(AGENPARL) - Roma, 29 Ottobre 2025In occasione dell’Assemblea nazionale della Federazione Federmanager, dal titolo “Orizzonti industriali – l’Italia che produce il futuro”, tenutasi oggi a Roma presso l’Auditorium Conciliazione di Roma e dedicata alla celebrazione dei suoi 80 anni, l’Agenparl ha intervistato Valter Quercioli, Presidente nazionale Federmanager.
«Signore e Signori,
Autorità, Eminenza, Colleghe e Colleghi,
benvenuti alla nostra Assemblea.
Voglio ringraziare innanzitutto gli autorevoli esponenti del Governo e il Cardinale Baggio che ci onorano della loro presenza e conferiscono ancora più valore a questa nostra giornata.
Oggi celebriamo ottant’anni di storia di Federmanager, che nel 1945 nasce come Associazione Nazionale Dirigenti di Aziende Industriali, nel ‘46 si trasforma in Federazione e nel 2000 diviene Federmanager.
Celebriamo la nostra storia, il nostro presente, il nostro futuro.
Federmanager è stata, ed è, la casa comune di chi guida persone e processi produttivi, di chi mette in gioco competenze e coraggio per costruire futuro, di chi ogni giorno prende decisioni con etica, osservanza delle leggi e responsabilità sociale.
Da sempre sappiamo convertire i limiti in opportunità, le crisi in innovazioni, la tradizione in modernità. È questa la nostra forza: produrre il futuro, facendo tesoro delle nostre preziosissime radici industriali.
Per questo, l’Assemblea di oggi si definisce con un titolo preciso: “Orizzonti industriali – l’Italia che produce il futuro”.
L’Italia è un Paese straordinario, una potenza industriale
Il nostro è un Paese che ha nel lavoro e nel merito professionale la sua vera ricchezza. Ne dobbiamo essere consapevoli ed orgogliosi. Siamo la seconda manifattura d’Europa, quarto esportatore mondiale, tra i protagonisti del G7.
Nonostante crisi, recessioni e impatti avversi della globalizzazione e della post-globalizzazione, il nostro rimane un Paese il cui sistema industriale crea valore “vero” per l’economia reale, per il lavoro, per le comunità locali. Tutto ciò è stato ed è ancora reso possibile dal lavoro quotidiano di manager industriali, protagonisti silenziosi di una storia di responsabilità, competenza e visione, insieme ai nostri compagni d’avventura: gli imprenditori e i loro amministratori, ai quali va il nostro sentito grazie! per condividere con noi questa appassionante sfida quotidiana. Un patto tra Impresa e Management che va rafforzato e innovato perché le sfide che abbiamo davanti sono significative e le vogliamo affrontare insieme, con successo.
Noi manager siamo da sempre una parte essenziale della soluzione ai problemi del Paese e siamo figure trainanti di un processo di crescita e sviluppo industriale che sa coniugare produttività, sostenibilità e competitività.
Caratteristica ancor più importante oggi, perché siamo di fronte a ripensamenti geoeconomici notevolmente impattanti, a una frammentazione geopolitica che frena il commercio internazionale, a una competizione industriale globale sempre più dura tra sistemi continentali: Stati Uniti, Cina e Unione Europea in primis.
In questo scenario, la massima che può apparire cinica – “Chi non è al tavolo è nel menù” – non è più un motto, un divertissement, ma una regola ferrea del Potere. E allora permettetemi di dire: noi non vogliamo un’Italia che stia nel menù di altri, noi vogliamo un’Italia che determini il proprio futuro industriale e sociale seduta al tavolo da protagonista. I venti del mondo soffiano incessantemente, a Est come a Ovest, a Nord come a Sud. E noi dobbiamo saper tenere ben saldo il timone delle nostre aziende. Non possiamo affidarci alla corrente: dobbiamo tracciare la rotta. Noi vogliamo che l’Italia sia un Paese che produce, che investe, che innova.
Un Paese in cui l’industria non sia un reperto del Novecento, ma il cuore del benessere e della democrazia del futuro. A tal fine sosteniamo con forza la necessità di una rinnovata politica industriale nazionale, che partendo dal Libro Verde del MIMIT e dalle risorse del Bilancio europeo 2028–2034 veda l’Italia industriale protagonista, veda il capitale umano manageriale al centro.
