[lid] – Proseguono le puntate sul Giornale dell’Umbria. In archivio più di mille pagine di documenti.
La toppa è peggio del buco. Non tutti gli esposti, le diffamazioni e le cause, come le famose ciambelle riescono col buco.
Infatti, può capitare ed è capitato che nella vicenda del Giornale dell’Umbria è proprio il buco a rovinare gli esposti.
Tutto il 2016 lo dedicai alla preparazione per le udienze fallimentari e alla difesa dagli attacchi ricevuti dall’attività di direttore responsabile e poi come Liquidatore. Il volume dei documenti prodotti era impressionante, più di mille pagine.
Con dovizia di particolari e con la massima diligenza e pignoleria che caratterizza il ‘giovine’ avvocato Francesco Marrocco fu preparata la memoria difensiva storica, partendo dalle due delibere dell’Assemblea del 14 gennaio e del 29 aprile 2016 e proseguendo via via nella raccolta dei documenti, rispondendo punto per punto all’assedio in atto.
La denuncia di Giambaldo Traversini a Luigi Camilloni
Nell’aprile 2017 viene presentata una denuncia/querela da parte di Giambaldo Traversini nei confronti del liquidatore Luigi Camilloni, depositata presso la Procura della Repubblica di Perugia in data 19 luglio 2016.
A cui si è aggiunto anche Filippo Piervittori.
Oggetto della querela è il contenuto del verbale dell’Assemblea del 29 aprile 2016.
La denuncia era in via di archiviazione e nel 2019 Traversini ha chiesto la remissione di querela.
Il pubblico ministero dottor Attilio Pisani, letti gli atti del procedimento penale a margine indicato nei confronti di Camilloni Luigi chiede il disporsi l’archiviazione del procedimento.
Anche qui vediamo quali sono le motivazioni dell’archiviazione.
«Il presente procedimento ha ad oggetto una querela con la quale, in estrema sintesi, la p.o. si duole del fatto che le dichiarazioni rese dall’indagato nella sua qualità di liquidatore della società Gruppo Editoriale Umbria 1819 nel corso di un’assemblea tenutasi innanzi in Roma innanzi al notaio sarebbero false e pertanto diffamatorie»;
«in particolare non risponderebbe al vero che sarebbero state emesse fatture a debito del gruppo Editoriale Umbria 1819 emessa da Umbria TV e Centro Italia Pubblicità srl con il solo obiettivo di procedere ad una compensazione dei crediti reali vantati da Gruppo Editoriale Umbria 1819 così come sarebbe falsa la circostanza che i precedenti amministratori (attuali p.o.) avrebbero posto in essere un’indebita intromissione nella gestione operativa della predetta società anche successivamente alla nomina del nuovo amministratore delegato».
«Sono state delegate indagini finalizzate ad acquisire elementi di riscontro all’esito delle quali la p.g. rispondeva con informativa del 31 ottobre 2017».
«Sulla base delle indagini si ritiene che manchino gli elementi per un idoneo esercizio dell’azione penale in riferimento a specifici addebiti rispetto ai quali possa, in dibattimento, giungersi ad un’affermazione della penale responsabilità».
«Ed invero ciò che appare difettare è proprio l’elemento psicologico richiesto ai fini della configurabilità del delitto ipotizzato; dalle indagini non emerge in alcun modo che l’indagato abbia consapevolmente attribuito alle attuale p.o. quei fatti che i querelanti assumo diffamatori».
«In particolare con riguardo ai rapporti di dare/avere tra le società Gruppo Editoriale Umbria 1819 e le altre, Umbria Tv e Centro Italia Pubblicità srl, si osserva che lo stesso curatore del fallimento della società Gruppo Editoriale Umbria 1819, nell’opporsi alla compensazione dei crediti con la società Umbria Tv, ha evidenziato che si trattava di società facenti parte dello stesso gruppo come dimostrato dal fatto che le compagini sociali hanno visto l’alternanza nelle varie cariche degli stessi soggetti e che comunque non vi era alcuna prova in ordine all’effettiva esecuzione delle prestazioni indicate nelle fatture».
«Emerge inoltre che l’attuale indagato, proprio sulla base di quanto constato nella sua qualità di liquidatore della società, avena intenzione di presentare azione di responsabilità nei confronti degli amministratori precedenti, fatto questo non avvenuto sol perché la società è stata dichiarata fallita con la conseguenza che la competenza a proporre la suddetta azione competeva al curatore fallimentare».
«Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla posizione del p.o. Piervittori la quale si lamenta del fatto che sarebbero false le accuse a lui rivolte di essersi appropriato di dati contenuti negli archivi del giornale»;
«ed invero le accuse mosse dall’indagato nella sua qualità di liquidatore traevano spunto da fatti rappresentati dai soci come riferito dal teste escusso in data 28.02.2018».
«Non emergono dunque elementi per affermare che l’attuale indagato abbia consapevolmente inteso offendere la reputazione dei precedenti amministratori attribuendo loro comportamenti che sapeva non essere stati posti in essere, apparendo piuttosto il contrario e cioè l’assoluta convinzione da parte dell’indagato della cattiva gestione della società poi dichiarata fallita da parte degli amministratori che l’hanno gestita fino alla nomina del liquidatore».
