[lid] Molti gli esperti si stanno chiedendo se l’attesissimo vertice del G20 che inizierà sabato in India potrebbe avere un impatto di enorme portata sull’ordine mondiale esistente.
L’incontro dei leader dei paesi più ricchi e influenti del mondo nella capitale Nuova Delhi sarà un evento unico per diversi fattori, tra cui l’assenza del presidente cinese Xi Jinping e di quello russo Vladimir Putin, le due maggiori potenze schierate contro l’Occidente .
Vediamo i fatti. In primo luogo il G20 è ospitato dall’India, una potenza emergente non allineata in Asia.
Secondo alcuni esperti il vertice si svolgerà in un momento in cui l’ordine mondiale unipolare guidato dagli Stati Uniti, stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale, non è più dominante.
Oggi ci sono diversi paesi che si oppongono all’ordine mondiale neoliberista, come Brasile, India, Messico e altri.
Per Pechino gli Stati Uniti stanno perdendo influenza su tutti i fronti, il che a sua volta cambia la natura del G-20. Il quotidiano Global Times pubblica un’articolo dal titolo «La vera minaccia per il mondo è la nazione che circonda il pianeta con le sue basi militari» secondo il quale «mentre i leader occidentali faticano a giustificare l’etichettatura della Cina come una sfida o una minaccia, l’Occidente collettivo guidato dagli Stati Uniti ha partecipato ai peggiori atti di aggressione del 21° secolo. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno condotto l’invasione dell’Afghanistan nel 2001. Questa è stata seguita da una sanguinosa occupazione durata due decenni e terminata solo nel 2021».
«Nel 2003, gli Stati Uniti guidarono ancora una volta l’Occidente verso un atto di aggressione militare non provocata, questa volta contro l’Iraq. La guerra provocò centinaia di migliaia di morti civili. Le truppe americane rimangono ancora oggi in un Iraq profondamente diviso e destabilizzato», prosegue l’articolo del GT.
«Nel 2011, un attacco guidato dagli Stati Uniti contro il governo libico ha distrutto, destabilizzato e diviso la Libia. Uno dei risultati duraturi della guerra è la schiavitù moderna, comprese le aste di schiavi che fioriscono nello stato fallito, come riportato dal Time Magazine con sede negli Stati Uniti nel 2019», sottolinea il quotidiano comunista cinese GT.
«Solo nel 21° secolo, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno tagliato un’ondata di morte e distruzione dal Nord Africa all’Asia centrale, uccidendo centinaia di migliaia di persone e sfollando o sconvolgendo in altro modo la vita di decine di milioni. L’instabilità che gli Stati Uniti hanno seminato a livello globale ha creato un clima di insicurezza mentre le armi che gli Stati Uniti impiegano nelle guerre per procura, inclusa ora in Ucraina, stanno trovando la loro strada verso i campi di battaglia in altre parti del mondo», prosegue l’articolo del GT.
«Per l’Occidente collettivo e soprattutto per gli Stati Uniti, citare le ordinarie controversie marittime nel Mar Cinese Meridionale tra nazioni che altrimenti manterrebbero legami costruttivi tra loro come “prova” della “sfida” o minaccia della Cina al mondo, va ben oltre l’ipocrisia», scrive il GT.
«In realtà, l’Occidente non teme la Cina perché minaccia la sicurezza e la prosperità globale. L’Occidente teme la Cina perché la sua ascesa rappresenta la fine della capacità dell’Occidente di minacciare il mondo impunemente», ribadisce il quotidiano GT.
Anche altri esperti citano gli sforzi di alcuni paesi che stanno respingendo il dollaro americano, affermando che la supremazia del biglietto verde «è ormai a brandelli».
Praveen Donthi, analista senior dell’International Crisis Group, ritiene che la guerra Russia-Ucraina «metterà in ombra» il vertice.
Ha affermato Donthi che il conflitto «sta portando a una crisi del multilateralismo nell’ordine globale di oggi».