Nella piena consapevolezza, però, di non agire da Paese isolato, ma di muoverci insieme a quell’Europa che rappresenta la nostra “casa comune” la quale, tramite il Next Generation EU e il PNRR, ci sta garantendo risorse senza precedenti per procedere alla modernizzazione del nostro Sistema Paese.
La centralità del manager nel governare la complessità contemporanea
Da manager non ci fermeremo davanti alla crescente complessità e al continuo cambiamento, li comprenderemo e li governeremo. Perché questa è la vocazione del management: trasformare la complessità in valore per le persone e per il Paese.
Delle 370mila imprese industriali, solo circa 20mila sono mana gerializzate, ovvero possono contare sulla presenza o sulla guida di manager professionisti: appena il 5%! Ma è quel 5% di imprese a mantenere l’Italia che produce su vertici mondiali d’eccellenza: sono le imprese conosciute in tutta Europa, in tutto il mondo, in tutte le filiere dell’economia europea e globale. Sono le imprese che fanno grande il Paese, come quelle che oggi sono protagoniste della bellissima mostra che accompagna questa Assemblea.
Con i loro nomi, i loro loghi, le loro storie, le loro visioni del futuro testimoniano la grandezza dell’industria italiana e conferiscono ancor più valore e prestigio a questa nostra grande giornata. Un sentitissimo gra zie! a queste imprese e ai loro leader, amministratori e imprenditori coraggiosi!
Ma se questo 5% è così forte nel mondo, appare allora chiaro quale debba essere la direzione da percorrere per una politica industriale che voglia puntare al futuro: dobbiamo investire nel prossimo 5%, nelle prossime 20mila imprese da far crescere e managerializzare più pervasivamente. Abbiamo diversi esempi positivi a cui guardare, se pensiamo a imprese industriali che solo pochi anni fa non esistevano e che oggi sono leader nei loro mercati grazie ad un approccio manageriale lungimirante e anche – è giusto ricordarlo – grazie a un efficace sostegno pubblico. Penso a casi concreti, che ho potuto personalmente verificare, come, ad esempio, Ecopol, di Chiesina Uzzanese in provincia di Pistoia, leader mondiale nei film idrosolubili usati ad esempio nelle pastiglie per lavastoviglie, o come Applica Software Guru di Matera, leader nello sviluppo di applicazioni basate su intelligenza artificiale in vari comparti: dall’agricoltura di precisione alla gestione avanzata di droni e sciami di droni. E ce ne sono molte altre!
Non dobbiamo però dimenticarci delle imprese che hanno bisogno d’aiuto in una transizione durissima, come ad esempio Acciaierie d’Italia di Taranto. Le grandi competenze tecnologiche e industriali che vi si trovano meritano ben altri sbocchi che lo “spezzatino” o la chiusura e, qui lo dico chiaramente: dobbiamo ragionare a mente fredda e strategicamente in ottica Paese e non in ottica prettamente localistica. Federmanager è pronta ad aprire il dibattito sul possibile ruolo dello Stato nella governance e nella proprietà di questa azienda, l’unica in Italia che “produce” acciaio e non che, più semplicemente, lo trasforma. Anche gli Stati Uniti, patria di quella concezione minimalista del ruolo dello Stato nell’economia oggi dominante in Occidente, stanno assumendo una nuova e diversa postura, con l’idea di uno Stato molto più interventista nei settori e nelle aziende ritenute strategiche per l’economia e la sicurezza nazionali. Non dobbiamo perciò vergognarci, perché non è lo status giuridico della proprietà a definire le sorti di un’azienda, ma la qualità del suo management. E da questo punto di vista, l’Italia certo non difetta di talento o di competenze!
Siamo davanti a grandi transizioni.
Partiamo dall’innovazione come sfida trasversale. Dobbiamo esserne protagonisti perché è lì che si sviluppano le competenze vincenti del futuro. Le esperienze positive ci insegnano che l’Italia può continuare a eccellere, senza temere confronti internazionali. Infatti, siamo un Paese che per storia, vocazione, talenti e spirito di sacrificio può e sa primeggiare. Perché noi italiani abbiamo da sempre il design, la progettazione, la manifattura e l’industria nel sangue e non dobbiamo tradire le nostre vocazioni più vere. Ed oggi dobbiamo anche essere lungimiranti, soprattutto nei settori hi-tech, ad alto contenuto d’innovazione.
