
(AGENPARL) – Roma, 20 gennaio 2020 – Come spesso accade vengono coniati dei termini attraverso i quali vengono descritti in maniera sintetica degli avvenimenti.
Negli Stati Uniti d’America è stato coniato il termine Trumportunities, le opportunità di Trump. Henry Kissinger, l’esperto di politica estera di 95 anni che è stato consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato sotto due presidenti, Richard Nixon e Gerald Ford aveva detto qualche tempo fa che “Trump poteva essere una di quelle figure nella storia che appare di tanto in tanto per segnare la fine di un’era. Non significa necessariamente che lo sappia perché potrebbe essere solo un incidente”.
In altre parole, l’idea che Trump crei, vuoi per caso o vuoi consapevolmente, delle possibilità di risolvere problemi internazionali che si protraggono da diversi anni e che un leader ‘convenzionale’ non sarebbe stato in grado di chiudere.
Il comportamento non convenzionale ed irregolare del presidente Trump ha dimostrato attraverso una combinazione di istinto, temperamento e capricciosità, al mondo la realtà delle relazioni internazionali: il potere militare ed economico crudo conta ancora più di ogni altra cosa, a condizione che coloro che le detengono siano pronti a usarle. L’attacco aereo che ha ucciso Qassem Soleimani ha ricordato che gli Stati Uniti rimangono l’unica indispensabile potenza globale. L’Iran, o chiunque altro, semplicemente non può rispondere adeguatamente.
L’agenda di Trump potrebbe ad esempio già costringere l’Europa ad affrontare la sua debolezza geopolitica.
Trump ha già fatto capire che la Cina ha bisogno di un accordo economico duraturo con gli Stati Uniti e ha fatto soprattutto intendere ai paesi in tutto il Medio Oriente i limiti del loro potere.
A prima vista potrebbe sembrare che la politica estera di Trump sia improvvisata e volubile, ma nonostante la sua imprevedibilità e, soprattutto, la sua volontà di intensificare la crisi usando la forza militare ed economica degli Stati Uniti, Trump è riuscito a ribaltare la situazione sull’Iran che pochi credevano possibile. Inoltre, l’attacco ha messo in luce l’irrilevanza delle principali potenze europee – Gran Bretagna, Francia e Germania – in tutta questa crisi. Per non parlare poi della pessima figura europea sull’ammissione del crollo sull’accordo nucleare dell’era Obama, rilasciando una dichiarazione congiunta per annunciare che stavano innescando la clausola di “risoluzione delle controversie” a causa dell’incapacità di Teheran di rispettare i termini dell’accordo.
La realtà della situazione è sorprendente perché i tentativi dell’Europa di mantenere vivo l’accordo hanno ottenuto poco o niente da Teheran a causa della sua impotenza.
E l’opposizione europea alla politica iraniana di Trump ha ottenuto risultati ancora meno a Washington. In un’intervista, il premier inglese, Boris Johnson, ha quasi ammesso la sconfitta nel mantenere vivo l’accordo sul nucleare, chiedendo invece un nuovo “accordo di Trump”.
Detto in parole semplici e chiare l’uccisione di Soleimani è un ritorno alla realtà, alla realpolitik. In questa prospettiva, Barack Obama e il suo cauto multilateralismo erano la rottura con la norma, e con Trump si torna alla concretezza della politica estera.
Obama ha mostrato le possibilità di questo nuovo approccio come ad esempio è stato l’accordo sul clima di Parigi e l’accordo nucleare iraniano – scaricati entrambi da Trump – ma non è riuscito ad affrontare adeguatamente i suoi punti deboli.
Sotto l’amministrazione Obama, l’Occidente aveva dimenticato il potere dell’escalation: chi ha la clava più grande mantiene il potere, fintanto che è pronto a usarlo.
L’argomentazione dell’escalation è molto semplice: se la risposta a qualsiasi atto aggressivo di un avversario straniero è sempre di ridimensionare per evitare una spirale di violenza, allora il vantaggio portato dal dominio militare ed economico è perso. E quindi si crea il caos. Infatti, l’Occidente non intensificherà la crisi e rimarrà inscatolato nella sua visione prudente e multilateralista. E questo Trump l’ha capito ed ha cambiato strategia ritornando alla norma.
Prendiamo ad esempio l’Iran. La risposta apparentemente sproporzionata di Trump all’aggressione di Teheran ha lasciato il regime iraniano scioccato e incerto su come rispondere. E’ stato un pugno ben assestato e quindi è stato un trionfo per Trump. Anche il recente abbattimento accidentale del volo ucraino International Airlines PS752 ha colpito duramente Teheran, rivelando una spaventosa incompetenza e un limitato potere di ritorsione, danneggiando addirittura la reputazione del regime iraniano.
Le lezioni dell’uccisione di Soleimani non si adattano perfettamente alla visione del mondo di Trump, al contrario suggeriscono la necessità di linee rosse chiare e coerenti, nonché la volontà di impegnare risorse militari statunitensi per farle rispettare. In pratica è tornata l’America come poliziotto globale.