
(AGENPARL) – sab 28 settembre 2024 Tra forma
e figura
Fulvio Muzi
e la sperimentazione
pittorica negli anni
Sessanta
A cura di Federica Zalabra e Paolo Muzi
Tra forma e figura
Fulvio Muzi e la sperimentazione
pittorica negli anni Sessanta
A cura di
Federica Zalabra
Paolo Muzi
Consiglio d’Amministrazione
Federica Zalabra
Vincenzo Cerulli Irelli
Amedeo Di Nicola
Martina Sconci
Massimo Sericola
Comitato Tecnico Scientifico
Micol Forti
Giampiero Marchesi
Cristiana Pasqualetti
Coordinamento scientifico
Flavia Catarinelli
Rossella Monopoli
Progetto di allestimento
Simona D’Olimpio
Pannelli e didascalie
Flavia Catarinelli
Rossella Monopoli
Beatrice Puccio
Grafica
Mastergrafica Srl
Ufficio stampa
Raffaella De Nicola
Promozione e comunicazione
Annalisa Scimia
Traduzioni
Flavia Catarinelli
Beatrice Puccio
Ufficio Restauro
Giulia Vendittozzi
Chiara Bianchi
Collezioni museali
Giulia Vendittozzi
Alessandro Delfino
Daniela Zanoletti
Fabio Paglia
Ilaria Trafficante
Rossella Monopoli
Flavia Catarinelli
Segreteria e Protocollo
Annalisa Scimia
Giulia Vendittozzi
Nunzio Esposito
Gare, contratti e contabilità
Francesca Giuseppina Mannarella
Luca Benvenuto
Sergio Marziale
Anna Falone
Alessandro Curti
Ufficio del personale
Giancarlo Colaprete
Sara Pennazza
Giovanni Brogna
Ufficio tecnico
Simona D’Olimpio
Vincenzo Porfirio
Ufficio ICT
Daniele Salustri
Massimo La Piana
Consulente informatico
Simone Teodori
Assistenti alla Fruizione, Accoglienza
e Vigilanza
Giuliana Izzi, Caposervizio
Maria Cristina Giammaria, Caposervizio
Simona Bernardi
Vanessa Bianchini
Mauro Bonanni
Alba Capotosto
Maddalena Cardarelli
Paolo Contento
Fiorella Maria Daniele
Federica De Blasis
Romolo De Blasis
Valter Di Carlo
Marisa Di Felice
Lorena Di Luigi
Valentino Di Pietro
Francesca Gaudieri
Pamila Giampietro
Francesco Iorio
Irene Iorio
Maria Iovannitti
Nestore Mattuccilli
Filomena Monaco
Giovanna Panella
Luciana Paniccia
Liliana Pasqualone
Rosella Pericoli
Maria Pia Pulsoni
Pierpaolo Recchia
Martina Rosati
Laura Scimia
Maria Teresa Scimia
Mariangela Selli
Allestimento e trasporti
Ars Movendi Srl, Firenze
Restauri
Matilde Migliorini, Roma
In collaborazione con
Associazione ArteImmagine “Fulvio Muzi”
Dott.ssa Marta Vittorini,
Direttrice dell’Archivio di Stato dell’Aquila
Crediti fotografici
Archivio di Stato dell’Aquila, Marta Vittorini
Associazione ArteImmagine “Fulvio Muzi”
Matilde Migliorini
Mauro Congeduti
Paolo Rubei
Alfonso Colacchi
INDICE
1984-2024. Il Museo Nazionale d’Abruzzo omaggia
Fulvio Muzi a quarant’anni dalla scomparsa
Federica Zalabra
Fulvio Muzi (1915-1984)
Beatrice Puccio
L’Aquila negli anni Sessanta e il cittadino Fulvio Muzi
Paolo Muzi
Brevi cenni su Fulvio Muzi pittore
Rossella Monopoli
Tavole
Documenti
Di per sé la linea non sarebbe che l’esibizione di un
concetto geometrico, il colore una nozione fisica,
il chiaroscuro un procedimento relativo a certi effetti di illuminazione;
né questi né altri elementi hanno un valore formale,
poiché la forma è rappresentazione, figuratività.