Ricordiamoci poi della grande questione energetica. I costi dell’energia, come abbiamo visto negli ultimi anni, incidono sulla vita delle persone e sulla tenuta delle imprese. Dobbiamo garantire al Paese stabilità e sostenibilità, investendo in tecnologie, in reti efficienti e in una governance che unisca pubblico e privato. Senza una politica energetica stabile è difficile fare industria e senza industria non c’è futuro. Le nostre due Commissioni Settoriali sull’Energia producono, insieme all’Associazione Italiana Economisti dell’Energia, che ringrazio per la collaborazione, un rapporto annuale – che sarà presentato a gennaio – focalizzato, quest’anno, su Nucleare e Idrogeno, due tecnologie e due filiere industriali importantissime anche sotto il profilo dell’innovazione.
Sono rapporti preziosi, che meritano attenzione da parte di chi ha responsabilità di governo e decisione. Sono pieni di idee concrete che offriamo alla politica, ai tecnici e a chiunque sia interessato.
Nuovo umanesimo e frontiere tecnologiche
Oggi si torna a sentire la forte necessità di tornare a mettere l’Uomo al centro. L’Umanesimo che aprì al Rinascimento affermò con forza il valore unico di mettere l’Uomo al centro e generare quel progresso culturale che portò alla grande fase delle scoperte e delle invenzioni.
In quest’ottica, crediamo fermamente che le competenze necessarie non siano più solo STEM (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche, matematiche), ma che queste debbano integrarsi per divenire “STEAM”, dove la “A” di “Arts” richiama proprio quell’Umanesimo senza il quale la tecnica non crea valore e può diventare generatrice di problematiche complesse sul piano etico.
Vi è un grande banco di prova all’orizzonte, per tutti: trasformare le tante sfide sociali in opportunità concrete per uno sviluppo davvero sostenibile. Con un calo demografico che ha registrato, nel 2024, la nascita di soli 370mila bambini nel nostro Paese, la struttura occupazionale scricchiola pericolosamente. Questa prospettiva prefigura un futuro in cui mancherà la forza lavoro in grado di garantire sostenibilità al sistema di welfare pubblico, sia sotto il profilo economico che sociale.
Ma attenzione: la crisi demografica non è un destino ineluttabile. Si deve intervenire, con determinazione e coraggio, attraverso un ripensamento delle politiche per la famiglia, nuovi strumenti legali e di welfare aziendale che agevolino ancor di più i genitori a conciliare il complesso equilibrio tra vita e lavoro. Solo per questa via si possono incentivare le persone a non rinunciare al proprio futuro.
Un altro punto su cui occorre essere lucidi e lungimiranti sono le politiche di inclusione, che non sono un vezzo ideologico ma un principio di grande valore strategico: abbiamo il dovere di valorizzare ancor di più la parità di genere nei luoghi di lavoro. Gli ambienti organizzativi più aperti alla diversità sono anche i più produttivi, i più innovativi e i più sostenibili. In altre parole, oltre a rispondere ad una profonda esigenza etica, la parità di genere crea maggior competitività industriale, come evidenziato anche dalle tante ricerche e attività qualificate promosse dal nostro Gruppo Donne – Minerva che riunisce le nostre donne manager.
Dobbiamo poi stimolare ancor di più il dialogo tra generazioni – che coinvolge oggi ben cinque generazioni all’interno delle aziende – e affermare con forza il valore della meritocrazia. Se i giovani, infatti, percepiscono che il merito professionale non conta, che prevalgono relazioni e privilegi, i migliori se ne vanno all’estero, come già hanno fatto 550mila giovani dal 2011 al 2023, impoverendo la capacità del Paese di immaginare e costruire il proprio avvenire.
Sì, il futuro del lavoro è denso di complessità, ma sta a tutti noi guidarlo verso un traguardo socialmente ed eticamente giusto, e sta a noi sviluppare quella resilienza mentale e fisica che ci permetterà di arrivare a quel traguardo.
