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(AGENPARL) – gio 04 aprile 2024 Garante dei disabili, avv. Paolo Colombo: “Sanità in affanno. L’italia
spende la metà di Germania e Francia, disparità nel riparto fondi,
curarsi sta diventando un lusso”
Per la Corte dei conti le prestazioni ancora reggono ma i fondi pubblici
fermi a 3.018 euro pro capite sono il 47% di quelli tedeschi e il 57,9% di
quelli francesi.
La categoria del miracolo non appartiene agli strumenti di analisi della
finanza pubblica. Ma sembra avvicinarsi parecchio a quanto compiuto fin
qui dal sistema sanitario italiano. Che viaggia su livelli di finanziamento
pubblico ormai sideralmente lontani da quelli abituali nei principali Paesi
europei, ma riesce comunque a garantire un livello di risultati in linea con
le medie continentali: anche se con difficoltà crescenti, in un quadro
macchiato da distanze sempre più allarmanti fra Nord e Sud.
Il quadro emerge chiaro dalla nuova Relazione al Parlamento sulla
gestione dei servizi sanitari regionali appena depositata dalla sezione
Autonomie della Corte dei conti (delibera 4/2024. Con un’impostazione
percorsa da forti elementi innovativi, l’esame dei magistrati contabili non
si limita questa volta alla scansione puntuale dei dati di bilancio, ma si
allarga in uno sguardo a tutto campo che incrocia i dati finanziari e quelli
di performance, pescati dai dati sui livelli essenziali di assistenza (Lea)
ma anche dagli indicatori sul benessere equo e sostenibile (Bes) elaborati
dall’Istat e da quelli costruiti dall’Ocse sulle performance dei sistemi
sanitari: collocando i risultati in un contesto internazionale che aiuta a
inquadrare meglio le incognite della sanità di casa nostra.
I numeri parlano chiarissimo, come sono abituati a fare. La spesa
pubblica italiana per la sanità oscilla oggi intorno ai 131 miliardi, contro i
427 della Germania, i 271 della Francia e i 230 del Regno Unito. Nel
rapporto al prodotto interno lordo, che misura in modo più efficace il
confronto internazionale, noi ci fermiamo al 6,8%, mentre la Germania
arriva al 10,9%, la Francia al 10,3% e il Regno Unito al 9,3%. Il grado di
condizionamento imposto dallo stato dei conti pubblici e dal livello del
debito si fa ancora più evidente quando si guarda alle dinamiche degli
ultimi anni. Fra 2016 e 2022 l’Italia ha realizzato la crescita economica
più modesta fra i grandi Paesi del continente, con un +6,6% che si
confronta con il +8,5% della Germania, il +8,2% della Francia e il
+10,2% del Regno Unito. Ma è anche l’unica ad aver aumentato la spesa
sanitaria meno del prodotto interno lordo: nello stesso periodo il
contatore segna +6,6%, mentre Berlino, Parigi e Londra hanno fatto
segnare valori fra il 24,8 e il 25,4%, a ritmi cioè circa quattro volte
superiori a quelli italiani. In sintesi estrema, a parità di potere d’acquisto
la spesa sanitaria italiana per abitante è il 47% di quella tedesca e il
57,9% di quella francese.
a fare da contraltare alla carenza di risorse pubbliche ci sono i portafogli
degli italiani, che si caricano direttamente tramite prestazioni a
pagamento una spesa annua da quasi 920 euro a testa, coprendo per
questa via il 21,4% del costo complessivo della sanità italiana.
Ma anche con queste premesse complicate, sottolinea la Corte dei conti,
«le performance del servizio sanitario nazionale riguardo agli esiti di
salute e alla qualità delle cure, risultano generalmente superiori a quelle
medie dei Paesi Ocse, e descrivono, quindi, un sistema sanitario
mediamente efficiente ed efficace». A questo risultato concorrono per
esempio parametri come tasso di mortalità prevenibile (in Italia 91 per
100mila abitanti) o trattabile (55 per 100mila) si fermano molto sotto alla
media Ocse (rispettivamente158 e 79 per 100mila abitanti); la mortalità a
30 giorni dopo un attacco ischemico in Italia arriva al 6,6% contro il
7,8% Ocse, e anche la qualità dell’assistenza primaria poggia su un
livello molto basso di ricoveri inappropriati per infarto acuto (214 ogni
100mila abitanti contro 463) e gli accertamenti preventivi per lo
screening del cancro al seno abbracciano il 56% delle donne (qui l’Ocse
arriva al 55%). Andiamo peggio nel consumo eccessivo di antibiotici, nei
tassi di mortalità per inquinamento e, naturalmente, nella disponibilità di
risorse umane (6,2 infermieri ogni mille abitanti contro i 9,2 della media
Ocse; -48,4%) e strutturali (3,1 posti letto ogni mille abitanti, 4,3
nell’Ocse: -38,7%).
Da sottolineare anche la disparità nel riparto fondi tra regioni del Nord e
regioni del Sud, come la Campania, fortemente penalizzata dall’adozione
del criterio della “spesa storica”.
Infine è da evidenziare che Per la gran parte degli italiani il Servizio
sanitario nazionale riveste un ruolo fondamentale: l’89% dei cittadini lo
ritiene infatti un pilastro della nostra società. Uno spazio ‘sacro’ dove
ridimensionare le diseguaglianze territoriali, socio-economiche e
culturali. Il 90,5% dei pazienti ritiene positiva o comunque sufficiente la
qualità delle prestazioni ricevute.
Il problema risiede, tuttavia, nel riuscire a usufruire dei servizi sanitari
nell’ambito del Ssn. Secondo l’indagine, (21° Rapporto Ospedali&Salute
di Censis E Aiop) il vulnus del sistema è proprio la sua impermeabilità,
in termini di barriere all’ingresso. Il 53,5% degli italiani si trova ad
affrontare tempi di attesa eccessivamente lunghi rispetto all’urgenza della
propria condizione clinica, mentre il 37,4% segnala la presenza di liste
bloccate o chiuse, nonostante siano formalmente vietate.
La quota di popolazione che rinuncia, e si rivolge alla sanità a
pagamento, è del 39,4% (il 34,4% dei bassi redditi). In particolare, il 12%
ricorre all’intramoenia (la sanità privata nelle strutture pubbliche) e il
18% al privato puro.
Il 51,6% degli italiani,pertanto, sceglie direttamente la sanità a
pagamento, senza provare a prenotare nel Ssn.
Il Garante dei disabili
Avv. Paolo Colombo