«Per le su esposte considerazioni il reato ipotizzato non appare configurabile per difetto dell’elemento soggettivo, evidenziandosi infine che, non essendosi in presenza di una società per azioni o di un’assemblea straordinaria, appare comunque dubbia la natura di atto pubblico del verbale di assemblea considerato che per ai fini della verbalizzazione del contenuto di un’assemblea ordinaria di una società a r.l. non è necessario l’atto pubblico né la presenza di un notaio».
«Tale circostanza farebbe venir meno la circostanza aggravante che radica la competenza del Tribunale ordinario con la conseguenza che il reato sarebbe di competenza del giudice di pace».
Luigi Camilloni vs il Curatore fallimentare
Con ricorso del 26 maggio 2018 Camilloni opponeva all’esclusione dallo stato passivo fallimentare Gruppo Editoriale Umbria 1819 s.r.l. in liquidazione.
Il giudice riammetteva Camilloni nel passivo.
Post di Umberto Maiorca su Facebook
«Il 27 agosto 2015 la testata viene venduta. Due giorni dopo il direttore viene cambiato. Il 14 gennaio 2016 la società viene messa in liquidazione. Il 25 gennaio 2016 dipendenti vengono licenziati. Il 1 febbraio il Giornale dell’Umbria è ufficialmente chiuso e i dipendenti senza lavoro. Il 27 gennaio i dipendenti, tramite avvocato e sindacato, impugnavano in via stragiudiziale il licenziamento e chiedevano la convocazione del tavolo regionale per arrivare alla stipula della Cigs. Il datore di lavoro ribadiva che secondo le normative (inventate) i dipendenti non avevano diritto alla Cigs».
«Il 12 febbraio 2016 il tavolo regionale si chiudeva con un nulla di fatto: l’editore si rifiutava di sottoscrivere la Cigs, dichiarando di pensarci su se i dipendenti avessero accettato di firmare un documento in cui si addossavano tutte le colpe del fallimento (ci hanno provato ugualmente chiedendo il procedimento disciplinare da parte dell’Ordine dei giornalisti per i tre componenti del Comitato di redazione)».
«A marzo era già presentata istanza di fallimento da parte di due creditori, alla quale si associavano i dipendenti. A Maggio la società veniva dichiarata fallita».
«Il 20 luglio 2016, ancora nei termini di legge, i dipendenti impugnavano davanti al giudice del lavoro il licenziamento per poter poi chiedere, in caso di accoglimento, la Cigs al curatore fallimentare».
«Il 9 aprile 2017 il giudice del lavoro rigettava la richiesta di revoca dei licenziamenti come improcedibile. In poche parole: i dipendenti avrebbero dovuto fare la domanda al liquidatore a febbraio. In base alla tempistica e allo stato del procedimento fallimentare, il fatto che già usufruiscono della disoccupazione, si dà per accettato il licenziamento».
«I dipendenti de Giornale dell’Umbria, quindi, per legge avrebbero avuto diritto alla Cigs per due anni, più altri due a seguito del fallimento e a due anni di disoccupazione. Per un cavillo sui tempi dell’impugnazione del licenziamento e per la scientifica programmazione attuata nel chiudere la testata un diritto dei lavoratori è stato calpestato, mettendo in ulteriore difficoltà gli ex dipendenti».
«P.S. Contestualmente a tutto questo è stato presentato un esposto in Procura con la descrizione dettagliata del passaggio di mano del giornale, delle manovre per far pressione sui dipendenti e per arrivare alla chiusura. Si attende una risposta anche da questo versante». (Post di Umberto Maiorca su Facebook).
L’esposto presentato in Procura non si è avuto più notizia.
Luigi Camilloni vs Giuseppe Castellini
Vi è un procedimento civile in corso nei confronti di Giuseppe Castellini a seguito di alcuni post su facebook.
La denuncia di Massimo Sbardella a Luigi Camilloni
«And last but non least» avrebbero scritto gli inglesi, cioè «ultimo ma non meno importante» l’esposto-denuncia-querela presentata dal giornalista Massimo Sbardella in data 13 settembre 2016 nei confronti di Luigi Camilloni e dell’avvocato Francesco Marrocco.
Il Pubblico Ministero dottor Mario Formisano, visti gli atti del procedimento penale a margine indicato, iscritto nel registro in data 20 settembre 2016 nei confronti di A) Camilloni Luigi, B) Marrocco Francesco e per le ipotesi di reato specificati chiedeva l’emissione del decreto di archiviazione per la persona sottoposta ad indagini.
Leggiamo le motivazioni per le quali il Sostituto Procuratore della Repubblica di Perugia, dottor Mario Formisano, ha chiesto l’emissione del decreto di archiviazione in merito alla denuncia presentata da Sbardella in data 30 settembre 2016.
«L’atto di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento del Gruppo Editoriale Umbria 1819 srl in liquidazione, oggetto delle censure della denuncia sporta da Sbardella Massimo, contiene alcune imprecisioni».
