
[lid] Egregio Direttore Camilloni,
Le scrivo per segnalarLe quanto mi è accaduto due settimane fa, davvero grave e assurdo.
Mi chiamo Giuseppe Idone, risiedo a Roma, sono un medico psichiatra in pensione, sono una persona con tetraplegia a causa di un trauma midollare. Io e due miei assistenti di nazionalità indiana abbiamo passato la notte del 25 settembre scorso presso l’hotel Holiday Inn City Centre, sito al n. 1 di Av. Rageot de la Touche, nella città di Tolone, in Francia. Ci siamo recati in Francia partendo in macchina da Roma il 21 settembre, avendo come meta finale la città di Lourdes, che abbiamo raggiunto dopo alcune tappe. Da Lourdes siamo ripartiti la mattina del 25 settembre, e siamo giunti a Tolone la sera per trascorrere la notte con l’intenzione di rimetterci in viaggio la mattina successiva per Genova. La mattina del 26 ci siamo recati a fare colazione presso il Bar de la Marine, al n. 1 di Pl. Gabriel Péri, a poca distanza dall’albergo. Dopo colazione, ho detto ai miei amici che sarei andato per una breve visita verso il porto di Tolone; utilizzo una sedia a rotelle elettronica che mi consente di muovermi autonomamente anche negli spazi urbani. Loro si sono avviati a piedi verso l’albergo per mettere i bagagli nella macchina, per partire per Genova alle 10. Mi ero già avviato verso il porto quando i miei due assistenti, dopo pochi metri dal bar, sono stati accerchiati dalla polizia di frontiera che li ha obbligati a seguirli alla loro sede distante pochi metri, al n. 33 di Rue Berrier Fontaine. Sono stati obbligati a togliersi le scarpe, la cintura, di esibire i documenti, perfettamente in regola per due cittadini extracomunitari che sono in Italia da moltissimi anni con permesso di soggiorno di lavoro. Il personale della polizia di frontiera non ha creduto e dicendo, con sorrisetti, che si trattava di documenti falsi, gli ha sequestrato i cellulari e gli ha imposto di mostrare le mail. Gli sono state fatte domande del tipo: “Chi è il presidente dell’India?”, “Chi è il primo ministro dell’India?”, “Dimmi alcuni nomi di città indiane”. Poi, uno dei due cittadini indiani ha chiesto a un poliziotto quale fosse il motivo del fermo e lui gli ha risposto che glielo avrebbe notificato il giorno dopo il giudice e che quindi li avrebbero tenuti per almeno 24 ore fino a decisione del magistrato. Li hanno intimati di non fare ulteriori domande altrimenti sarebbero stati chiusi per altri 20 giorni. È stata chiesta una prova del giorno e dell’ora in cui sono entrati in territorio francese e loro hanno fornito l’Sms che normalmente arriva sui cellulari quando si varca il confine di un paese straniero. Il poliziotto ha letto ridacchiando il messaggio Sms e ha aggiunto subito dopo che il cellulare apparteneva ad un’altra persona. I due cittadini indiani, sempre più disperati, hanno detto ai poliziotti che dovevano assolutamente assistere una persona con disabilità che li stava aspettando nell’albergo Holiday Inn City Center, a pochi passi. Loro hanno risposto ridendo che questa persona disabile se la poteva cavare da solo. Poi sono stati messi in una cella semibuia per ore. Io ero ancora del tutto ignaro di questi eventi. Sono arrivato in albergo alle 9.45 circa, non li ho trovati e ho trovato la macchina vuota. Li ho chiamati tantissime volte ai loro cellulari senza avere risposta; ho pensato che fossero andati anche loro a fare una piacevole passeggiata, senza rendersi conto dell’orario e che non avessero sentito squillare il telefono. Dopo un po’, squilla il mio cellulare; è uno dei miei due amici indiani, mi dice: “Giuseppe, ci hanno fermato, siamo al commissariato”. (Non poteva sapere si trattasse della polizia di frontiera). Dopodiché, il suo telefonino gli viene strappato dalle mani e una donna, con tono molto scortese e altezzoso, mi fa un discorso ma non riesco a comprenderla bene, le chiedo se parla inglese, mi risponde alzando ancora i toni: “Pas du tout!”