
Il caso Almasri, esploso nelle ultime settimane e approdato al centro del dibattito politico e istituzionale, rappresenta una delle prove più delicate per il governo guidato da Giorgia Meloni. L’indagine che coinvolge la capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi – accusata di false dichiarazioni al pubblico ministero – ha innescato una catena di conseguenze che investono non solo il Guardasigilli, ma anche i ministri Piantedosi e Mantovano, chiamati a rispondere di omissione, favoreggiamento e peculato nel controverso rimpatrio del generale libico Almasri, incriminato dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
In questo quadro complesso, il presidente della Giunta per le autorizzazioni, Dori, ha respinto la tesi della maggioranza – sostenuta da Giorgia Meloni – di collegare la posizione di Bartolozzi a quella dei ministri attraverso un conflitto di attribuzione da portare davanti alla Corte Costituzionale. Una strategia politica che mirava a estendere alla ex deputata di Forza Italia lo “scudo” dell’immunità ministeriale, ma che è stata stoppata con la motivazione che si tratta di un reato autonomo e distinto. Nonostante ciò, la Giunta ha comunque convocato Nordio, Piantedosi e Mantovano per audizioni fissate al 17 e 18 settembre, mentre la premier insiste sulla necessità di difendere la compattezza dell’esecutivo.
La vicenda non riguarda soltanto un procedimento giudiziario: tocca direttamente la credibilità internazionale dell’Italia, accusata dalla CPI di atteggiamenti ostruzionistici, e mette in discussione la coerenza politica di un governo che nello stesso tempo promuove una riforma della giustizia fondata sul principio di efficienza. Le opposizioni parlano già di “Watergate italiano”, evocando un clima di scandalo capace di minare la stabilità della maggioranza, dove emergono crepe tra Forza Italia, intenzionata a difendere Bartolozzi, e la Lega, che cerca di capitalizzare le difficoltà dell’esecutivo.
Per comprendere quali scenari possano aprirsi nel breve e medio periodo – tra le audizioni di settembre, il possibile ricorso alla Consulta e il referendum sulla giustizia previsto per la primavera 2026 – abbiamo incontrato l’Onorevole Marinella Pacifico, già Senatrice della Repubblica, Presidente UIP Italia-Tunisia, Segretario di Schengen ed ex componente della Commissione Esteri. Da osservatrice esterna con un bagaglio istituzionale di rilievo, l’Onorevole Pacifico analizza con lucidità le ricadute di questa crisi, mettendo in evidenza i limiti della strategia difensiva del governo Meloni e le conseguenze, non solo politiche ma anche sistemiche, sulla giustizia italiana e sulla sua credibilità internazionale.
Domanda. Onorevole Pacifico, Lei è un’osservatrice esterna con una lunga esperienza parlamentare e internazionale. Parliamo della tenuta del governo Meloni, alle prese con l’indagine sulla capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, la richiesta di autorizzazione a procedere contro Nordio, Piantedosi e Mantovano nel caso Almasri, e la scelta di Meloni di spingere per un conflitto di attribuzione in Giunta. Come valuta l’impatto di questi sviluppi sulla stabilità dell’esecutivo?
On. Marinella Pacifico. Questo governo sta mostrando gravi lacune nella gestione di una crisi che ne mina la credibilità. L’indagine su Giusi Bartolozzi, iscritta il 9 settembre dalla Procura di Roma per false dichiarazioni al pubblico ministero, evidenzia un problema profondo. Bartolozzi, ex deputata di Forza Italia e figura centrale per Nordio, è accusata di aver fornito informazioni non veritiere sul dossier Almasri, un generale libico incriminato per crimini contro l’umanità, scarcerato e rimpatriato con un volo di Stato. È una vicenda che compromette l’immagine dell’Italia di fronte alla Corte Penale Internazionale.
Invece di affrontare la questione con chiarezza, Meloni spinge la maggioranza a ricorrere al conflitto di attribuzione per estendere l’immunità a Bartolozzi, che non ne beneficia. È una scelta discutibile, che sembra voler aggirare la giustizia. Il presidente della Giunta, Dori, ha respinto questa ipotesi dichiarando autonomo il reato di Bartolozzi, ma ha convocato Nordio, Piantedosi e Mantovano per audizioni il 17 e 18 settembre. Come osservatrice esterna, ritengo che questo governo stia vacillando: si concentra su strategie difensive, trascurando il vero dramma della giustizia – la lentezza dei processi, la burocrazia inefficiente e le impugnazioni speculative.