«Lo stesso incipit (“la sentenza di fallimento viola la par condicio creditorum”) è dal punto di vista giuridico molto discutibile, posto che la sentenza di fallimento si limita ad accertare lo stato di insolvenza. Gli argomenti esposti, peraltro, erano stati già portati all’attenzione del Tribunale di Perugia che li aveva disattesi con congrua e lucida motivazione».
«Per neutralizzare le istanze di gran parte dei dipendenti della testata (“solamente 20 su 27”) l’atto di opposizione indica una serie di condotte poste in essere da alcuni professionisti, tra cui lo stesso Massimo Sbardella, qualificando le stesse in termini fortemente negativi. Tali condotte, a detta dei ricorrenti, consentirebbero di agire in giudizio per danni subiti dalla società in fallimento».
«Tali espressioni, tuttavia, per quanto si esporrà, non integrano alcun reato».
«Certamente non sussiste il delitto di estorsione ai danni di Massimo Sbardella, né quello di frode processuale (art.374 c.p.). Tali fattispecie, infatti, richiede un’alterazione artificiale dei luoghi, delle cose o delle persone che sicuramente non sussiste nella vicenda in esame».
«L’unica ipotesi di reato in astratto ravvisabile è quella di diffamazione. Ebbene, occorre considerare che le espressioni in astratto lesive dell’altrui reputazione sono contenute in un atto giudiziario e che, quindi, opera la speciale clausola di esclusione della punibilità prevista dall’articolo 598 c.p. (in base alla quale non sono punibili le offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinanti innanzi alla autorità giudiziaria)».
«Secondo consolidata giurisprudenza, l’esimente di cui all’articolo 598 cod. pen. – concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinnanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative, funzionale al libero esercizio del diritto di difesa, è circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferiti, a condizione che siano pertinenti all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo, con la conseguenza che essa non è applicabile qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede (Sez. 5, n. 20058 del 06/11/2014 – dep. 14/05/2015, Pezzino, Rv. 264070). In ordine al fondamento di tale esimente si è affermato che essa “costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’articolo. 51 cod. pen. in quanto riconducibile all’art. 24 Costituzione[1] e si fonda esclusivamente sul rapporto di strumentalità tra le frasi offensive e le tesi prospettate nell’ambito di una controversia giudiziaria, sicchè non si richiede che le offese abbiano una base o una particolare continenza espressiva” (Sez 5, n. 6701 del 08/02/2006 – dep. 22/02/2006, Massetti ed altro Rv. 234008)».
«Procedere ad una corretta valutazione dell’offensività delle affermazioni contenute dell’atto di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento occorre traslasciare gli apprezzamenti poco lusinghieri formulati nei confronti dell’intera categoria dei dipendenti della testata “Il Giornale dell’Umbria”. Tali valutazioni, infatti, non si riferiscono in modo chiaro all’esponente Massimo Sbardella e quindi, ben difficilmente si potrebbe giungere a ritenere le stesse lesive della sua specifica reputazione».
«Vi è, invece, un passaggio dell’atto in cui si censura in modo grave la condotto dell’esponente. A pagina 12 dell’atto di reclamo si afferma, infatti, che Sbardella, assieme ad altri tre dipendenti della testata giornalistica, avrebbe:
1) Avviato un’attività in concorrenza diretta con quelle contrattualizzate e pagate dal Gruppo Editoriale Umbria 1819 srl.
2) Avrebbe trafugato i dati e archivi della società nei giorni 14-19 dicembre 2015.
3) Avrebbe utilizzato le infrastrutture aziendali per finalità proprie e per attività in concorrenza».
«È di tutta evidenza che il ricorrente abbiamo mosso delle gravi accuse e che abbia denigrato l’operato dell’esponente. Si tratta, peraltro, di valutazioni generiche e che, sulla base della lettura dell’atto, appaiono non supportati da elementi di prova».
«Esse, tuttavia, risultano pertinenti all’oggetto della causa, in quanto, dal contenuto dello stesso scritto difensivo, si ipotizza la possibilità di poter azionare una pretesa risarcitoria per tale attività di concorrenza sleale. È evidente che, se si reputassero lesive dell’altrui reputazione tali affermazioni, dovrebbe ipotizzarsi un delitto di diffamazione in tutti i casi in cui si agisca per far rilevare in giudizio una condotta contrattualmente non corretta di un proprio dipendente, a prescindere dalla sussistenza o meno degli addebiti».
In data 16 aprile 2018 veniva notificata a Camilloni la richiesta di archiviazione del Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Perugia, promossa dal giornalista Massimo Sbardella che proponeva opposizione.
Il 20 maggio 2019 l’Ufficio del Giudice per le indagini Preliminari, Dott. Lidia Brutti, ha respinto l’opposizione ha disposto l’archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al PM.
Vediamo i motivi dell’archiviazione.
«Il giudice osserva che Massimo Sbardella presentava denuncia querela contro Camilloni, lamentando che nel reclamo proposto dagli stessi avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della GEU – Gruppo Editoriale Umbria 1918 srl erano contenute affermazioni gravemente lesive della sua reputazione, personale e professionale».
