
Oggetto: risposta all’articolo “E se affidassimo le cause civili ai notai” pubblicato nella sezione Norme e Tributi del numero del 3/10/2025
Ho letto con estremo stupore l’articolo apparso su Il Sole 24 Ore a firma di Giuseppe Fiengo, il quale suggerisce di affidare le funzioni tipiche del giudice civile — o almeno di “smaltire l’arretrato” — al notaio. Ebbene, a mio avviso una simile proposta non solo è impropria, ma profondamente in contrasto con i principi costituzionali che regolano l’esercizio della giurisdizione.
Affidare funzioni giurisdizionali a professionisti non investiti del ruolo di arbitri imparziali, né sottoposti alle stesse regole disciplinari e di valutazione dei magistrati, equivarrebbe infatti ad abdicare al principio di separazione dei poteri.
L’attività giurisdizionale non è un mero atto tecnico delegabile: è esercizio della sovranità dello Stato, implica poteri di coercizione, l’attribuzione di diritti soggettivi e la tutela dei diritti fondamentali.
Anche un trasferimento parziale di tali funzioni produrrebbe un effetto dirompente, creando una giustizia “parallela”, un ramo notarile destinato a indebolire la coerenza e l’autorevolezza del sistema giudiziario.
Il giudice non è un semplice “applicatore di norme”, ma un interprete del diritto, dotato di visione sistematica e sensibilità giuridica. Le sue decisioni non si limitano a stabilire chi ha ragione, ma tracciano un percorso logico e motivato, diventano orientamenti, contribuiscono alla formazione del diritto vivente. Il notaio, pur nella sua indiscussa competenza tecnica, non possiede in genere la formazione e l’esperienza maturate nel contraddittorio processuale: affidargli funzioni giudicanti significherebbe ridurre il processo a un atto amministrativo, impoverendo il dibattito e la profondità dell’analisi giuridica.
È vero che, in ambiti limitati di volontaria giurisdizione, il legislatore ha riconosciuto competenze ai notai — ad esempio per atti che riguardano minori, interdetti o amministrazioni di sostegno — ma sempre in assenza di conflitto tra le parti. Spingersi oltre questi confini significherebbe alterare un equilibrio già fragile e attentamente costruito dal legislatore.
La crescita del diritto civile, e del diritto in generale, si fonda sul confronto tra tesi opposte, sulla dialettica argomentativa, sulla motivazione delle sentenze. Una giustizia “notarile” finirebbe per impoverire la funzione evolutiva del diritto stesso.
Paradossalmente, poi, l’obiettivo dichiarato di “smaltire l’arretrato” rischierebbe di produrre l’effetto contrario: sovraccaricare i notai, generare un nuovo contenzioso — questa volta “notarile” — e, di fatto, demandare ai giudici residui le questioni più complesse, creando una giustizia a due velocità.
Infine, delegare la giurisdizione a figure esterne minerebbe l’autonomia e il prestigio della magistratura, che rappresenta un presidio dello Stato di diritto e della legalità democratica.
Privatizzare la giustizia significa snaturarla: la giustizia non può essere venduta, concessa o appaltata, perché appartiene ai cittadini.
Anche i medici hanno vinto un concorso pubblico e sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma non per questo si penserebbe di far decidere a loro le cause di responsabilità medica: conoscere la materia non equivale a poterla giudicare.
Come si può poi scrivere che affidare il giudizio di primo grado ai notai è una soluzione semplice e non costa: chi li pagherà i notai per redigere le sentenze? Lo dovranno fare gratuitamente? Ed allora non illudiamoci che molti professionisti accetteranno l’incarico. Li pagherà lo Stato? Ed allora costerà poiché lo Stato già sostiene le spese per la magistratura e si troverà a finanziare una struttura parallela. Li pagheranno le parti in causa? Ed allora significa introdurre una nuova gabella, un ulteriore onere a carico dei cittadini oltre al contributo unificato, che già oggi è il prezzo d’ingresso per accedere alla giustizia.
Quanto poi all’affermazione secondo cui “dal Medioevo i notai hanno reso giustizia nelle cause civili e sulle questioni ereditarie”, occorre un chiarimento storico. È vero che nel Medioevo i notai erano spesso presenti nei tribunali, ma il loro ruolo era solo quello di verbalizzare, registrare e conservare gli atti processuali. Le sentenze venivano infatti decise da un altro soggetto: il giudice, laico od ecclesiastico. Si potrà pure guardare al Medioevo con curiosità o nostalgia, ma la giustizia moderna non ha bisogno di tornare al tempo dei sigilli e dei codici miniati.
Come più volte scritto, se davvero si vuole migliorare l’efficienza del sistema giudiziario, la strada è un’altra: investire sulla magistratura, potenziarne l’organico, digitalizzare i processi, semplificare le procedure nel rispetto del giusto processo e rafforzare la presenza territoriale.
Lo snellimento delle cause non deve avvenire a scapito del diritto, ma grazie al diritto.
Con l’augurio che il dibattito torni a muoversi sul terreno della ragione, porgo i miei più cordiali saluti.
Il Presidente
Avv. Alberto Del Noce