«Perché, voglio dire, è direttamente il risultato del conflitto tra l’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il blocco Russia-Cina», ha aggiunto.
Secondo Donthi l’obiettivo dell’India è cercare di «infondere un po’ di ossigeno al multilateralismo».
«L’India è una potenza media in ascesa. È una delle economie in più rapida crescita, ed è quello che si chiama uno stato geopolitico oscillante, che sta cercando di tracciare il proprio corso e il proprio percorso, e cercando di influenzare l’ordine regionale e l’ordine globale allo stesso tempo», ha sottolineato Donthi.
Quindi tutti gli occhi sono tutti puntati sull’evoluzione della guerra Russia-Ucraina che potrebbe mettere in ombra il vertice.
Poi c’è anche la questione del neoliberismo. L’economia politica dell’Occidente e le sue istituzioni stanno perdendo credibilità, mentre il dollaro sta perdendo il suo status di valuta di riserva globale.
Una delle maggiori minacce è rappresentata dai BRICS, il gruppo formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, che ha recentemente invitato altri sei paesi a unirsi ai suoi ranghi: Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Egitto ed Etiopia.
I BRICS stanno inoltre promuovendo la sostituzione del dollaro con una propria valuta comune entro il 2030.
Proprio questa settimana, l’ambasciatore russo in Sud Africa Ilya Rogachev ha presentato una banconota simbolica della valuta BRICS a Mahash Saeed Alhameli, capo della missione diplomatica degli Emirati Arabi Uniti.
Il modo in cui si svilupperà la guerra in Ucraina sarà un fattore importante per l’aspetto futuro dell’ordine mondiale.
Se Putin riesce a restare al potere contro ogni previsione, il sistema globale crollerà e dalle sue ceneri ne sorgerà uno nuovo, in cui la Cina avrà molto potere.
Secondo Donthi, questo scenario è proprio ciò che l’India vuole prevenire.
«L’India non vuole un’Asia unipolare in cui la Cina è dominante», ha detto, aggiungendo che Nuova Delhi utilizzerà il vertice per mostrare i suoi muscoli politici.
«Vuole un’Asia multipolare, che secondo l’India porterà a un mondo multipolare».
Anche le relazioni bilaterali tra India e Cina «sono sotto forte stress in questo momento a causa della crisi dei confini», il che potrebbe spiegare la decisione di Xi di stare lontano dal vertice, ha detto.
Inoltre, Nuova Delhi si sta avvicinando a Washington, come esemplificato dalla visita di giugno del Primo Ministro Narendra Modi negli Stati Uniti.
«L’arrivo del presidente Joe Biden a Nuova Delhi segnala l’incontro tra India e Stati Uniti in grande stile», ha affermato Donthi.
«Pechino sta cercando di mandare il segnale che non è soddisfatto di come stanno andando le cose».
Tuttavia, ha aggiunto, l’India è ancora «in una posizione difficile» poiché cerca di bilanciare i suoi legami con la Russia e l’Occidente.
«Ad ogni risoluzione delle Nazioni Unite, l’India si è astenuta nel condannare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, perché l’India ha una profonda relazione strategica che risale a molto tempo fa con la Russia», ha detto Donthi.
«Allo stesso tempo, l’India ha rafforzato le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente».
Da questo vertice del G20 potrebbero sorgere nuovi modelli di integrazione globale.
Per quanto concerne la Russia ha non la darei per finita. Putin alcune carte per giocare.
Tutto chiaro?
Una domanda: quale è il tallone di Achille della Cina? Vediamo i fatti.
Nel discorso che ha aperto il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, a ottobre, Xi Jinping ha ripetuto la parola “sicurezza” oltre 90 volte, rispetto alle 50 del 2017. È questo, non a caso, uno dei concetti chiave della Cina odierna, vista la tempesta perfetta con gli Stati Uniti e il rischio, crescente, che agenti o potenze straniere possano penetrare la corazza difensiva del Dragone, così da carpire informazioni sensibili relative alla sfera politica o al mondo economico.
