed una comunicazione anche video con docenti tutor, oltre che tra genitori ed insegnanti. Ci tengo a sottolineare che ho usato di proposito il condizionale “potrebbero” perché purtroppo i nostri istituti scolastici hanno a disposizione dotazioni tecnologiche inadeguate, obsolete o talvolta sono del tutto assenti.
Domanda. Qual è il suo punto di vista riguardo all’inclusione e all’integrazione degli studenti con disabilità nelle scuole pubbliche? Quali politiche potrebbero essere implementate per migliorare la loro esperienza educativa?
Marinella Pacifico. Colgo l’occasione per ricordare la differenza tra inclusione e integrazione. Rimuovere le barriere architettoniche e adattare le classi con dispositivi di supporto rende possibile l’integrazione, ma la vera inclusione si realizza quando istruzione speciale e istruzione regolare si fondono. Io parto dalla convinzione che tutti i bambini sono diversi, imparano in modo diverso e dovrebbero avere pieno accesso allo stesso curriculum, che deve essere rivisto a tale scopo. Non ci si può aspettare che gli studenti con disabilità si adattino alla scuola italiana, ma è quest’ultima a doversi adattare in modo che le diverse modalità di apprendimento di ciascun studente possano essere soddisfatte. Non basta dunque rimuovere gli ostacoli fisici, ma è necessario abbattere le barriere all’apprendimento in modo che ogni studente possa partecipare e sentirsi valorizzato. È necessario – non mi stancherò mai di dirlo – un nuovo approccio strutturale, con l’idea di una scuola dove tutti gli studenti con e senza disabilità ne traggano beneficio. L’unica politica veramente necessaria dunque è non creare differenze. Per mia esperienza personale, posso garantire che quando gli studenti con disabilità vengono istruiti insieme ai loro coetanei senza disabilità, apprendono abilità sociali appropriate all’età imitando i loro compagni. Apprendono ad essere più indipendenti e ad acquisire abilità avanzate a livello di sviluppo semplicemente guardando i loro compagni senza disabilità oltre a conquistare un’immagine di sé più positiva, avendo l’opportunità di stringere amicizie e fare ciò che fanno gli altri studenti. È in questa fusione che anche gli studenti senza disabilità possono trarne beneficio dalle differenze, arricchendo la propria sensibilità, relazionandosi e arricchendosi delle diversità, ed imparando ad occuparsi e a relazionarsi con il “diverso”. Ecco in questo nuovo approccio che mette il bambino e lo studente al centro, è necessario che la figura dell’insegnante di sostegno non sia un elemento di differenza, bensì uno strumento di supporto all’intera classe.
Domanda. Quale ruolo ritiene che le famiglie e le comunità debbano avere nella promozione e nel supporto della scuola pubblica? Come si possono incentivare queste collaborazioni?
Marinella Pacifico. Famiglie e comunità sono fondamentali. Lo vediamo come i genitori si attivano immediatamente per la risoluzione di problematiche all’interno dei nostri istituti scolastici, sebbene questo rapporto si sia indebolito per via dell’evoluzione delle nostre società, con entrambi i genitori che spesso lavorano e comunità distratte o impegnate a perseguire altri scopi e per le scelte politiche dell’attuale esecutivo che vede la cooperazione con le comunità coinvolte come un rischio per la propria ideologia politica. Bisogna lavorare per riallacciare il rapporto tra scuole e territorio. Costruire relazioni forti tra famiglie, aziende, enti locali e terzo settore è un metodo essenziale per rafforzare l’offerta educativa, accorciare i gap e offrire nuove opportunità ai giovani. Enti locali ed aziende, ad esempio, possono contribuire con assunzioni e formazione post diploma ad agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro. Occorre pensare ad una scuola formativa altamente culturale che renda il cittadino pronto all’inserimento sociale direttamente nel lavoro o nel percorso universitario, senza ostacoli burocratici e barriere finanziarie. È necessaria la collaborazione di tutti per tutelare un bene comune, ovvero la scuola, l’istruzione e il benessere dei più giovani. La collaborazione si può formalizzare tramite la costituzione di alleanze più o meno strutturate. Un esempio è dato dai Patti educativi, accordi tra enti della comunità educante che si impegnano a portare a termine tutte quelle attività che servono a tutelare l’educazione di bambini e ragazzi. La governance dei Patti si struttura attraverso processi di co-progettazione, in cui gli attori definiscono ruoli e compiti specifici. Condizione fondamentale per la buona riuscita degli accordi è che gli studenti partecipino attivamente sia alle attività proposte, sia alla loro progettazione. Io credo inoltre che sia necessaria una vera e propria consultazione nazionale, anche attraverso sondaggi online, affinché tutti questi attori già menzionati, in primis gli studenti e le loro famiglie, le aziende e gli amministratori territoriali, possano segnalare le lacune del sistema scolastico, le sfide affrontate durante e dopo il percorso di studi, le ambizioni e i punti di forza su cui investire maggiormente tenendo conto delle diverse realtà. Ciò avrebbe un apporto positivo sull’indotto economico, sulla salvaguardia degli antichi mestieri, incoraggiando i giovani ad apprendere nozioni utili e proprie della realtà in cui vivono. Sono convinta che la collettività e i giovani stessi conoscano meglio di chiunque altro quali siano le risposte alle sfide dei nostri giorni, offrendo un contributo prezioso alle istituzioni che invece si stanno ponendo come “il nemico” così da evitare riforme che lasciano invariata la situazione, rivelandosi anno dopo anno l’ennesima toppa peggiore del buco. Una consultazione nazionale che riformi curricula, scuole e trovi soluzioni alle richieste legittime degli insegnanti per i prossimi dieci anni risulta essere il modo più efficace per una scuola pubblica, accessibile a tutti e di qualità attraverso un approccio partecipativo dal basso.