«Dalla lettura del ricorso si evince che, dopo aver contestato, fra l’altro, i crediti degli ex dipendenti verso la società, i reclamanti affermavano che GEU aveva “ricevuto un boicottaggio che ha svalutato la testata (Giornale dell’Umbria, ndr), dopo il passaggio di proprietà del 27.08.2015 sino alla sentenza di fallimento».
«L’attacco mediatico in primis è stato portato avanti dal COMITATO DI REDAZIONE che con i suoi comunicati stampa dall’agosto 2015 sino al 19 maggio 2019, hanno avuto una cassa di risonanza inaudita, con conseguente azzeramento delle offerte di acquisto e del valore di mercato…»
«Tutte queste operazioni di diffamazione e di screditamento del Giornale dell’Umbria hanno diminuito il suo valore di mercato, ma non quello effettivo che sarà realizzato dopo la vittoria delle cause per risarcimento danno…».
«Di seguito, alla voce “sulle istanze dei lavoratori”, i ricorrenti evidenziano una serie di contestazioni a carico di ex dipendenti, fra i quali Massimo Sbardella, accusandoli di essersi resi “protagonisti di operazioni di sabotaggio operativo della società… avvio di attività in concorrenza diretta con quelle contrattualizzate e pagate dal Gruppo Editoriale Umbria 1819 srl…; trafugamento di dati e archivi di proprietà di GEU 1819 avvenuto nelle date 14-15-16-17 dicembre 2015; utilizzo di nfrastrutture aziendali per finalità proprie e per attività di concorrenza”».
«Specificavano, poi, con riferimento a Sbardella, che “si è reso protagonista di promuovere la nascita del NUOVO CORRIERE NAZIONALE utilizzando la direzione dell’importante settimanale UMBRIAECONOMIA di proprietà di GEU 1819 srl intervistando le imprese ed offrendo spazi di intervista sui settimanali di GEU1819 srl garantendosi in contropartita l’appoggio per la nascita del nuovo giornale del Corriere Nazionale».
«Come ha correttamente osservato il PM, l’utilizzo di tali espressioni, certamente negative, nell’atto giudiziario (come anche, deve aggiungersi, l’eventuale non veridicità delle circostanze esposte) non integra il reato di frode processuale, evocato dal denunciante, che richiede, quale condotta tipica, una “alterazione artificiale dei luoghi, delle cose o delle persone”, elemento materiale che non sussiste nel caso in esame».
«Non è configurabile neppure il delitto di tentata estorsione (o di tentata violenza privata), non ricorrendo gli estremi di una condotta diretta a costringere, con violenza o minaccia, il denunciante a fare od omettere qualcosa, considerato il contesto processuale nel quale le espressioni sono state utilizzate».
«Le affermazioni contenute negli atti giudiziari, quand’anche veementi e perentorie, non possono reputarsi, anche solo latamente, dirette alla coartazione della controparte, avendo come finalità fondamentale quella di contrastare le altri istanze».
«L’unico reato astrattamente configurabile, come ha ritenuto il PM è quello di diffamazione, per la portata lesiva della reputazione, anche professionale, del giornalista Sbardella delle affermazioni a lui specificamente rivolte».
«Tale condotta risulta, tuttavia, scriminata dall’esimente di cui all’articolo 598 c.p. che prevede la non punibilità delle offese contenute in scritti o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria o amministrativa, quando le offese concernano l’oggetto della causa o del ricorso».
«Secondo l’interpretazione giurisprudenziale, tale causa di non punibilità costituisce estensione della scriminante del’esercizio del diritto, in particolare di quello riconosciuto dall’articolo 24 della Costituzione ed opera quando le espressioni offensive, ancorché sprovviste di una base di verità e non continenti, siano funzionali all’esercizio del diritto di difesa».
«Nel caso in esame, le accuse mosse al denunciante (apparentemente non supportate da elementi di prova, sulla base del contenuto dell’atto, per quanto gravi (pur non giungendo ad assumere carattere calunnioso, in quanto non si traducono in specifici addebiti suscettibili di dare luogo all’avvio di un procedimento penale) e potenzialmente lesive della sua reputazione professionale, erano pertinenti all’oggetto della causa e funzionali alla tesi difensiva che i reclamanti intendevano prospettare (contestando, da un lato, la sussistenza dei presupposti della dichiarazione di fallimento, dall’altro, delineando, fondatamente o meno, asserite responsabilità di alcuni professionalità ex dipendenti, per l’ipotetica attività di concorrenza sleale, prospettando, in relazione a ciò, pretese risarcitorie da azionare)».
«A fronte di ciò, gli approfondimenti istruttori sollecitati dall’opponente appaiono ultronei, poiché non viene qui in questione la falsità dei fatti censurati dai reclamanti».
«Quand’anche risultasse dimostrato che le accuse prospettate nell’atto giudiziario erano sprovviste di qualsivoglia fondamento, tali affermazioni, in ragione del contesto processuale nel quale sono state propalate e della loro funzionalità alla tesi difensiva dei reclamanti, resterebbero non punibili ai sensi dell’articolo 598 c.p.