Cesare Brandi, Carmine o della Pittura, 1962
1984-2024. Il Museo Nazionale
d’Abruzzo omaggia Fulvio Muzi
a quarant’anni dalla scomparsa
Non potevamo far passare sotto silenzio
un anniversario che segna quaranta anni da
quando Fulvio Muzi ha abbandonato questo
mondo. E così abbiamo intrapreso questa
piccola avventura nella volontà chiara – che
siamo certi sia condivisa da tutti – di omaggiare uno dei pittori che più ha frequentato
le sale del nostro museo. Certo, Fulvio Muzi
non ha mai calpestato le sale del Munda a
Borgo Rivera, ma i suoi passi sono spesso
risuonati nei corridoi del Castello cinquecentesco, quella casa del Museo alla quale aneliamo tornare, quella casa che abbraccerà di
nuovo la grande arte abruzzese.
Se l’uomo si è allontanato, di contro quasi ad opporsi a questa distanza obbligata, la
sua arte è rimasta qui, non come memento,
ma come materia viva ricca di spunti di riflessione. E quindi, se il calendario ha dato
avvio a questo omaggio espositivo, è la pittura dell’artista che ci ha indirizzato a costruirne il percorso, le pause e le riflessioni.
Abbiamo deciso di partire dai tre dipinti che
in diversi momenti e per diverse ragioni sono
entrati nelle collezioni del Museo Nazionale
d’Abruzzo. Attorno ad essi non è stato facile
ricostruire quasi dieci anni di pittura, fatti di
sperimentazione e approfondimenti, ricerche
in campo tecnico e voglia (oppure necessità) di “non perdere il treno” dell’arte contemporanea internazionale. Sono anni di dura
e cupa riflessione quelli in cui Muzi prova a
collocare i propri dipinti sullo stesso binario
del mainstream internazionale ma, come lui
stesso ebbe a sottolineare in occasione della
retrospettiva del 1982, erano “emozioni che
non erano le mie… poi li ho distrutti tutti”.
Invece no Fulvio! Non li hai distrutti tutti.
Hai lasciato che una parte di essi potesse
parlare, a distanza di sessant’anni, di quanto
costa una ricerca attiva che si immerge nella
materia, di come si possa mettere in conto
la “modernità” di un linguaggio che ricordi,
almeno di rimbalzo, le grandi questioni politiche, che faccia della figura, ancora e ancora,
un campo di battaglia. E noi abbiamo provato
a ripercorrere i tuoi passi negli anni Sessanta, tra dipinti e documenti, ritagli di giornale
sottolineati e foto di quei giorni, cercando di
immaginare i tuoi pensieri, le tue sensazioni,
leggendo con attenzione tutti i tuoi appunti su quegli articoli dei critici spaesati non in
grado di comprendere una ricerca in fieri,
che si chiedevano, spesso senza governare appieno tali interrogativi, se ti sarebbero
state “risparmiate le accuse di traditore”, se
il “frammentarismo” sarebbe diventato la tua
cifra distintiva e se avresti saputo “dar vita ad
una nuova forma espressiva” oppure saresti
caduto “nella retorica astrattista”. Sottolineavi
e scrivevi con grafia nervosa “per costoro il
problema figurativo è come la scrittura cinese” e nel contempo partecipavi a collettive,
premi artistici e biennali perché l’incontro con
le opere dei colleghi era uno stimolo ulteriore,
un modo per affinare la ricerca.
E poi le grandi mostre dell’arte contemporanea nelle sale del Castello che nell’ottobre
del 1963 videro nello stesso momento, sotto
il titolo Aspetti dell’arte Contemporanea, un
omaggio a Cagli e Fontana, una mostra di
incisione, un’antologia del nuovo disegno italiano, Tredici pittori americani d’oggi, il Ricordo di Réquichot, una mostra dedicata a Fieschi e Vacchi, Altri pionieri dell’arte attuale, un
omaggio a Quaroni e una mostra di progetti e
fotografie di quaranta giovani architetti. Quasi
non riesco ad immaginare come il Castello,
oggi ancora dolorosamente chiuso, potesse
essere luogo di tale effervescenza artistica.
Tra le pieghe della mostra degli artisti statunitensi devi aver trovato una consonanza con
le ricerche portate avanti da Alberto Gironella
e Hervé Télémaque e quel “Step-on can with
leg” di Lichtenstein è diventato un elemento
da approfondire, quasi lo strumento magico
per avanzare nella storia della tua ricerca artistica.
Il nostro omaggio a Muzi nel quarantesimo
anniversario della sua morte è quindi un focus
sulla sua pittura degli anni Sessanta. I dipinti e i documenti girano idealmente intorno a
Finestra (1962), dove nel gesto che struttura
l’immagine si condensano le ricerche dei due
anni precedenti nei quali il dipinto era “sempre più umoroso, carico di colore, con molta
materia” e si avviano quelle successive in cui
l’immagine si ricostruisce, sperimenta nuovi
materiali e nuove tecniche.
