
Lettera al Direttore
Gentile Direttore,
il 22 ottobre 2025 il Governo Meloni taglierà il traguardo dei tre anni di vita. Non male per un Paese come l’Italia, che dalla proclamazione della Repubblica ad oggi – in 79 anni – ha visto alternarsi ben 68 governi in 19 legislature. Una media che parla da sola: governi brevi, frammentazione politica, esecutivi incapaci di durare il tempo necessario per programmare e realizzare riforme di lungo periodo.
Oggi, però, lo scenario sembra diverso. L’attuale esecutivo è uno dei più solidi dell’Unione europea, forte di un assetto politico-istituzionale che garantisce continuità e stabilità, condizioni rare per la nostra storia repubblicana. Se Giorgia Meloni riuscirà a portare a termine l’attuale XIX legislatura – come molti osservatori ritengono probabile – non sarà solo la prima donna a guidare per un intero mandato il governo italiano, ma anche la sola premier ad aver governato cinque anni consecutivi senza interruzioni.
Un record che potrebbe collocarla accanto ai due governi più longevi della Seconda Repubblica, entrambi guidati da Silvio Berlusconi: quello del 2001-2005 (1.412 giorni) e quello del 2008-2011 (1.287 giorni). Un risultato, questo, che acquista ancora più significato alla luce delle recenti valutazioni positive delle agenzie internazionali (Fitch ha portato il rating dell’Italia a BBB+, con outlook stabile), segno che i mercati e la comunità finanziaria iniziano a riconoscere la solidità del percorso intrapreso.
Il confronto con il passato è impietoso. Governi durati settimane o pochi mesi – Fanfani nel 1954 (22 giorni), De Gasperi nel 1953 (31 giorni), Spadolini nel 1982 (100 giorni) – sono stati lo specchio di un sistema politico frammentato, più attento ai rapporti di forza interni che agli interessi del Paese. Una ingovernabilità cronica, frutto di compromessi tra partiti minori con percentuali risicate, che hanno spesso bloccato riforme e sviluppo.
La verità è che l’instabilità l’abbiamo creata noi, con la nostra cultura politica e con la nostra incapacità di costruire maggioranze solide e programmi credibili. Per crescere, una democrazia matura deve saper garantire governi coesi, in grado di governare per un’intera legislatura, e opposizioni serie, critiche, ma costruttive.
E qui nasce la domanda: lascia o raddoppia?
Se l’attuale opposizione – divisa, inconcludente e incapace di proporre un’alternativa – dovesse sostituire l’attuale esecutivo, il rischio sarebbe quello di tornare alla paralisi del passato. Per dirla con una metafora domestica: senza “raddoppio”, saremo costretti a fare scorte di olio da frittura, perché l’Italia rischierebbe davvero di andare… fritta.