. E chiude il telefono. Mi sono trovato nel panico totale, completamente perso; sono entrato in albergo e ho raccontato l’accaduto con immenso sconforto ai due gentili ragazzi della reception che mi hanno consigliato di andare al posto di polizia più vicino. Sono andato con la mia sedia a rotelle al posto di polizia distante circa 1 chilometro, ma non mi hanno saputo dire nulla; quindi, sono tornato in albergo. Dalla reception hanno chiamato il Consolato Italiano a Marsiglia che mi è stato di grande aiuto, e hanno anche telefonato alla polizia che più tardi è arrivata in albergo. I poliziotti hanno chiamato tutti i posti di polizia e le gendarmerie della città che gli hanno detto che non c’erano cittadini indiani fermati. A quel punto, una dei tre poliziotti mi ha detto che avrei dovuto fare la denuncia di scomparsa di due persone perché probabilmente erano stati rapiti. Io, sempre più disperato, ho chiamato mia moglie a Roma la quale era pronta a prendere l’aereo. In quel momento ho cominciato a sentirmi male, a sentirmi mancare; fortunatamente nell’albergo, oltre alla disponibilità? dei ragazzi della reception, c’era anche un ragazzo italiano che stava temporaneamente a Tolone per motivi di lavoro. Gli ho chiesto aiuto, ho basculato la mia sedia a rotelle per poter stare con la testa più reclinata, ho chiesto di tenermi la testa e ad un ragazzo della reception di alzarmi le gambe per far salire un po’ la pressione, di aprire la camicia e la cintura perché respiravo molto a fatica. Ho chiesto di bere una bevanda fredda e molto zuccherata per bloccare i prodromi di un collasso. A quel punto, la reception ha deciso di chiamare un’ambulanza perché si erano spaventati molto anche loro. Dopo circa 15 minuti, inclinato e con le gambe in alto, mi sono sentito leggermente meglio, mi sono riposizionato e abbiamo disdetto l’ambulanza. Purtroppo però, dopo poco tempo, come prevedevo, ho cominciato a sentire il bisogno di svuotare la vescica, cosa che faccio inserendo, con l’aiuto fondamentale di un’altra persona, un catetere monouso. Non potevo chiedere a nessuno del personale dell’albergo di aiutarmi in una manovra così particolare, quindi ci siamo messi a cercare su internet un infermiere disposto ad intervenire sul posto, ma non lo abbiamo trovato. Sono uscito dall’albergo e sono andato nella farmacia più vicina per chiedere se avessero avuto il nominativo e il telefono di un infermiere; fortunatamente lo avevano. L’ho chiamato, è venuto e mi ha aiutato per 20 euro; mi sono tranquillizzato ma l’odissea continuava perché ancora non si sapeva dove stavano gli amici indiani. Poche ore dopo, arriva una telefonata ad uno dei tre poliziotti presenti nell’albergo; mi dice che hanno trovato i due cittadini indiani presso la polizia di frontiera “per controlli”, e che non si poteva sapere quando sarebbero stati rilasciati. Anche il Consolato italiano di Marsiglia, che ha seguito tutto e mi ha sostenuto minuto per minuto in questa assurda vicenda, mi ha chiamato per dirmi che i cittadini indiani erano ristretti nella locale polizia di frontiera. Alle ore 15 circa, finalmente, dopo 5 ore di sofferenza e di tensione, vengono liberati e arrivano facilmente in albergo che distava dalla polizia di frontiera meno di 100 metri. Prima di lasciare la cella, i due amici indiani hanno chiesto agli agenti un rapporto scritto con il motivo del fermo; gli è stato negato aggiungendo che avrebbero potuto fornire tutte le ragioni per imprigionarli per sei mesi (preciso che i miei due amici e assistenti indiani sono due veri esempi di umanità, discrezione, compostezza, educazione). Ci siamo finalmente rilassati, per quanto possibile, abbiamo mangiato qualcosa, ma prima di entrare in macchina per partire per Genova, ho voluto farmi accompagnare alla sede della polizia di frontiera. Mi hanno ricevuto due persone con sguardo arcigno