Così il visitatore si troverà al cospetto di
due sezioni completamente diverse nella
resa estetica, ma cronologicamente contigue
e legate da un evidente filo rosso che è la
figura umana. Quasi un mantra sono i titoli
delle opere tra 1960 e 1962: Figure distese
sulla sabbia, Figura, Figure distese. Muzi non
perde mai di vista l’essere umano: “per me il
centro dell’universo è la figura, ecco di fatto
che questa torna a comparire”. Opere in cui,
come ebbe a dire Crispolti, “la materia pittorica che Muzi mette in campo non è però
sontuosa, rutilante, ma secca, aspra, d’una
ricchezza sensuosa volutamente povera negli
effetti”. Serve a rimandare a una realtà trasfigurata in un espressionismo violento che mostra forti contatti con l’informale che, però,
verrà immediatamente superato. La ricerca
della seconda metà degli anni ’60 prende
avvio in mostra dal Ritratto di un uomo della
Resistenza (1965) nel quale il volto e la mano
dello stesso pittore ne sanciscono l’appartenenza, chiarendo quale lato della barricata
è stato scelto. Tutto all’interno di uno spazio costruito per fotogrammi, quasi immagini
televisive che hanno ancora il sapore della
scomposizione cubista e che se formalmente potrebbero essere avvicinati alla ricerca
della Pop Art, in realtà se ne allontanano per
l’atmosfera claustrofobica, quel senso di gravezza implicito nel tema, nel colore, nella materia. Sono invece più avvicinabili a riflessioni
sulla pittura statunitense di quegli anni Frammenti (1967), e Interno (1965), opere che rispondono a quella che Crispolti chiamò “oggettivismo di stesura del tutto rispondente a
nuove nozioni visive” dove silhouettes svuotate di significato rimandano ad una dimensione urbana di contemporanea quotidianità
che si ripetono quasi fossero un marchio del
nuovo consumismo acritico e sfacciato, che
tocca tutto e tutti.
Un omaggio doveroso e sentito, un modo
per riportare Fulvio Muzi al Museo Nazionale d’Abruzzo e presentare al pubblico opere poco o per nulla conosciute che ci fanno
comprendere come pensasse e facesse arte
negli anni Sessanta, sempre ricordando le
sue parole: “il quadro è energia, la migliore
dell’uomo”.
Federica Zalabra
Fulvio Muzi (1915-1984)
Fulvio Muzi nasce all’Aquila il 17 gennaio
1915 in una famiglia artigiana che contribuisce ad avvicinarlo all’arte: il padre è falegname
ebanista, mentre la madre è esperta nell’antica arte del merletto a tombolo. La prematura
morte del padre lo costringe, ancora giovanissimo, a svolgere diversi lavori contemporaneamente alla frequentazione della Scuola serale d’Arte “Teofilo Patini”; gli ottimi risultati qui
ottenuti gli aprono le porte dell’Accademia di
Brera a Milano, cui tuttavia Muzi rinuncerà per
motivi economici e famigliari.
All’Aquila il giovane pittore si guadagna da
vivere collaborando alla decorazione di edifici pubblici e ville private: ne sono esempio
gli ambienti del Gran Caffè Eden all’Aquila e
quelli dell’Albergo di Campo Imperatore sul
Gran Sasso d’Italia. Ha solo vent’anni quando,
nell’agosto 1935, riceve il suo primo riconoscimento con Autoritratto, opera presentata alla
Seconda Mostra Sindacale Interprovinciale
dell’Abruzzo e Molise. Tuttavia, contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, non è
l’inizio di una brillante carriera: strenuo oppositore del fascismo, Muzi rifiuta infatti sia l’iscrizione al sindacato fascista che l’esecuzione
di un ritratto equestre di Mussolini, andando
incontro a non poche difficoltà lavorative in un
momento in cui il regime vigila imperante su
artisti e committenze.
L’esperienza della Seconda guerra mondiale sul fronte greco-albanese si dimostra
tanto traumatica quanto decisiva per la sua
piena maturazione artistica, incentrata sulla
rappresentazione della travagliata condizione
umana da una parte e dalla costante ricerca di
speranza per il futuro dall’altra. Nel settembre
1943 decide di combattere dalla parte della
Resistenza greca, fino al 12 ottobre 1944,
giorno della liberazione di Atene dalle forze armate tedesche.