Il vero manager non guida solo processi produttivi e aziendali, ma ha il compito di promuovere gli alti valori della cultura organizzativa, avendo innanzitutto cura delle persone. Questo è il tratto che ci distingue e che rivendichiamo con orgoglio. E anche su questo punto, Federmanager è in prima linea perché nel medio e nel lungo periodo sarà proprio l’equilibrio tra Umanesimo e innovazione tecnologica a rappresentare un vantaggio competitivo per le imprese e per il Paese.
Sono temi fondamentali per la nostra categoria e voglio adesso far pre sente un altro concetto essenziale per Federmanager: senza etica, ogni ricerca di maggior produttività e competitività è vana. Ogni decisione economica ha anche una dimensione etica, perché ogni decisione di investimento, ogni decisione sull’allocazione dei costi ha un impatto sulle persone, sui territori, sull’ambiente e non solo sugli azionisti.
Le nostre priorità per il Governo
Al Governo, e ai suoi illustri esponenti qui presenti, voglio rivolgere oggi un messaggio chiaro: noi non chiediamo interventi episodici, non chiediamo interventi spot, ma una visione di lungo periodo che tenga insieme industria, impresa, lavoro, fiscalità e welfare, una visione che integri le politiche industriali, le politiche del lavoro e le politiche fiscali affinché le energie più produttive del Paese siano finalmente liberate a favore di tutte le cittadine e i cittadini.
Chiediamo al Governo seri investimenti nel capitale umano manageriale finalizzati alla crescita produttiva e commerciale del sistema industriale, perché senza manager non c’è né produttività né competitività e senza produttività e competitività non c’è futuro per l’industria e lo sviluppo dell’Italia. Solo un disegno coerente e di respiro decennale può dare competitività all’Italia in Europa e nel mondo, stabilità e produttività alle imprese, fiducia alle famiglie. I campioni nazionali industriali di oggi vanno sostenuti e occorre investire molto di più in quelli di domani. Serve dunque una strategia che integri le filiere, incentivi le forniture di origine nazionale o europea, favorisca la crescita dimensionale delle Piccole e Medie Imprese e ne elevi la managerialità. Perché l’Italia non deve inseguire il suo futuro industriale: deve costruirlo. Attivamente!
All’Esecutivo chiediamo inoltre di aprire una stagione nuova per il lavoro manageriale. Più formazione, più politiche attive, più gestione manageriale della salute e sicurezza. Ogni infortunio è una sconfitta per tutti: per l’impresa e per il Paese. Serve investire nei giovani che entrano nelle fabbriche, perché imparino presto il valore della competenza e della responsabilità. E serve supportare meglio le donne che ambiscono ad una carriera manageriale, perché la parità nei ruoli apicali è un moltiplicatore di valore per l’impresa e per il Paese. Il futuro si costruisce così: a partire dalle persone!
In sostanza, serve un programma pluriennale di politica industriale che punti a orizzonti di crescita e managerializzazione, con una visione di lungo respiro che metta in campo risorse concrete, quegli 8-10 miliardi di euro che servono davvero per potenziare il motore industriale del Paese. L’orizzonte decennale è quel che serve per dare ritorno agli investimenti e per offrire al sistema produttivo quella fiducia di cui ha bisogno in questa fase storica caratterizzata da incertezze e mutamenti profondi. Voglio ricordarlo a tutti: il futuro del Paese passa dall’industria nazionale e dalla sua capacità di essere competitiva. È infatti attraverso questo programma pluriennale di politica industriale che si potrà dare corpo a un piano straordinario per far crescere e managerializzare ulteriori 20mila Piccole e Medie Imprese nei prossimi dieci anni. E per questa via riusciremo a rafforzare il protagonismo industriale italiano, senza timore alcuno di concorrenza, sia essa europea, americana o cinese.
Ma per imboccare la strada di un solido sviluppo, il Paese ha bisogno di una rete digitale all’altezza della sua ambizione: infrastrutture, intelligenza artificiale, interoperabilità dei dati, cybersicurezza e competenze digitali diffuse. Bisogna accelerare – è questo che chiediamo al Governo – e farlo con un principio chiaro: la tecnologia deve servire la persona, non sostituirla. Se vogliamo diventare davvero l’hub logistico del Mediterraneo, dobbiamo mettere in rete porti, logistica e imprese con connessioni veloci e sicure. Solo così potremo governare il futuro, non subirlo!