e atteggiamento di supponenza; mi hanno subito chiesto il documento d’identità. Uno di loro mi dà una sua arbitraria spiegazione dell’accaduto dicendomi che i cittadini extracomunitari, anche se in possesso di documenti regolari per l’Italia, non hanno assolutamente diritto di entrare in Francia senza un permesso, e tantomeno di girare per la Francia guidando una macchina. Alla burbera poliziotta (che mi dice essere colei che mi aveva chiuso il telefono in faccia) ho detto che loro non possono fermare così le persone, soprattutto se assistono una persona con disabilità lasciandola sola; mi risponde, con ancora più arroganza e boria, che non ero solo perché ero in compagnia del personale dell’albergo. Ho detto loro che quando fermano qualcuno che dice di assistere una persona con disabilità, devono rilasciarlo almeno per il tempo utile per l’aiuto vitale; mi rispondono che non credono mai a ciò che le persone riferiscono. Non ancora soddisfatti delle loro spiegazioni, mi hanno anche detto che, prima di fermarli, avevano visto con le loro telecamere i miei due amici camminare da soli per i marciapiedi vicini alla loro sede; hanno aggiunto che questo non era regolare e che io avrei dovuto essere sempre presente vicino a loro. Avrei voluto rispondere ma mi sono controllato. Mi sembrava di stare in una caserma della legione straniera, in quel film di Stanlio e Ollio che da bambino vidi decine di volte perché mi faceva tanto ridere (da bambino). Prima di congedarmi dal posto di polizia di frontiera, ho dato la mano destra ad uno dei poliziotti aguzzini, e lui mi ha porto il suo indice destro. Poi, hanno aperto la porta blindata, sono uscito da quel posto orribile e i vessatori hanno chiuso la porta sbattendola con forza e sonoramente. Alle 16 circa siamo partiti umiliati e oltraggiati da Tolone.
Quella mattina di un giorno da cani, mentre andavo verso il porto di Tolone, mentre era appena iniziata ancora a mia insaputa questa storia kafkiana di ordinaria follia, mi sono trovato davanti al Palazzo di Giustizia e mi sono soffermato alcuni secondi a leggere e a riflettere su quanto scritto a caratteri cubitali sull’ingresso monumentale: Liberté Égalité Fraternité. Da quando ho letto della Rivoluzione francese, probabilmente dalle scuole elementari, ogni volta che vedo o che penso a queste parole, rimango colpito; anche quel giorno, davanti al Palazzo di Giustizia di Tolone, ho pensato ancora una volta che il popolo francese aveva insegnato tanto al Mondo in materia di Diritti Umani.
Quella mattina di un giorno da cani, poche ore dopo, avrei dovuto subire sulla mia pelle e i miei amici indiani sulla loro: odio, sadismo, intolleranza, ignoranza, vendetta. Ovviamente, tutto ciò che ho raccontato non ha nulla a che vedere con la totalità o con la mentalità (spesso colonialista) del popolo francese, ma non posso nascondere che prima di rivarcare la loro frontiera in un eventuale futuro, ci penserò più di una volta. Episodi come quello accaduto ai miei amici indiani accadono quotidianamente; ciò non dovrebbe ma purtroppo tutto proviene dal clima paranoico di non-fratellanza che si è creato in questo mondo ed epoca distopiche e disfunzionali. Dopo il ritorno nelle nostre case, sono comparsi i sintomi del disturbo post traumatico da stress, per aver maniera diversa subito questo oltraggio dalla polizia di frontiera di Tolone. Senza l’intervento del Consolato italiano a Marsiglia, che ringrazio immensamente, che ha dialogato con il capo della polizia di frontiera di Tolone, i due malcapitati cittadini indiani sarebbero rimasti in cella almeno fino al giorno dopo.
E a me cosa sarebbe accaduto? Parigi vale bene una messa. E Tolone?
E non passerà senza denuncia, anche alla Corte dell’Aja o di Strasburgo.
La ringrazio per la Sua attenzione e per quella che riterrà di dare a questa mia esperienza.
Le porgo i miei più cordiali saluti saluti.
Giuseppe Idone