All’indomani del conflitto, il suo impegno civile si tramuta in una libera ricerca figurativa di
confronto – ma mai di adeguamento passivo
– con le correnti artistiche del momento e nella
militanza nel Partito Comunista Italiano; torna
ad essere partecipe del clima culturale aquilano col Gruppo Artisti Aquilani, che nel 1955
fonda la Scuola Comunale d’Arte. Ha quindi
inizio la carriera di Muzi in qualità di insegnante, in un primo momento presso la Scuola
d’Arte, in seguito – dal 1961 al 1976, anno del
suo pensionamento – presso l’Istituto Statale
d’Arte. Educatore capace di stabilire con i propri alunni profondi rapporti umani nonostante
il proprio carattere schivo e riservato, Muzi affianca il mestiere d’artista non solo a quello di
insegnante ma anche a quello di restauratore
di affreschi: tra i tanti edifici civili e religiosi in cui
lavora si annoverano la basilica di San Francesco ad Assisi, il duomo di Orvieto, la cattedrale
di San Pelino a Sulmona, la chiesa di San Silvestro all’Aquila e quelle di Santa Prassede a
Roma e di San Lorenzo a Torino.
Intollerante a complimenti e riflettori puntati, Muzi rifugge il mercato dell’arte, è restio a
mostrare le proprie opere e ad aprire le porte del proprio studio di pittura – inteso come
uno spazio di intima e dirompente espressione artistica – e refrattario all’organizzazione
di rassegne personali. L’artista si dimostra
incline alla sola partecipazione a mostre collettive, tra le quali si segnalano per importanza
la VI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma
nel 1951, il Premio Michetti di Francavilla al
Mare dal 1954 al 1969 e la seconda e terza
edizione della Rassegna internazionale d’arte
Alternative Attuali, svoltesi all’Aquila nel 1965 e
nel 1968. L’antologica Fulvio Muzi dal 1932 ad
oggi: cinquant’anni di pittura, curata dal critico
d’arte Enrico Crispolti e ospitata nel Castello
cinquecentesco dell’Aquila dal 15 luglio al 30
settembre 1982, si configura dunque come
un unicum assieme alla personale Fulvio Muzi
pittore, organizzata a Scanno nel 1980. Inoltre, il preferenziale legame col fervido contesto
locale aquilano non impedisce a Muzi di calarsi in un confronto dialettico con artisti e movimenti artistici di livello internazionale: è il caso
della partecipazione nel 1963 a Dieci artisti
abruzzesi oggi, rassegna che, organizzata parallelamente ad Aspetti dell’Arte Contemporanea nel Castello cinquecentesco, consente al
pittore di conoscere gli artisti pop americani un
anno prima della Biennale di Venezia del 1964.
L’ultima grande impresa dell’artista è la
committenza, da parte dell’allora sindaco
dell’Aquila Tullio De Rubeis, di un murale da
eseguire a Palazzo Margherita per commemorare il 40° anniversario della Liberazione della
città dall’occupazione nazista. Manifesto del
neorealismo pittorico di Muzi, l’opera, che si
viene a presentare come la conferma più eloquente dell’incrollabile impegno sociale – oltre
che culturale – a cui il pittore aquilano non si
è mai voluto sottrarre, chiude la sua carriera
artistica: già malato da tempo, Muzi partecipa
all’inaugurazione dell’opera nel giugno 1984.
Si spegne due mesi dopo, nell’agosto dello
stesso anno.
Beatrice Puccio
Bibliografia di riferimento
E. Crispolti (a cura di), Fulvio Muzi dal 1932 a
oggi: cinquant’anni di pittura, catalogo della
mostra (L’Aquila, Castello cinquecentesco, 15
luglio-30 settembre 1982), Roma 1982
Fulvio Muzi. Figure 1935-1984, catalogo della
mostra (Roma, Sala Santa Rita, 18-28 gennaio 2005), Roma-L’Aquila 2005
P. Muzi, V. Turco (a cura di), Fulvio Muzi. L’uomo, l’artista, l’insegnante, L’Aquila 2006
P. Muzi, B. Olivieri (a cura di), Il Murale di Fulvio Muzi nell’Aula del Consiglio Comunale
dell’Aquila, L’Aquila 2024
L’Aquila negli anni Sessanta
e il cittadino Fulvio Muzi1
Che città è L’Aquila negli anni Sessanta,
la città in cui Fulvio Muzi ha scelto di rimanere, nonostante diverse opportunità, di operare nella società e nelle civiche istituzioni, di
confrontarsi con amici e concittadini seduto
ai tavolini del Caffè Eden, e soprattutto di
rendersi interprete con il linguaggio dell’arte
di quella realtà e del suo vissuto mediante
un’incessante ricerca espressiva?
