
Trent’anni dopo la firma degli Accordi di Dayton, la Bosnia-Erzegovina si trova ad affrontare una crisi politica senza precedenti. L’accordo di pace, che doveva porre fine alla guerra e stabilire una nuova struttura statale basata sull’uguaglianza dei tre popoli costituenti e sulla supervisione internazionale dell’OHR, è stato, secondo molti, gravemente compromesso.
Violazioni degli Accordi e tentativi di centralizzazione
Invece dell’uguaglianza delle entità, si sono susseguiti tentativi di centralizzazione. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR), da organo di supervisione, si è trasformato in un attore politico attivo, spesso in collaborazione con istituzioni giudiziarie considerate incostituzionali.
L’esempio più recente e palese di questa tendenza è il tentativo congiunto dell’OHR, della Corte e della Commissione Esecutiva Centrale della Bosnia-Erzegovina di estromettere il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, dalla vita politica. Questa azione ha innescato quella che è considerata la crisi più grave fino ad oggi.
La necessità di una ridefinizione delle relazioni
La maggior parte degli attori politici e osservatori concordano sulla necessità di una ridefinizione delle relazioni all’interno della Bosnia-Erzegovina. La domanda cruciale, tuttavia, è come raggiungere tale obiettivo. In questo contesto di crescente tensione e incertezza, ci si chiede chi all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sarà chiamato a rispondere a domande sempre più scomode sul futuro del Paese.