
(AGENPARL) – mar 13 febbraio 2024 CONSIGLIONAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Intervento del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Avv. Francesco Greco,
alla Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 della Corte dei conti
(Roma, 13 febbraio 2024)
Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Corte, Signor Procuratore Generale, Autorità Tutte,
Magistrate e Magistrati, Colleghe e Colleghi,
Ancor più dell’anno passato possiamo purtroppo dire che i tempi che stiamo vivendo sono caratterizzati da molte drammatiche crisi – geopolitiche, climatiche, ambientali ed economiche – che si intrecciano, aggravandosi reciprocamente. La reazione a queste crisi comporta interventi del più diverso tenore a livello sovranazionale e nazionale, interventi che nella maggior parte dei casi, presuppongono l’impiego di ingenti risorse pubbliche. Rimane, dunque, centrale il ruolo della Corte dei conti quale magistratura indipendente posta dalla nostra Costituzione a presidio degli equilibri di finanza pubblica, nell’esercizio delle funzioni di controllo, ai sensi dell’art. 100, così come in quelle più strettamente giurisdizionali, ai sensi dell’art. 103. E l’auspicio rimane sempre, naturalmente, che la giurisdizione della Corte, in particolare, sia un efficace deterrente al compimento di illeciti erariali. Illeciti che determinano spreco di denaro pubblico o lo sviamento dei finanziamenti dai fini istituzionali, per i quali sono stanziati.
L’azione della Magistratura contabile, in particolare, è infatti essenziale per garantire la realizzazione dei molteplici e ambiziosi obiettivi strutturali disegnati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il mancato raggiungimento degli obiettivi comporterebbe,
come è noto, gravi ricadute finanziarie, difficilmente affrontabili dalla nostra economia nazionale e probabilmente nemmeno dalla stessa Unione europea.
A questo riguardo, se è vero che alla Corte dei conti è stato sottratto il controllo concomitante sulla gestione dei fondi del PNRR, già previsto dal decreto-legge n. 77 del 2021, tuttavia, a ben vedere, le altre funzioni di controllo ad essa intestate hanno ad oggetto, sotto vari profili, l’impiego delle risorse per la ripresa, e pertanto si può dire certamente che rimane fondamentale il presidio di legalità assicurato dalla Corte dei conti.
In tale contesto i pareri della Corte dei conti possono essere certamente un utile strumento di orientamento per gli enti pubblici impegnati nel compito di realizzare – nei tempi previsti – gli interventi finanziati con le risorse europee.
Spetta però all’Avvocatura assistere le amministrazioni e le imprese nell’affrontare le singole questioni concrete, le difficili scelte amministrative, aiutandole in una selva intricata di disposizioni in costante attesa di una semplificazione tante volte annunciata, ma mai realizzata.
Le funzioni giurisdizionali della Corte sono chiamate a tutelare il rispetto dei principi costituzionali che presidiano il buon andamento dell’azione amministrativa e gli equilibri di finanza pubblica. In particolare, la giurisdizione sulla responsabilità per danno erariale conferma la sua centralità. Centralità non scalfita dalle limitazioni al perimetro dell’illecito, stabilite dall’art. 21 del decreto-legge n. 76 del 2020. Infatti, le fattispecie dolose sono e saranno sempre sanzionabili pur alleggerendo amministratori e funzionari dalla prospettiva della responsabilità per condotte attive gravemente colpose.
In ogni caso, è però essenziale che il dolo della condotta vada davvero provato e non sia frutto di mere argomentazioni teoriche.
La responsabilità deve essere rigorosamente provata in modo puntuale e rispettoso delle regole sostanziali e processuali, che sono a presidio della certezza del diritto, della prevedibilità della sanzione e servono ad attenuare quella diffusa “paura della firma”.
A tale riguardo, si segnalano all’attenzione quelle iniziative parlamentari guidate dalla volontà di scongiurare la cosiddetta “burocrazia difensiva”, prevedendo un tetto alla responsabilità patrimoniale di chi agisce per l’amministrazione.
La volontà di dare un perimetro certo all’illecito erariale è, del resto, innegabilmente alla base delle norme più recenti: si pensi all’art.2 del Codice dei contratti pubblici, approvato con decreto legislativo n. 36 del 2023, che, sancendo il “principio della fiducia”, al comma 3, delinea le ipotesi di gravità della colpa.
L’auspicio è, ancora una volta, che la medesima responsabilità sia ragione di stimolo e non di disincentivo alle iniziative e sia, dunque, conforme ai canoni di proporzionalità, prevedibilità e ragionevolezza. Canoni che, con riferimento a tutti gli illeciti che gravano sui pubblici agenti – contabili e penali compresi – si fatica a veder concretamente rispettati nel “diritto vivente”.
Il complesso di norme di vario rango e di varia provenienza (europea, nazionale, regionale) ma anche di orientamenti giurisprudenziali diversi, costituisce un ulteriore ostacolo.