Quando il presidente cinese parla di sicurezza, si riferisce però ad un concetto molto ampio, che comprende sia la sicurezza interna al Paese che quella esterna, e che abbraccia svariati settori strategici. Troviamo, infatti, la sicurezza che riguarda la politica, facente capo alla sicurezza pubblica e alla sicurezza dello Stato, ma anche quella relativa a economia, tecnologia, informazioni e risorse. In seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, Pechino ha acceso i riflettori, in particolare, sulla sicurezza alimentare, onde evitare la nefasta ipotesi che le tensioni internazionali possano farle correre il rischio di restare a corto di alimenti chiave nella dieta della popolazione cinese.
In base a quanto stabilito dal World Food Summit del 1996, la sicurezza alimentare è formata da quattro dimensioni: la disponibilità fisica di cibo, relativa quindi al lato dell’offerta e determinata dal livello di produzione alimentare, dai livelli delle scorte e dal commercio netto; l’accesso economico e fisico al cibo, da consolidare mediante un’elevata attenzione politica sui redditi e le spese dei cittadini; l’utilizzo degli alimenti, ovvero il fatto che esista una diversità della dieta e un buon utilizzo biologico del cibo; e la stabilità nel tempo delle tre dimensioni citate.
Formalmente, un Paese ha garantita la sicurezza alimentare quando realizza questi quattro punti. Tuttavia, fattori come la pandemia di Covid-19, la diffusione della peste suina africana, i conflitti geopolitici e militari, lo scontro tra Ucraina e Russia, hanno iniziato a scalfire la Cina, spingendo Pechino a prendere adeguate contromisure.
L’obiettivo della Cina non consiste più nel fornire almeno un piatto di riso al giorno alla sua immensa popolazione, che ormai da decenni non soffre più problemi simili, quanto piuttosto smarcarsi da pericolose dipendenze strategiche. Già, perché tra i principali importatori di cibo della Repubblica Popolare Cinese troviamo Stati Uniti e Ucraina: un Paese rivale e uno destabilizzato dalla guerra.
Come ha sottolineato Asian Nikkei Review, il Dragone ha sempre fatto affidamento alla potenza agricola di Kiev per il mais, uno dei tre cereali principali della propria dieta assieme al frumento e al riso. Un alimento chiave, non solo per le persone ma anche per il bestiame e l’allevamento di suini. Ebbene, prima della guerra, l’Ucraina contribuiva ad oltre l’80% delle importazioni complessive di mais dalla Cina.
Allo stesso tempo, grazie ad un accordo conseguito con l’amministrazione Trump, anche gli Stati Uniti giocavano un ruolo chiave nell’import dello stesso mais. Numeri alla mano, nel 2021, quando le importazioni hanno soddisfatto oltre il 10% della domanda di mais cinese, Pechino ha importato il 70% di questo alimento dagli Usa e il 30% da Kiev. Nel 2022, le importazioni complessive di mais dalla Cina sono diminuite del 27%.
La Fao ha definito tre livelli di autosufficienza alimentare: al di sotto dell’80% come deficit alimentare, tra l’80% e il 120% come autosufficienza alimentare e al di sopra del 120% come Paese con surplus alimentare. Il tasso di autosufficienza alimentare della Cina è diminuito dal 101,8% del 2000 al 76,8% del 2020, e si prevede che scenderà ulteriormente al 65% entro il 2035, se non verranno messe in atto misure tempestive.
La crescente dipendenza dalle importazioni per i principali prodotti alimentari ha ampiamente peggiorato la sicurezza alimentare della Cina. Come ha sottolineato Geopolitical Monitor, la perdita di terra coltivabile, i semi meno produttivi, i costi più elevati della produzione interna e le preoccupazioni per la sicurezza alimentare dei marchi locali hanno spinto i consumatori domestici cinesi ad optare per gli articoli importati. Di conseguenza, la Cina è diventata un importatore netto di prodotti alimentari dal 2004, nonostante l’elevata produzione interna.