Serve anche una nuova prospettiva per il Mezzogiorno. Su questo punto voglio essere chiaro: non è un problema da risolvere, è un potenziale da liberare. Nel Sud vi sono giovani talenti, università di eccellenza, imprese che innovano e resistono. Ma servono infrastrutture moderne, digitalizzazione e soprattutto più managerialità. Solo così potremo attrarre investimenti, frenare la fuga dei talenti e creare lavoro stabile sul territorio. Il futuro dello sviluppo industriale dell’Italia passa anche – e forse soprattutto – dal Sud che deve diventarne il motore.
Ma la precondizione per potenziare il Paese – e questa è una delle principali richieste che avanziamo al Governo – è una fiscalità più equa, che valorizzi il merito e non penalizzi chi crea valore per tutti. La progressività fiscale è un principio giusto – lo afferma la nostra Costituzione e, prima ancora, l’etica sociale – ma non può trasformarsi in esponenzialità irragionevole. Quando il 5% dei contribuenti paga il 43% dell’IRPEF, non siamo più in un sistema progressivo, ma in un sistema sbilanciato. Comprendiamo che la “coperta sia corta”, ma non possono restare scoperti sempre gli stessi. Serve una lotta seria all’evasione e all’elusione e serve anche premiare la fedeltà fiscale. Chi lavora, chi produce, chi paga le tasse non chiede privilegi: chiede rispetto. Perché chi crea valore per il Paese deve avere gli strumenti per costruire il futuro.
Il DDL di Bilancio 2026 mostra i primi tenui passi nella direzione da noi auspicata. Lo riconosciamo al Governo e di questo lo ringraziamo, ma è necessario fare molto di più.
Voglio evidenziare un altro tema fondamentale per la nostra categoria: le pensioni dei manager e dei dirigenti. I nostri pensionati hanno versato contributi previdenziali altissimi, sostenendo la crescita industriale e sociale del Paese e garantendo la coesione sociale. Eppure, oggi vedono il potere d’acquisto della loro pensione eroso dall’inflazione e da una perequazione insufficiente. Chiediamo perequazione equa e nessuna penalizzazione per i nostri pensionati perché, lo dico con fermezza e convinzione: i pensionati non hanno difese contrattuali.
È quindi compito delle Istituzioni proteggerne il reddito e la dignità sociale. Le Istituzioni non devono considerare le pensioni dei nostri manager in quiescenza come una sorta di bancomat a cui attingere! Queste pensioni infatti sono il risultato di un copioso gettito contributivo che i manager hanno versato alle casse previdenziali, nel corso della loro intera vita lavorativa. Su questi temi, per noi molto importanti, abbiamo dato mandato alla nostra Confederazione, CIDA, di portare avanti gli studi e le iniziative mediatiche necessarie per rendere edotta l’opinione pubblica delle palesi iniquità perpetrate a danno delle nostre pensionate e pensionati.
Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la realtà e dire con chiarezza che sulle pensioni il sistema pubblico da solo va in sofferenza, in un Paese come il nostro in cui, già oggi, il 40% delle pensioni è di tipo assistenziale. Rinnoviamo con forza la nostra richiesta, che da tempo avanziamo, di una separazione contabile chiara e netta tra previdenza e assistenza per evitare che chi ha versato regolarmente venga, come avvenuto fino ad oggi, penalizzato.
Un appello ai partner datoriali
Rivolgo ora un appello ai nostri partner datoriali, in primis Confindustria, Confapi e Confservizi: facciamo squadra insieme per portare avanti istanze fondamentali.
Mi riferisco al rafforzamento dei secondi pilastri, quello previdenziale e quello della sanità integrativa, per convincere le Istituzioni ad alzare i limiti di deducibilità dei contributi previdenziali e sanitari, fermi da oltre vent’anni a 5.164,57 per la previdenza complementare e a 3.615,20 per l’assistenza sanitaria integrativa. Chiediamo di portarli rispettivamente a 8.500 euro e a 6.000 euro circa e chiediamo altresì che sia previsto un idoneo meccanismo di adeguamento automatico di rivalutazione annuale, sulla base dell’andamento inflattivo.