L’oscurità del quadro giuridico rappresenta terreno di coltura per ipotesi corruttive, che vanno invece contrastate il più possibile: al riguardo, non serve tanto inasprire le sanzioni, quanto piuttosto procedere ad una seria opera di snellimento e di semplificazione, onde rendere l’azione amministrativa più chiara e trasparente. L’avvocatura è convinta che la mera risposta sanzionatoria non basti più: è indispensabile ed urgente un’opera di revisione complessiva della mole di disposizioni che gravano sulle amministrazioni, e che rendono la macchina amministrativa lenta e poco efficace.
Peraltro, sempre guardando ai profili di efficienza del sistema, si auspica che i tempi di definizione dei processi possano essere ridotti in futuro. Si registrano, in alcune Sezioni regionali, ritardi nel deposito delle sentenze in materia di responsabilità: in alcuni casi si sfiora l’anno di attesa. Ugualmente lunghi sono i tempi necessari per la fissazione dell’udienza in grado di appello.
Da ultimo, mi sia consentito tornare su di una questione già sottoposta all’attenzione della Corte dei conti negli anni passati, e che riguarda le funzioni di controllo nel comparto degli ordini professionali.
Accade che, senza tener conto della evidente specialità degli enti professionali, amministrazioni centrali o periferiche dello Stato, Autorità amministrative indipendenti, ed altri organismi pubblici pretendano dagli ordini adempimenti ed obblighi chiaramente pensati per strutture pubbliche completamente diverse per natura giuridica, e per dimensioni organizzative, con esiti a volte invero paradossali.
La ragione principale di tali improprie assimilazioni è che le normative genericamente rivolte al comparto pubblico, piuttosto che delimitare precisamente il proprio campo di applicazione in funzione degli obiettivi e della ratio del singolo intervento legislativo, si limitano per lo più a richiamare l’art. 1, comma 2, d. lgsl. n. 165/2001 (TU pubbl. imp.), fonte che contiene un elenco degli enti afferenti al settore pubblico, originariamente pensato nell’ambito del pubblico impiego, e che contempla anche la categoria degli “enti pubblici non economici”. Essendo gli ordini professionali enti pubblici non economici, assai di frequente accade che uffici ministeriali e altre autorità pubbliche ritengano gli ordini soggetti a vari oneri ed adempimenti previsti in via generale per le pubbliche amministrazioni o per enti afferenti al comparto pubblico.
Nonostante sia stato più volte evidenziato in dottrina e a volte anche in giurisprudenza come il richiamo all’art. 1, comma 2 TU pubbl. imp. sia di per sé insufficiente a ricomprendere gli ordini professionali, tuttavia, essi hanno continuato a ricevere richieste di adempimenti manifestamente pensati per enti che gravano sulla finanza pubblica.
Tale situazione genera difficoltà, a fronte dell’impossibilità oggettiva di applicare agli ordini, per lo più assai modesti per dimensioni strutturali e numero di dipendenti, discipline e regimi originariamente pensati per il comparto delle amministrazioni statali.
Il legislatore è intervenuto recentemente con una norma che chiarisce il quadro giuridico e preclude ogni impropria assimilazione degli ordini alle altre pubbliche amministrazioni, riconoscendone la specialità.
Con il decreto-legge n. 75 del 2023 (conv. in legge 10 agosto 2023, n. 101), ed in particolare con l’art. 12-ter, il legislatore ha modificato il testo dell’art. 2 comma 2bis del decreto-legge n. 101 del 2013.
La nuova norma chiarisce che:
«Ogni (…) disposizione diretta alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, non si applica agli ordini, ai collegi professionali, ai relativi organismi nazionali, in quanto enti aventi natura associativa, che sono in equilibrio economico e finanziario, salvo che la legge non lo preveda espressamente».
L’innovazione in commento raggiunge l’obiettivo storico di escludere la soggezione automatica degli ordini professionali a normative genericamente riferite al comparto pubblico ed afferma l’opposto principio per cui, quando il legislatore intenda estendere agli ordini e ai collegi professionali previsioni od obblighi che caratterizzano il regime delle PP.AA., lo debba prevedere espressamente
A ben vedere le nuove norme altro non fanno che applicare un principio di buon senso e recepiscono una più che ragionevole richiesta del comparto ordinistico, peraltro allineandosi a quanto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa più accorta (cfr. Tar per la Sicilia, sezione di Catania, sentenza n. 2307 del 5 dicembre 2018, e TAR Lazio, sentenza 2 novembre 2022, n. 14283).
Confidiamo che lo spirito di costruttiva collaborazione istituzionale, che ha sempre contraddistinto i rapporti tra l’Avvocatura e la Corte dei conti, contribuisca a rendere ancor più chiara e definita l’attività di verifica della giurisdizione contabile e di controllo, al fine del concreto perseguimento del comune interesse della migliore amministrazione della cosa pubblica.
Con questi auspici, formulo, a nome del Consiglio Nazionale Forense e dell’Avvocatura italiana, i migliori auguri per un nuovo anno giudiziario.
Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Francesco Greco