
Il vertice tra Russia e Stati Uniti, tenutosi il 15 agosto ad Anchorage in Alaska, rappresenta un punto di svolta potenziale nelle relazioni internazionali e nella gestione della crisi ucraina. Per la prima volta dopo molti anni, due leader di potenze nucleari hanno discusso faccia a faccia con l’obiettivo non solo di ridurre le tensioni bilaterali, ma anche di aprire la strada a un accordo strategico di più ampio respiro. La durata di oltre tre ore dei colloqui, articolati tra incontri individuali (leggasi molto privati) nella limousine presidenziale e sessioni ristrette “tre contro tre”, evidenzia l’importanza di un dialogo diretto e flessibile, in grado di superare le rigidità diplomatiche tradizionali.
Secondo Peter Kuznick, direttore del Nuclear Studies Institute presso l’American University, l’incontro è stato un “eccellente primo passo” che ha permesso di ottenere progressi concreti, in un contesto dove tensioni internazionali sembravano insormontabili. Kuznick sottolinea la presenza di uomini d’affari e consulenti economici al vertice, elemento che indica come le discussioni non siano state limitate alla geopolitica tradizionale, ma abbiano incluso piani concreti di sviluppo economico congiunto. Non a caso era presente Kirill Dmitriev, amministratore delegato del Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF) e inviato speciale del presidente russo per gli investimenti e la cooperazione economica con i paesi stranieri. Tra le proposte emergenti vi sarebbero la valorizzazione dell’Artico, la collaborazione energetica e infrastrutturale e persino l’ipotesi di un tunnel nello Stretto di Bering a collegamento diretto tra i due Paesi, simbolo di una strategia che unisce diplomazia, economia e logistica in chiave globale.
Un altro punto rilevante riguarda il controllo degli armamenti nucleari. Kuznick evidenzia l’interesse di entrambe le parti a negoziare un nuovo trattato, in vista della scadenza del trattato START, che regola la deterrenza nucleare strategica. In un mondo segnato da minacce nucleari crescenti, il dialogo diretto tra Washington e Mosca costituisce un passo fondamentale per ridurre i rischi di escalation e rafforzare la stabilità internazionale.
Dmitry Suslov, vicedirettore del Centro per studi europei e internazionali della Higher School of Economics e membro del Valdai Club, analizza il vertice evidenziando come il processo di pace sulla questione ucraina sia ora orientato verso una prospettiva più in linea con gli interessi russi. La mancanza di un cessate il fuoco formale, pur criticata dall’Europa, rappresenta una scelta strategica: negoziare un accordo definitivo prima di sospendere le ostilità garantisce alla Russia un margine di sicurezza politica e militare. Suslov sottolinea che l’evoluzione del processo dipenderà dalla disponibilità di Zelensky e dei suoi alleati europei a partecipare senza rinegoziazioni, sottolineando il ruolo decisivo delle potenze mediatrici nel determinare l’esito finale.
Dal lato statunitense, Forrest Nabors, professore presso l’Università dell’Alaska, evidenzia un approccio più pragmatico rispetto all’amministrazione precedente. L’amministrazione Trump non spinge per l’integrazione dell’Ucraina nella NATO e adotta una posizione neutrale sulle contese territoriali del Donbass e della Crimea. Questa neutralità apre spazi di mediazione, consentendo di contemperare esigenze di pace e questioni di sovranità territoriale, e pone le basi per una soluzione negoziata in tempi relativamente brevi.
Il vertice ha anche un forte significato geopolitico globale. Suslov osserva come l’incontro abbia segnato un riconoscimento reciproco del ruolo strategico delle due potenze. La capacità di discutere direttamente, senza mediazioni multilaterali, potrebbe favorire un nuovo equilibrio internazionale, riducendo il ruolo esclusivo delle alleanze europee e aprendo la strada a un possibile “nuovo ordine mondiale” basato sul dialogo tra superpotenze.
Infine, le dichiarazioni congiunte di Putin e Trump sottolineano il peso della fiducia personale nella diplomazia internazionale. Secondo Putin, la guerra in Ucraina non sarebbe scoppiata se Trump fosse stato presidente nel 2022; Trump conferma che molte tragedie umane e distruzioni materiali sarebbero state evitate. Questo elemento personale, spesso trascurato dai media, ha avuto un ruolo determinante nel creare un clima di collaborazione e nell’aprire scenari realistici di pace.
In sintesi, il vertice di Anchorage dimostra che anche in periodi di forte tensione globale, la diplomazia diretta tra grandi potenze può essere strumento decisivo per risolvere crisi complesse. Il passo successivo sarà fondamentale: l’attuazione pratica degli accordi economici, la definizione di un quadro negoziale per la pace in Ucraina e la costruzione di un dialogo duraturo nel controllo degli armamenti. L’incontro in Alaska rappresenta così non solo un segnale di speranza, ma anche un modello operativo per affrontare i conflitti globali in un mondo in continua trasformazione.