Il sorgere nell’Aquila degli anni Sessanta di valide istituzioni culturali e formative,
tutt’oggi ben vive, quali l’Università degli Studi (1961), il Conservatorio di Musica (1967),
l’Accademia di Belle Arti (1969), nonché il
Teatro Stabile (1963) e il gruppo da camera
i Solisti Aquilani (1968) dimostra l’esistenza
di una classe dirigente di tutto rispetto, formata essenzialmente da professionisti e insegnanti nonché da politici, amministratori,
dirigenti pubblici quali i Soprintendenti e da
intellettuali capaci di progettualità e coesione
realizzativa, al di là dei diversi orientamenti
politici personali.
Ciò non toglie che vi fosse in città un acceso dibattito sui vari temi destinati a segnare
il futuro dell’intera comunità e che proprio nel
crogiolo del vivace confronto progettuale si
fosse in grado di promuovere e organizzare
eventi culturali di una certa importanza quali
l’intensa serie di mostre d’arte di cui alcune
di rilievo nazionale come le Biennali di Arti figurative dell’Abruzzo e Molise e altre di rilievo
internazionale come le tre edizioni di Alternative Attuali (1962, 1965 e 1968). Queste,
ideate e curate dal giovane critico militante
Enrico Crispolti, segneranno sia un importante momento di apertura alle più innovative
tendenze dell’arte contemporanea e sia un
significativo riconoscimento per quegli artisti
abruzzesi di punta invitati a esporre, tra i quali
Fulvio Muzi, pittore e cittadino impegnato civilmente e politicamente.
1 Tutte le notizie riportate sono documentate nell’Archivio Fulvio Muzi. Si omettono puntuali riferimenti stante la natura discorsiva del
saggio.
In un contesto nazionale caratterizzato
da un impetuoso sviluppo economico e industriale e dalla novità costituita dai governi
di centro-sinistra, la classe dirigente cittadina
continua a intessere intense relazioni con gli
ambienti governativi della capitale, indispensabili ai fini della creazione di solide istituzioni
formative e culturali, nel puntuale obiettivo di
definire in tali settori una primazia della città in ambito regionale. La costruzione del
ruolo di capitale culturale in Abruzzo per la
città dell’Aquila è la carta che viene giocata
dalla locale classe dirigente nell’ambito della
contesa apertasi da alcuni anni con la città di
Pescara, in irrefrenabile ascesa economica e
demografica, per la conquista del ruolo di capoluogo di regione: la nuova realtà istituzionale prevista nella Costituzione repubblicana
del 1948.
Pertanto la vita pubblica cittadina sul piano politico e culturale si dipana lungo il decennio in modo accelerato, all’interno di una
crescente e vivace gara volta all’affermazione
di una primazia sull’Abruzzo. È certamente
questo obiettivo il motore che anima nel profondo l’azione della classe dirigente cittadina
nel definire un ruolo e una funzione ben riconoscibili per la città, una identità collettiva in
cui l’intera comunità potesse riconoscersi e
partecipare attivamente.
Nel contesto dell’irruento sviluppo edilizio
e urbanistico, fenomeno di carattere nazionale che sta trasformando il volto di quasi tut-
te le città italiane, anche all’Aquila dai primi
anni Sessanta si ha un acceso dibattito tra
esponenti di forze economiche che puntano
a una modernizzazione spinta della città, e si
oppongono duramente al regime vincolistico
riguardante il centro storico, e quel nucleo di
professionisti e intellettuali che invece lottano per la salvaguardia del pregevole assetto
urbano medievale d’impianto angioino, quale
elemento identitario in vista di una modernizzazione ben governata, tale da rendere attrattiva la città proprio grazie ai lasciti, artistici
e architettonici, della sua importante storia.
Al fine di un’azione organizzata di tutela alcuni cittadini sensibili, primi tra i quali i professori Alessandro Clementi, Francesco de Aloysio e Carlo Tobia insieme al giovane urbanista
ing. Marcello Vittorini e al pittore Fulvio Muzi
fondano una Sezione dell’associazione Italia
Nostra, sorta da alcuni anni a Roma proprio
per tentare di ostacolare il “sacco edilizio” in
corso nei centri storici delle città italiane.