Questa è una richiesta necessaria perché previdenza complementare e sanità integrativa rappresentano, sempre più, elementi di attrattività e retention del personale, assieme al welfare aziendale e ai fringe benefit, che devono evolvere e diventare vere leve di successo imprenditoriale.
Per sostenere una formazione continua di qualità, alle istituzioni, insieme, chiediamo anche che venga restituito ai nostri Fondi interprofessionali quel 20% oggi sottratto per finanziare ammortizzatori sociali di cui noi, per legge, non beneficiamo: quelle risorse devono tornare a sostenere chi crede nella conoscenza come motore di competitività e di civiltà.
Quella del capitale manageriale è una delle partite su cui più vogliamo fare squadra con i nostri partner datoriali. Il manager va visto come un fattore di successo competitivo e non come un costo da comprimere, perché senza manager le imprese non possono crescere né prosperare nella complessità geopolitica e geoeconomica che caratterizzerà i prossimi 20-30 anni. Dobbiamo avere quindi l’obiettivo comune di attrarre giovani talenti e valorizzare i talenti senior che già vi operano, di far crescere dimensionalmente tramite loro le Piccole e Medie Imprese e di sostenere le transizioni verde, digitale ed energetica.
Da sempre condividiamo uno strumento potentissimo: il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Usiamolo per indicare la via del futuro alle imprese in cui noi manager operiamo, per valorizzarle e per renderle di successo, un successo basato sul valore industriale e commerciale generato e non sul costo del lavoro minimizzato!
È proprio guardando a questa via del futuro che è arrivato il momento di dare una casa comune al management industriale, che include sia i dirigenti che i quadri apicali. Le aziende faticano a gestire il loro management applicando contratti diversi, di categoria per i dirigenti, settoriale per i quadri apicali. Questa complessità è figlia di un’epoca che non esiste più da tempo e in fabbrica c’è bisogno di più semplicità, non di rimanere fedeli a un’ideologia sorpassata dal tempo! Le aziende devono avere la possibilità di gestire i propri manager con un unico contratto collettivo nazionale di lavoro: il contratto del management industriale! Lavoriamoci insieme!
Torno sul tema della formazione, non possiamo farci trovare impreparati: molte competenze attuali saranno presto superate e molte competenze che serviranno nel futuro non sappiamo ancora identificarle. Ma il futuro non ci aspetta. Le competenze cambiano alla velocità della tecnologia.
Per questo noi manager dobbiamo imparare, disimparare e reimparare insieme a imprenditori e imprenditrici, amministratori, lavoratrici e lavoratori. Non è solo formazione: è cultura interiorizzata del cambiamento continuo.
Confrontiamoci allora con la Politica, attraverso una posizione unitaria sulla nostra comune visione: quella di un progetto di riforma del Welfare per il XXI secolo e della fiscalità di vantaggio per chi lo adotta!
La forza di Federmanager
Ottant’anni fa, sulle macerie della Seconda guerra mondiale, un gruppo di manager si impegnò per contribuire alla ricostruzione del Paese.
Oggi è nostro dovere ricordare quei dirigenti che ottanta anni fa furono deportati o fucilati, perché si opposero alla distruzione, alla razzia, al trasferimento in altri Paesi delle risorse industriali italiane: macchinari, apparecchiature, semilavorati, materie prime. Le risorse salvate da questi eroi costituirono la base della successiva ripartenza industriale e sociale del Paese. La loro memoria ci ricorda ancora che la nostra professione è una missione che richiede responsabilità, spirito di sacrificio e coraggio.
Anche noi oggi, forti di questa grande storia, avvertiamo la responsabilità morale e sociale di chi è posto dinanzi a una scelta decisiva.
La scelta di essere all’altezza del proprio compito.
Il management ha infatti una funzione di collegamento essenziale tra impresa e società, tra produzione ed etica, tra passato, presente e futuro.
VISES, il nostro Ente del Terzo Settore, ha proprio questo ruolo, di essere un ponte tra manager e progetti di solidarietà verso le persone, le comunità e i territori svantaggiati.
La dignità del lavoro umano non è un principio economico, è un valore universale non negoziabile con cui noi manager dobbiamo continuamente confrontarci come in uno specchio. Noi, come comunità di manager, ci assumiamo la responsabilità di custodirla.