«Non è poi consentito, in questa sede, un inquadramento valutativo dei fatti oggetto della denuncia querela in un contesto più ampio, ponendoli in relazione al contenuto di altri esposti o alle emergenze di altre indagini che avrebbero riguardato vicende del medesimo Gruppo Editoriale (e che potrebbero avere dato luogo a separati procedimenti, come lo stesso opponente assume in riferimento all’esposto dei dipendenti GEU per il quale sarebbe stato iscritto il proc. N. 6589/16 RGNR), elementi, suscettibili di integrare autonome e distinte notizie o determinazioni, di competenza dell’ufficio del PM».
«In ogni caso, anche estendendo la valutazione alle vicissitudini e ai contrasti fra il Gruppo Editoriale e i dipendenti del Giornale dell’Umbria, nel corso della crisi aziendale, cui si fa cenno nell’atto di opposizione, ciò non porterebbe ad arricchire gli elementi di valutazione a disposizione di questo giudice in riferimento alla vicenda in esame, che dovrebbe rimanere, in ogni caso, circoscritta all’atto giudiziario il cui contenuto è statao censurato dallo Sbardella, oggetto specifico ed esclusivo della querela proposta, impregiudicati gli sviluppi di eventuali, distinti notizie di reato non oggetto di questo procedimento».
«Per le considerazioni che precedono, l’opposizione deve essere respinte e la richiesta di archiviazione accolta».
Chi è il sostituto Procuratore della Repubblica di Perugia dottor Mario Formisano
Il dottor Mario Formisano e il dottor Paolo Abritti sono i due sostituti procuratori che, sotto la supervisione del procuratore capo Luigi De Ficchy, stavano coordinando l’inchiesta sulla sanità Umbra.
Il quotidiano La Nazione del 14 aprile 2019 ha pubblicato un articolo dal titolo «Sanità Umbria, inchiesta choc. “Consenso elettorale tramite il personale”. Concorsi truccati: intercettazioni e fotografie, ecco le prove».
«Perugia, 14 aprile 2019 – La conferma dei direttori ai vertici della sanità umbra, nella prossima tornata di nomine, sarebbe stato il «credito da incassare» per aver gestito il «sistema clientelare» pilotando i concorsi dell’Azienda ospedaliera (almeno otto in pochi mesi quelli contestati dal gip Valerio D’Andria). Ne sono convinti i pubblici ministeri Paolo Abbritti e Mario Formisano, titolare della maxi-indagine sulla sanità che ha scosso la politica umbra con gli arresti (ai domiciliari) di Emilio Duca, direttore dell’Azienda ospedaliera, Gianpiero Bocci, ex sottosegretario all’Interno e segretario del Pd umbro (commissariato da Zingaretti), dell’assessore alla sanità Luca Barberini e del direttore amministrativo, Maurizio Valorosi e la sospensione dal servizio di sei dirigenti-chiave del Santa Maria».
«È emerso in maniera evidente nel corso delle indagini che la spinta a delinquere fosse mossa in larga parte dalla volontà per i direttori di ottenere dai vertici politici regionali – scrivono i magistrati nella monumentale richiesta di custodia cautelare al gip – la conferma dell’incarico dirigenziale. Proprio nel mese scorso la Regione ha avviato la procedura per la nomina dei nuovi direttori regionali».
«Duca, Valorosi e Pacchiarini (Diamante, ndr, già direttore sanitario) hanno già presentato la domanda. E’ arrivato forse il momento di incassare i “crediti” maturati con la politica in questi anni. Ciò evidenzia ulteriormente l’attualità delle esigenze cautelari».
«L’intreccio e la trama dei rapporti che l’associazione ha saputo intessere in questi anni – sottolineano Abbritti e Formisano – giustificano un intervento cautelare particolarmente rigoroso». Tanto che la procura aveva sollecitato al giudice le misure in carcere».
«L’indagine ha fotografato soltanto un “frame”, anche piuttosto breve, di un contesto criminale che appare radicato da tempo con meccanismi iper collaudati. Peraltro l’assoluto stato di soggezione alle richieste dei politici regionali di maggioranza più importanti dà conto di come sia impossibile che tali condotte criminose si siano nel frattempo interrotte. Ed anzi proprio l’avvicinarsi di scadenze politiche importanti a livello regionale potrebbe acuire l’esigenza di assicurarsi il consenso elettorale tramite la gestione del personale».
«Adesso, al vaglio degli investigatori ci sono centinaia di carte sequestrate e hard-disk dei computer copiati da cui potrebbero emergere ulteriori profili. Nelle prossime ore invece sarà il gip che ha emesso le misure, Valerio D’Andria a dare il via agli interrogatori (forse già lunedì) degli indagati ai domiciliari (per 60 giorni) e poi di quelli sottoposti alla misura della sospensione. Si allarga intanto il fronte delle difese: Luciano Ghirga, David Brunelli, Delfo Berretti, Marco Brusco, Francesco Falcinelli, Franco Libori e Flavio Grassini».
Il Messaggero del 19 aprile 2019 pubblicava un articolo dal titolo «Sanità umbra, l’affondo dei magistrati: «A Perugia truccati per tre anni tutti i concorsi».