Domanda. L’opposizione parla di “Watergate italiano” e accusa Meloni di incoerenza, specie mentre promuove la riforma della giustizia. La mossa sul conflitto di attribuzione e le audizioni non rischiano di alimentare le critiche e dividere la maggioranza?
On. Marinella Pacifico. L’opposizione ha ragione a denunciare la gravità della situazione. Pd, M5s, Avs, Verdi e persino Renzi parlano di un accordo discutibile con la Libia, forse legato a migranti o interessi economici. Meloni e Nordio promuovono una riforma parlando di “efficienza”, ma gestiscono il caso Almasri in modo opaco, tentando di proteggere Bartolozzi con un conflitto di attribuzione che Dori ha già escluso.
La Corte Penale Internazionale accusa l’Italia di ostruzionismo, e il governo risponde con cavilli e audizioni che appaiono più un diversivo che una soluzione. Questo alimenta sfiducia: i sondaggi Ipsos registrano un calo del 5% nella fiducia, dal 42% al 37%. Intanto, il vero problema – 5 milioni di processi pendenti – resta irrisolto. La maggioranza mostra crepe: Forza Italia difende Bartolozzi ma è in difficoltà, la Lega sfrutta il caos per tornare a parlare di autonomia. Meloni, così, perde terreno e indebolisce la sua coalizione.
Domanda. Analizziamo gli scenari: nel breve termine, con le audizioni del 17-18 settembre e il possibile ricorso alla Corte Costituzionale, cosa accadrà? E nel medio-lungo termine, con il referendum sulla giustizia previsto per la primavera 2026?
On. Marinella Pacifico. Nel breve termine, il governo è intrappolato in una crisi che ha creato da solo. Le audizioni di settembre saranno un esercizio formale: Dori ha escluso Bartolozzi, vanificando il tentativo di Meloni di legarla ai ministri. Il ricorso alla Consulta è destinato a fallire: Bartolozzi dovrà affrontare l’indagine senza immunità, esponendo il governo a nuove critiche. La Giunta probabilmente boccerà l’autorizzazione a procedere per i ministri, ma sarà una vittoria fragile che rafforzerà l’idea di un esecutivo che si protegge invece di governare.
Nel medio termine, la situazione peggiorerà. La riforma della giustizia, approvata in Senato a luglio, è il progetto chiave di Meloni, ma il caso Almasri la scredita. I sondaggi Ipsos mostrano che il 60% degli italiani chiede una giustizia più rapida, ma il 70% dubita della credibilità del governo.
Nel lungo termine, con il referendum del 2026, il rischio è altissimo: un “no” trasformerebbe la consultazione in un voto contro Meloni, come accadde a Renzi nel 2016. Un simile scenario aprirebbe la strada a crisi, rimpasti e possibili elezioni anticipate nel 2027.
Domanda. Ultima domanda: come potrebbe il governo gestire la campagna referendaria con lo scandalo Almasri e il conflitto di attribuzione che incombono?
On. Marinella Pacifico. Con estrema difficoltà. La campagna “tecnica”, che promuove l’efficienza della giustizia, è insostenibile quando il governo gestisce il caso Almasri in modo opaco. La CPI indaga, l’Europa osserva con sospetto, l’opposizione accuserà la maggioranza di fare giustizia per i propri alleati e non per il Paese.
Meloni dovrebbe cambiare rotta: ammettere gli errori, spingere Nordio alle dimissioni e pubblicare tutti gli atti sul caso Almasri. Soprattutto, dovrebbe affrontare il vero nodo: una giustizia lenta, con milioni di processi pendenti, notifiche bloccate, tribunali sovraccarichi. Servono sentenze definitive al primo grado, più giudici e digitalizzazione. Invece, il governo attacca la magistratura e usa la Consulta come scudo. È una grave mancanza verso i cittadini: l’Italia ha bisogno di una giustizia veloce e affidabile, non di strategie di difesa politica.