Il risultato è che il gigante asiatico importa più soia, mais, grano, riso e latticini di qualsiasi altro Paese. Giusto per fare un esempio, il valore delle importazioni di cereali e farina di cereali è quadruplicato nel periodo compreso tra il 2013 e il 2021, passando da 5,1 miliardi di dollari a 20,08 miliardi. Allo stesso modo, anche le importazioni cinesi di mais sono cresciute negli ultimi anni, soprattutto nel 2021, quando la Cina ha importato 28,35 milioni di tonnellate di mais, con un aumento del 152% rispetto all’anno precedente.
Nell’aprile 2021, Xi Jinping ha dichiarato che «la sicurezza alimentare è una base importante per la sicurezza nazionale». Avendo pubblicamente collegato la sicurezza alimentare alla sicurezza nazionale cinese, il presidente cinese ha quindi chiesto ulteriori sforzi per salvaguardare la sicurezza del grano e proteggere i terreni agricoli al fine di aumentare la produzione interna.
Ma è difficile cambiare certi numeri, considerando che, con meno del 10% della terra arabile del pianeta, la Cina produce un quarto del grano mondiale e nutre un quinto della popolazione mondiale. È per questo che il nuovo premier Li Qiang ha sottolineato l’obiettivo di aumentare la produzione agricola puntando sull’espansione dei terreni coltivabili. Di conseguenza, con lo «Schema di pianificazione territoriale nazionale (2016-2030)» è stato proposto di costruire 1,2 miliardi di mu (197 milioni di acri) di terreni agricoli di alta qualità entro il 2030.
Lo scorso marzo, inoltre, il premier uscente Li Keqiang ha consegnato un rapporto di lavoro del governo alla sessione annuale del Congresso nazionale del popolo, il parlamento cinese, spiegando che, garantendo la superficie coltivata, il Paese aumenterebbe la sua capacità di produzione di grano di 50 milioni di tonnellate. Per arrivarci, molte delle nuove foreste dovranno essere bonificate e trasformate in terreni agricoli.
E pensare che già negli anni ’90 lo studioso Lester Brown aveva pubblicato un articolo sulla rivista World Watch intitolato “Chi nutrirà la Cina?”, nel quale esprimeva preoccupazione per la scarsità di cibo oltre la Muraglia. In tutta risposta, Pechino si era attivata nel tentativo di aumentare il proprio tasso di autosufficienza alimentare. Solo che, reagendo in modo eccessivo all’avvertimento di Brown, la Repubblica Popolare aveva aumentato la produzione agricola più del necessario, ritrovandosi a fare i conti con un eccesso di offerta. Fu allora che il governo cinese si spostò verso una nuova politica di restituzione dei terreni agricoli alla foresta.
Adesso serve l’esatto opposto. Anche perché, nonostante il governo cinese insista sul fatto che il tasso di autosufficienza alimentare nazionale sia abbastanza elevato, i cinesi guadagnano stipendi più alti rispetto al passato, le loro diete si stanno occidentalizzando e le importazioni di carne stanno aumentando vertiginosamente.
In un quadro simile, Xi ha più volte parlato di preparazione al combattimento. Gli analisti si chiedono tuttavia se la Cina sia davvero pronta al combattimento, qualora le tensioni su Taiwan o con gli Usa dovessero sfociare in una guerra. In quel caso, il Dragone sarebbe in grado di assicurarsi abbastanza cibo per affrontare una lunga guerra? Ecco perché per il governo cinese è fondamentale smarcarsi dalle dipendenze straniere. Soprattutto dai Paesi rivali come gli Stati Uniti.
«Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti» è una frase attribuita all’economista francese del XIX secolo Frederic Bastiat a cui bisogna aggiungere che la fertilità dei terreni è al limite e il problema della scarsità idrica e alimentare non potrà che aumentare nel futuro.
Tutto chiaro ora?