«Un «sodalizio criminoso» in grado di piegare «stabilmente lo svolgimento di pubbliche funzioni al perseguimento di interessi privati» come «vantaggi politico elettorali, mantenimento di posizioni di potere, vantaggi per sé e per i soggetti legati da vincoli di amicizia o di vicinanza politica». Un «sistema» che se in un anno è stato in grado di truccare otto concorsi pubblici allora ragionevolmente, secondo gli investigatori della guardia di finanza, ne può aver piegati alle proprie esigenze tanti altri. «Almeno per tre anni» sussurra chi ha messo nero su bianco il malaffare negli uffici dell’azienda ospedaliera».
«Davanti al giudice restano in silenzio quasi tutti, ma a parlare sono le carte dell’inchiesta che ha sconvolto la sanità e la politica umbra. L’inchiesta sui concorsi pilotati all’ospedale di Perugia (dai posti per categorie protette a quelli da primario) che ha portato agli arresti domiciliari l’ex sottosegretario all’interno e segretario regionale Pd, Giampiero Bocci, l’assessore alla Sanità Luca Barberini(Pd), il direttore generale dell’azienda ospedaliera Emilio Duca e il direttore amministrativo Maurizio Valorosi. Più sei funzionari sospesi per sei mesi e altri 25 indagati».
«Concorsi truccati almeno da tre anni. Questa convinzione traspare anche dalle oltre 500 pagine con cui la procura perugina ha motivato la richiesta di misure cautelari. «Nel giro di pochi mesi sono stati accertati tantissimi reati e si ha la ragionevole certezza che altri emergeranno da un’approfondita analisi del materiale probatorio e dalle ulteriori investigazioni che verranno espletate una volta eseguita la misura» scrivono il procuratore capo Luigi De Ficchy e i sostituti Mario Formisano e Paolo Abbritti. E a conferma di come il sistema di spartizioni fosse pratica nota, ecco una frase di Duca intercettata dai finanzieri e finita nell’informativa finale alla procura: «…Perugia è stata distribuita a tutti…» pronunciata nel corso di una discussione con Valorosi e un altro indagato, Moreno Conti, considerato uomo molto vicino a Bocci».
INTERPRETE
«Una curiosità: soprattutto dopo aver stabilito di avere gli uffici pieni di cimici, gli indagati hanno iniziato a parlare sempre di più in dialetto, tanto che in alcuni punti per i finanzieri si è reso necessario ricorrere ad esperti dell’idioma perugino».
GLI INTERROGATORI
«Ieri Duca è rimasto in silenzio davanti al gip Valerio D’Andria «E’ prevalsa l’esigenza di poter studiare a fondo tutti gli atti di indagine – ha spiegato il suo legale Francesco Falcinelli -. E’ stato impossibile farlo in così pochi giorni». Duca non ha neppure chiesto di tornare in libertà. Ha parlato, invece, una dirigente dell’ospedale, Maria Cristina Conte. «Nessun favoritismo a nessun candidato – si apprende attraverso il penalista Luciano Ghirga -. Tracce in anticipo? Macché, parlava degli eventuali argomenti che potevano essere affrontati durante i test». Oggi tocca all’ex segretario Pd Gianpiero Bocci, Barberini e Valorosi. Strategia comune, sono tutti difesi dall’avvocato David Brunelli».
Sempre il quotidiano La Nazione del 4 maggio 2019 pubblicava un articolo dal titolo «Umbria, inchiesta sanità, l’ex direttore generale: “Prudenti, con le tracce…”. Le intercettazioni di Concorsopoli. Inizia una settimana intensa».
«Perugia, 5 maggio 2019 – C’è chi ha negato come Anna Cataldi ed è finita indagata per concorso in rivelazione. La ragazza disoccupata “sponsorizzata” dalla presidente Catiuscia Marini alla quale la governatrice dimissionaria avrebbe fatto recapitare le domande del concorso tramite Valentino Valentini (che ha ammesso) e Marisa (che ha confermato) e che nel 2018 incontrò personalmente la governatrice dimissionaria, come dichiarato dalla sua segretaria: «Sì, mi contattò la nuora di Fascini che voleva salutare di persona la Marini». C’è chi ha ammesso – come l’ex assessore del comune di Corciano, Elisabetta Ceccarelli – che, sentita il 13 aprile dai pm Mario Formisano e Paolo Abbritti (il giorno dopo il blitz della Finanza) ha confessato di aver ricevuto «tre tipi di prova che potevano essere estratti il giorno dell’esame. Me li ha consegnati – ha detto – su un foglietto Emilio Duca presso la ma mia abitazione. Moreno Conti disse che avrebbe chiesto aiuto a Bocci e Valorosi» e, sentita con il difensore ha aggiunto: «Io non ho mai parlato con Gianpiero Bocci».
«Mentre si avvia ad aprirsi la settimana decisiva sul fronte politico (martedì in aula saranno rese note le dimissioni irrevocabili della Marini, annunciate peraltro prima che le ammissioni del suo consigliere politico venissero rese note), Finanza e procura continuano a sentire l’esercito dei “raccomandati” nell’ambito dell’indagine sui concorsi pilotati in cerca di conferme alle intercettazioni ambientali che incastrano i 41 indagati. Tra cui, appunto, la presidente Marini, indagata per la vicenda-Cataldi. Nuora di un amico della LegaCoop, deceduto».
