(AGENPARL) - Roma, 15 Novembre 2025Le prospettive di lavoro per i laureati del 2026 rappresentano un campanello d’allarme che gli Stati Uniti non possono più permettersi di ignorare. Sotto la superficie dei numeri – assunzioni stagnanti, concorrenza crescente, automazione galoppante – si nasconde una crisi culturale ed economica che tocca la radice stessa del patto generazionale americano: l’idea che l’istruzione sia il biglietto di ingresso verso una vita migliore.
Ma oggi quel patto appare incrinato. I giovani che hanno seguito il percorso indicato come “giusto” – studiare, specializzarsi, investire tempo e denaro nella propria formazione – si ritrovano intrappolati in un mercato del lavoro che non li vuole o non sa come utilizzarli. Non è più soltanto una questione di cicli economici: ciò che si sta rompendo è la logica stessa dell’ascensore sociale.
Le aziende americane affrontano un periodo di incertezza tecnologica e di transizione epocale verso modelli basati sull’intelligenza artificiale. Ma nel tentativo di proteggersi dal rischio, molte stanno riducendo gli investimenti proprio nella fascia lavorativa più fragile: i giovani. È una strategia miope, che rischia di creare una generazione intera priva di esperienza, quindi ancora meno occupabile, alimentando così un circolo vizioso.
Al tempo stesso, la pressione della manodopera straniera ammessa attraverso programmi come H-1B e OPT ha trasformato il mercato del lavoro entry-level in un’arena ipercompetitiva. La questione non è se gli studenti internazionali meritino o meno opportunità – spesso eccellono e apportano valore – ma se il sistema stia diventando sbilanciato a scapito dei cittadini americani, soprattutto quelli che provengono da famiglie non abbienti. Quando a parità di formazione un giovane americano vede ridursi il proprio orizzonte economico, la fiducia nelle istituzioni inizia a sgretolarsi.
E infatti i segnali di frustrazione sociale sono già evidenti: un’ampia quota di elettori ritiene che il sistema dei visti venga sfruttato dalle aziende, mentre gli stessi futuri laureati guardano al proprio domani con un pessimismo che contraddice l’ottimismo tipico dell’età universitaria. Non si tratta di protezionismo o chiusura, ma della necessità di ristabilire equilibrio, trasparenza e opportunità reali per chi entra oggi nel mondo del lavoro.
Il rischio è che il Paese stia crescendo tecnologicamente ma stia arretrando socialmente. Innovazione e tutela dei lavoratori non devono essere obiettivi in conflitto. Gli Stati Uniti hanno già dimostrato, in altre epoche, che possono guidare rivoluzioni industriali senza sacrificare intere generazioni.
Il vero interrogativo è se vorranno farlo anche questa volta. Se non si interviene ora – ricalibrando i programmi di visto, investendo nella formazione reale, sostenendo le aziende che assumono neolaureati, e costruendo un’economia che includa anziché sostituire – il 2026 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui il futuro dei giovani americani ha smesso di guardare avanti.