Questo della salvaguardia del centro storico e degli aspetti paesaggistici del circondario quali elementi di pregio su cui basare
il nuovo sviluppo della città, è uno dei principali temi d’impegno di Muzi quale consigliere
comunale e quale membro della Commissione per l’onomastica stradale prima e della
Commissione per l’edilizia e l’ornato poi. E
nell’ambito della tematica relativa allo sviluppo edilizio, e in particolare all’edilizia pubblica,
egli crea nel 1957 una sezione del Sindaca-
to Nazionale Artisti aderente alla CGIL, di cui
diviene presto un referente a livello regionale, per una corretta applicazione della legge
del 1949 prescrivente la destinazione del 2%
degli stanziamenti per edifici pubblici a opere
d’arte ornamentali. Cosicché in tale veste è
chiamato ad esempio nella commissione di
valutazione dei progetti di opere d’arte per il
nuovo Palazzo dei Tribunali in costruzione in
quegli anni in Via XX Settembre.
Altro terreno d’impegno costante per quel
nucleo di cittadini attenti a uno sviluppo economico e civile qualitativo è la difesa del pregevole ambiente naturalistico del Gran Sasso
d’Italia, che è oggetto d’impattanti progetti
nell’ambito di quel rilancio dell’industria turistica da tutti auspicato. E tra essi certamente
il più animoso e motivato sostenitore di una
rigorosa tutela è proprio Muzi, appassionato ed esperto escursionista cui nel dicembre
1960 viene chiesto dal suo amico avv. Nino
Carloni, fondatore e direttore artistico della
Società dei Concerti “B. Barattelli”, di accompagnare in escursione sul Gran Sasso il
prestigioso pianista Arturo Benedetti Michelangeli venuto a tenere un concerto presso il
Teatro comunale.
A proposito della sua passione e assidua
frequentazione dei sentieri del Gran Sasso
è da richiamare anche il convinto volontariato all’interno della Sezione cittadina del
CAI, come altro aspetto dell’impegno civile
di Muzi che, subito dopo la tragedia dei tre
tecnici dell’Agip Mineraria morti su M. Camicia nell’ottobre 1958, i cui resti dopo lunghe
ricerche sono individuati proprio dal gruppo
di volontari da lui guidato, sostiene la costituzione di una squadra di Soccorso alpino, di
cui poi egli stesso entra a far parte nel 1963.
La stessa Sezione CAI sotto la solida presidenza di Nestore Nanni l’anno successivo,
nel settembre 1964, è in grado di ospitare il
76° Congresso nazionale del CAI e a Muzi
viene chiesto di ideare una medaglia commemorativa dell’evento, che celebri la voluta
coincidenza del Congresso nazionale con la
ricorrenza del 90° della fondazione della Sezione stessa.
La viva partecipazione di Muzi alle vicende
della comunità cittadina si esprime ripetutamente sul piano artistico anche in termini di
grafica promozionale. In questo stesso anno
1964 a lui è affidata dal Centro Turistico del
Gran Sasso la realizzazione del manifesto illustrativo dei nuovi impianti sportivi e sciistici.
In precedenza aveva già avuto incarichi
di questo tipo, come quando il sindaco Angelo Colagrande gli aveva commissionato
l’ideazione del manifesto della prima Biennale regionale di arti figurative organizzata dal
Comune dell’Aquila nella primavera del 1956
o le volte in cui l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, promotrice delle successive edizioni della rassegna (1958, 1960, 1963
e 1966), aveva affidato a Muzi la grafica della
sopracoperta dei relativi cataloghi a stampa.
Com’è stato giustamente osservato, negli anni Sessanta agisce ancora quella spinta
propulsiva che aveva connotato l’azione del
Gruppo Artisti Aquilani (GAA), l’associazione
sorta subito dopo la guerra, nell’estate 1944,
e che per un decennio ha operato attivamente a ricostruire con l’arte e le attività culturali
un tessuto sociale e civile dopo le lacerazioni
del periodo bellico.
Poli propulsivi da metà anni Cinquanta sono divenuti da un lato le due principali
emanazioni del GAA, cioè la Società Aquilana
dei Concerti e la Scuola d’Arte, e dall’altro il
Museo Nazionale d’Abruzzo che, istituito nel
1951 nel Castello spagnolo (smilitarizzato