«Molti i “no” opposti agli inquirenti tra i candidati sospettati di aver ricevuto le tracce. I due infermieri sponsorizzati dall’ex assessore Luca Barberini – secondo l’accusa – hanno negato ma sono rimasti testimoni. Si è avvalsa della facoltà di non rispondere la mamma di una candidata che avrebbe cercato appoggio politico proprio presso Gianpiero Bocci. Secondo la procura si tratta delle tracce consegnate da Maurizio Valorosi nella sede di via della Pallotta attraverso il factotum dell’allora sottosegretario».
«Indagata della prima ora anche Eleonora Capini che avrebbe indotto i direttori – secondo la ricostruzione dell’accusa – a farle avere le tracce prima della prova («ti cerco qualche giorno prima perché dovrò vedere la Lorenzina Bolli e quindi poi… ti do qualche diciamo consiglio… per gli acquisti…», le diceva Emilio Duca)».
«Intercettata mentre parla con Duca ammette qualche giorno dopo di aver ricevuto le domande «Ha tenuto a che le domande rimanessero interne». E l’ex Dg (ancora agli arresti) la mette in guardia: «Eh l’importante è che siate prudenti! Perché su questo c’è sempre il rischio di quello che è successo al concorso dei farmacisti poi dell’Azienda Sanitaria, poi succede un pastrocchio… che questo… diciamo così, ci… ci… magari determina qualche penalizzazione. Però, teoricamente, all’epoca lì c’erano delle intercettazioni telefoniche che non sapevano di esserci, ma neanche noi sappiamo se siamo…».
«Ma questo sembra essere solo l’inizio».
Inoltre, il sostituto procuratore Mario Formisano è anche il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati umbra.
Il sito online Umbria 24 pubblica il 26 gennaio 2019 un articolo a firma di Mario Formisano, presidente Anm umbra.
«La magistratura non si pieghi alle derive autoritarie e alle violazioni dei diritti umani». «Il presidente dell’Anm umbra Mario Formisano all’anno giudiziario: Dalla nostra categoria comportamenti allarmanti».
«Lo scorso anno l’Associazione Nazionale Magistrati si è a lungo occupata del tema della sicurezza dell’amministrazione della Giustizia. Dopo il grave episodio che ha visto coinvolti due nostri colleghi, anche grazie all’impegno dei dirigenti, in gran parte degli uffici giudiziari del distretto sono state adottate misure di protezione adeguate. I presidi adottati sono chiaramente transitori e sono destinati a lasciar posto a nuove misure stabili. Tale operazione, tuttavia, richiede un’adeguata manutenzione delle strutture ed un ripensamento dell’intera organizzazione logistica degli uffici».
«Nella città di Perugia le sedi giudiziarie sono situate in diverse zone della città. Nonostante i ripetuti inviti ad un ripensamento complessivo della dislocazione delle sedi, poco ancora è stato operato. Vi sono progetti ancora in fase di studio che sembrano destinati a prender forma solo tra diversi anni. La situazione attuale stride con il passato di questa città, quando all’amministrazione della giustizia veniva destinato l’edificio più prestigioso dell’acropoli».
«L’edilizia giudiziaria rappresenta un dato non trascurabile per garantire maggiore efficienza nell’amministrazione della giustizia e maggiore sicurezza per tutti gli operatori ed i cittadini». «Purtroppo, si sono verificati nel nostro paese una serie di episodi che hanno confermato in modo evidente la criticità in cui versano molti tribunali. L’estate scorsa abbiamo visto magistrati, avvocati e cittadini celebrare processi all’interno di tende da campeggio all’esterno del palazzo di giustizia di Bari, le cui criticità strutturali erano ben note da anni. Alcune trasmissioni televisive, anche in questi giorni, hanno portato all’attenzione del pubblico una situazione che risulta precaria in molte zone del nostro paese».
«Giustamente, quindi, l’Associazione Nazionale Magistrati ha più volte ribadito, anche all’attuale Ministro, la necessità di un piano straordinario di risorse per l’edilizia giudiziaria e la sicurezza degli Uffici».
«Il rapporto del Cpej sulla valutazione dei sistemi giudiziari relativamente all’anno 2018 fornisce dati significativi per comprendere le condizioni in cui viene amministrata la giustizia italiana. Carenze di organico in Italia: nel 2016 i giudici togati erano 10,6 per centomila abitanti, ben al di sotto della media pari a 21 giudici. Situazione analoga per i procuratori, con l’Italia a quota 4 procuratori per centomila abitanti a fronte di una media di 12. I giudici onorari sono 6 per centomila abitanti (3.522 il dato complessivo), con la media complessiva di 94».
«Nel nostro distretto, sulla base di calcoli personali, siamo poco al di sotto della media nazionale. Abbiamo 9,1 giudici ogni centomila abitanti e un 3,6 magistrati della pubblica accusa. Nonostante tali dati nello scorso anno, e le indicazioni del Presidente della Corte lo dimostrano, abbiamo cercato di fornire una risposta adeguata in termini numerici e di migliore qualità sostanziale».
