
La censura dei Big Tech nei confronti di Trump ha conseguenze più ampie e globali: hanno violato la libertà di parola e hanno troppo potere
(AGENPARL) – Roma, 13 gennaio 2021 – E’ chiaro che la censura dei Big Tech attuata nei confronti di Trump ha conseguenze più ampie e globali perché i Paesi potrebbero essere costretti a sviluppare le proprie piattaforme piuttosto che affidarsi a una manciata di aziende statunitensi che possono tagliarle fuori.
E’ altrettanto chiaro che il rapido e diffuso deplatforming del presidente Donald Trump ha conseguenze più ampie e globali, costringendo altri Paesi a valutare i loro canali di comunicazione per i potenziali rischi per la sicurezza nazionale.
I leader mondiali, tra cui il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il primo ministro australiano Michael McCormack hanno condannato le recenti mosse di alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo, sostenendo che le aziende hanno violato i protocolli di libertà di parola e hanno troppo potere.
Altri, come l’oppositore del Cremlino, Alexei Navalny, hanno condannato la censura nei confronti di Trump come politica di parte.
La situazione che si è venuta a creare con l’attuazione della censura da parte di Big Tech potrebbe indurre alcuni Paesi a considerare lo sviluppo di proprie piattaforme piuttosto che dipendere da poche aziende private statunitensi che hanno la capacità di tagliare le comunicazioni a milioni di persone.
Ovviamente si sta creando un dibattito internazionale che sta sollevando anche preoccupazioni etiche, oltre al problema – che riguarda la sfera statunitense – su cosa fare in merito alla Sezione 230, una legge obsoleta che protegge le piattaforme da controversie per i contenuti pubblicati dai loro utenti, che secondo i critici e i legislatori deve essere abrogata o riformata.
I Big Tech stanno sottovalutando in maniera grossolana il numero di persone, dentro e fuori i governi d’oltreoceano che sostengono Trump.
Si innescherà un massiccio spostamento delle loro piattaforme verso altre piattaforme esistenti e nuove che saranno create in un futuro non tanto lontano.
Ed è quello che sta avvenendo in questi giorni dove milioni di utenti hanno chiuso i loro profili social.
Nel giro di pochi anni si potrà parlare di come ‘questi geni’ del Big Tech hanno distrutto il loro modello di business e questa mossa ‘insensata’ costerà a loro e ai loro azionisti decine di miliardi di dollari cosa che sta già avvenendo in questi giorni con il forte calo di alcune azioni di aziende del settore.
La società Twitter ha perso 5 miliardi di dollari in valore di mercato dopo che ha chiuso l’account di Trump, mentre le sue azioni sono scese fino al 12% l’11 gennaio.
E’ palese che le conseguenze globali della deplatformatura di Big Tech sono importanti ma anche i criteri.
Se Twitter e altre piattaforme vogliono inviare un messaggio che gli incitamenti alla violenza non saranno tollerati, dovrebbero essere coerenti nelle loro risposte piuttosto che scegliere quali leader mondiali dovrebbero avere voce e quali no.
E’ curioso, quindi, perché non siano stati de-piattaformati allo stesso modo anche altri account di alto profilo, che nel recente passato hanno incitatoo molto più direttamente la violenza, indicando il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Hosseini Khamenei, il leader iraniano.
Big Tech, in qualità di società private, è libera di gestire le proprie piattaforme come meglio crede, ha osservato, anche stabilendo politiche di sicurezza e sospendendo gli utenti che violano qualsiasi politica o che in altro modo violano i termini del servizio.
Ma non ci può essere una censura mirata e a senso unico.
Anche se è improbabile che le aziende di social media come Facebook e Twitter vietino a breve i leader stranieri, il che creerebbe un’attenzione mediatica molto più negativa, le recenti mosse contro Trump dimostrano che hanno il potere di farlo.
I politici conservatori e di destra in altri Paesi dovrebbero essere i più preoccupati visto che queste piattaforme sembrano prendere di mira individui e politici appartenenti ai loro schieramenti o che promuovono ideologie di destra.
La censura di Trump da parte di Big Tech potrebbe essere usata come giustificazione per alcuni paesi per bandire potenzialmente Twitter e Facebook, specie quelli vogliono creare la loro Silicon Valley.
I politici hanno visto, toccato con mano ma soprattutto capito che hanno ceduto la loro autorità alle grandi aziende tecnologiche, permettendogli loro di decidere quali sono i contenuti, il monitoraggio e il controllo.
Mentre gli editori possono essere ritenuti responsabili per qualsiasi contenuto che pubblicano, le piattaforme dei social media sono protette dalla sezione 230 del Communications Decency Act, che stabilisce che “nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo deve essere trattato come l’editore o il relatore di qualsiasi informazione fornita da un altro fornitore di contenuti informativi”.
Così come sono stati strutturati i Big Tech, aiutano la radicalizzazione. Difatti uno dei fattori importanti della radicalizzazione è costituito dalle camere d’eco, dove i simili possono incontrarsi, tracciare e rafforzare le loro realtà alternative. È meglio che gli estremisti o coloro che potrebbero essere influenzati dall’estremismo si trovino in un forum dove le loro idee possano essere messe in discussione, e che siano esposti a informazioni che possano de-radicalizzarli.
Credo che nessun paese dovrebbe permettere alle piattaforme dei social media di censurare i discorsi all’interno dei propri confini, specialmente quelli dei suoi funzionari eletti.
E la conseguenza sarà proprio la creazione di piattaforme alternative.
Twitter dovrà probabilmente affrontare una class action sui titoli perché la loro condotta può essere considerata una frode sul mercato che costa agli azionisti 4 miliardi di dollari in valore
Negli USA è da diverso tempo che la gente attende che si modifichi la Sezione 230 per rendere la protezione delle attività del Primo Emendamento una condizione per l’immunità dei monopoli dei social media.
E questo vale anche per l’Italia.