Nel concludere, mi sia consentito di rendere omaggio ai Presidenti federali che mi hanno preceduto, alle nostre Pensionate e Pensionati, ai Maestri e alle Maestre del Lavoro che sono nei nostri ranghi, a tutti i manager che sono in servizio attivo in azienda: sono persone meravigliose che hanno contribuito e contribuiscono con sapienza e dedizione alla crescita dell’industria italiana e alla creazione di benessere per l’intera collettività nazionale. A loro va il mio e nostro grazie.
Permettetemi anche un ringraziamento speciale alle nostre 55 Associazioni Territoriali, ai loro Presidenti e Vicepresidenti, ai loro Consigli Direttivi, Organi Associativi e Personale Dipendente, ai membri dei nostri Gruppi Giovani, Donne – Minerva e Seniores, ai membri delle nostre 18 Commissioni, ai Consiglieri Nazionali, ai Congressisti, tutti diretta espressione dei territori nella vita della Federazione.
Un ringraziamento speciale va anche a tutti i coordinatori e componenti delle nostre RSA, le Rappresentanze Sindacali Aziendali, tramite le quali il dialogo tra Federmanager e le imprese si fa più specifico e fruttuoso.
Sì, a tutti loro va un ringraziamento speciale, perché sono la spina dorsale della nostra Federazione.
Federmanager, infatti, non è solo una sigla di rappresentanza, è una rete viva, di persone, di storie professionali, di famiglie che ogni giorno sono in campo per il Paese. Senza il loro lavoro quotidiano e faticoso, la nostra Federazione non sarebbe arrivata fin qui, oggi, in questa giornata fantastica!
Ringrazio anche gli enti bilaterali e collaterali che condividiamo con le Associazioni Datoriali o che gestiamo direttamente, sono un altro fiore all’occhiello di Federmanager, un sistema di tutela concreta dei nostri iscritti e delle loro famiglie di cui andiamo davvero orgogliosi. So bene il duro lavoro che i loro Presidenti e Vicepresidenti, membri dei Consigli d’Amministrazione, Organi Sociali e Personale Dipendente svolgono ogni giorno affinché “tutela” e “welfare” non siano parole vuote ma concrete nel loro significato più pieno. Oggi noi possediamo e gestiamo enti che sono considerati un’eccellenza nei rispettivi campi: FASI, IWS, Assidai per la sanità integrativa; PREVINDAI e PREVINDAPI per la previdenza complementare; FASDAPI e Praesidium per i rischi professionali e personali, 4.MANAGER per la diffusione della cultura d’impresa e manageriale, Fondirigenti per il finanziamento della formazione manageriale, Fondazione IDI e Academy per la formazione, CDi Manager per l’executive search. Grazie per il vostro impegno e il lavoro che fate tutti i giorni.
Infine, in ultimo ma non ultimi nei miei pensieri, ringrazio tutti i professionisti che operano dentro la Struttura Federale insieme a me, tutti i giorni: il Vicepresidente Zei, il Tesoriere Vivian, il Direttore Generale Cardoni, tutte e tutti i nostri dipendenti.
Lo vedo ogni giorno: la passione che li anima a favore dei nostri iscritti e del nostro complesso sistema associativo va ben oltre il semplice adempimento contrattuale. Grazie a nome di tutte le nostre iscritte e iscritti per il vostro lavoro!
Noi siamo orgogliosi di essere una grande squadra.
Perché noi crediamo in un’Italia che guida, non che insegue.
Un’Italia protagonista, non spettatrice.
Un’Italia che investe sul merito e non si arrende all’inerzia.
In questo anniversario, davanti a voi, davanti al Paese, voglio ribadirlo una volta di più: Federmanager c’è ed è pronta a fare la sua parte.
E lo farà con il sorriso e l’entusiasmo, come amo dire sin dal giorno del mio insediamento alla guida della Federazione.
Con la serietà delle proposte e con il coraggio delle scelte.
Con le nostre competenze e con la nostra leadership.
Ottant’anni fa è nato un grande sogno, continuiamo a sognare e a realizzare il futuro che vogliamo. Per noi, per le nostre famiglie, per le nostre imprese, per il Paese, per l’Europa.
Questo è il nostro impegno.
Questo è il nostro augurio!
Grazie.»