«La celebrazione del nuovo anno che si apre induce al ricordo del passato, a rievocare i fatti e persone da cui trarre ispirazione per l’avvenire. Tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939, in concomitanza con l’entrata in vigore del Rdl 17 novembre 1938 n. 1728 – testo fondamentale per la difesa della razza italiana dalla “contaminazione ebraica” – il ministro della giustizia Arrigo SOLMI chiese a tutti i magistrati una dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica al fine di verificare la “purezza razziale dell’intero apparato”. Sulla base delle risposte, a partire dal mese di gennaio 1939, 14 magistrati furono dispensati dal servizio e altri 4 – di Cassazione e di Corte di appello – chiesero di essere messi a riposo per non subire l’onta della dispensa d’ufficio. Tra questi magistrati vi era anche Mario Finzi, magistrato entrato in servizio nel 1937 e morto a Birkenau nel 1945, a soli 31 anni. Come delegato della Delasem, l’organizzazione che si occupava di soccorrere i profughi ebrei, Finzi facilitò l’espatrio di centinaia di persone. Guido Neppi Modona ha evidenziato come “Non risulta che alcuno dei circa 4200 magistrati allora in servizio abbia in qualche modo preso le distanze, magari rifiutando di rispondere alla richiesta di dichiarare la propria appartenenza razziale, ovvero manifestando in qualche modo solidarietà nei confronti dei colleghi rimossi dal servizio. Tutto continuò come se nulla fosse successo».
«Una lettura della nostra storia che è dolorosa e che ci deve far riflettere. Si tratta di un’amara presa di coscienza su responsabilità e debolezze di chi ci ha preceduti. Il nostro augurio per il nuovo anno e per il tempo futuro è che queste pagine tristi ed umilianti non si ripetano mai più. Mai la magistratura si pieghi alle derive autoritarie e alle violazioni dei diritti umani, mettendo da parte i valori della nostra Costituzione. Giusto ed opportuno è quindi il monito giunta dal presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone, che la magistratura eviti “ogni regressione in tema di diritti umani».
«Quest’anno ricorreranno quarant’anni dalla morte di due nostri colleghi. Il loro esempio ci serva da guida in un momento in cui anche nel nostro corpo trapelano condotte allarmanti. Il primo che ricorderemo sarà Emilio Alessandrini, ucciso da Prima Linea il 29 gennaio 1979 dopo aver accompagnato a scuola suo figlio di appena otto anni. Il farneticante comunicato con cui veniva rivendicato il suo omicidio iniziava in questo modo: “Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8,30 il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell’organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Alessandrini è uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito in questi anni a rendere efficiente la procura della repubblica di Milano”».
«Di lui Walter Tobagi scrisse: “Sarà per quella faccia mite, da primo della classe che ci lascia copiare i compiti, sarà per il rigore che dimostra nelle inchieste, Alessandrini è il prototipo del magistrato di cui tutti si possono fidare”. Gli esecutori dell’omicidio riveleranno che non piaceva quel suo attivismo che lo avrebbe portato a essere il segretario dell’Associazione magistrati milanesi oltre che il primo coordinatore di un pool di giudici antiterrorismo nell’Italia del Nord».
«Viene spesso rievocato un episodio avvenuto dopo l’omicidio di Emilio Alessandrini. L’Anm convocò un’assemblea in occasione della visita del Capo dello Stato Sandro Pertini. Un giovane pretore, Giovanni Porqueddu, si alzò e disse: “Io credo che abbiano ucciso Emilio Alessandrini per intimidire i colleghi della Procura. Devono sapere che per ognuno che cade, c’è qualcuno che prenderà il suo posto. Oggi stesso presenterò domanda di trasferimento alla Procura. Io non li so fare i processi che faceva Alessandrini, però potrò sollevare quelli che sono capaci da un po’ di lavoro, in modo che si possano concentrare su quei processi”».
«Il 25 settembre, ricorrerà il quarantesimo anniversario della morte di Cesare Terranova, ucciso dalla mafia assieme al maresciallo Lenin Mancuso. Di lui ricordiamo la grande intuizione del fenomeno mafioso e la grande determinazione impiegata per fronteggiarlo, nonostante tante sconfitte. Nella sua “lettera-testamento” indirizzata alla moglie Giovanna, datata 1 marzo 1978, Cesare Terranova scriveva: “Ad onore dei miei genitori voglio ricordare che i principi che mi hanno guidato in tutta la vita sono frutto della educazione da loro ricevuta e che, se in qualche misura sono riuscito ad operare bene da uomo e da cittadino, ciò lo devo soprattutto agli insegnamenti e agli esempi costanti di mio padre e di mia madre, ai quali va la mia infinita gratitudine”. Noi siamo grati a questi uomini che hanno restituito dignità alla nostra funzione».
[1] Codice Costituzionale, Michele Ainis e Temistocle Martines, articolo 24 della Costituzione, «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina e condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari, Editori Laterza, 2001, pag 212».