
Difendere lo Stato e rinunciare alla famiglia: è questo il prezzo che continuiamo a chiedere, ancora oggi, a chi indossa una divisa? É la domanda scomoda che l’Unione Sindacale Italiana Finanzieri (USIF) si vede costretta a porre pubblicamente, con un appello rivolto al Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri della Repubblica, ai Parlamentari di maggioranza e di opposizione.
Nel comparto difesa e sicurezza, uno dei diritti fondamentali – il ricongiungimento familiare – è, di fatto, negato. Ad oggi, non esiste alcuna norma che garantisca a un militare o a un appartenente alle Forze di Polizia la possibilità di ricongiungersi con il proprio coniuge o con i propri figli, a meno che entrambi non appartengano alla stessa amministrazione, ad esempio la Guardia di Finanza.
Ma se, come spesso accade, uno dei due coniugi presta servizio in un’altra forza armata o di polizia, non c’è tutela, non c’è norma, non c’è soluzione.
Il risultato? Famiglie divise, bambini che crescono senza la presenza quotidiana di un genitore, relazioni costrette alla distanza, affetti sacrificati in nome di un servizio che dovrebbe essere nobile, non disumanizzante. “Siamo ben consapevoli che il tema del ricongiungimento familiare coinvolge anche altri settori del pubblico impiego e persino il mondo del lavoro privato. Ma è proprio dalle Forze Armate e di Polizia che bisogna partire, perché chi sceglie di servire lo Stato in uniforme non può scegliere dove lavorare. È soggetto a trasferimenti obbligatori, distacchi, esigenze di servizio imposte senza possibilità di opposizione. Un vincolo che non esiste altrove e che rende ancora più urgente una risposta normativa e politica – spiega Vincenzo Piscozzo, Segretario Generale dell’Unione Sindacale Italiana Finanzieri (USIF) – Pensiamo, in particolare, ai giovani VFP dell’Esercito: ragazzi che iniziano la carriera da volontari, trovano l’amore, mettono su famiglia, ma poi vincono un concorso nelle Forze di Polizia e vengono assegnati in regioni lontane, senza alcuna possibilità di avvicinamento. Una condizione che diventa non solo difficile, ma inaccettabile dal punto di vista umano e sociale. Oggi ci rivolgiamo a tutte le più alte cariche della Repubblica.
Chiediamo un impegno vero, trasversale, condiviso. Chiediamo una presa di posizione chiara e pubblica da parte del Capo dello Stato, che è anche il Capo delle Forze Armate, affinché venga riconosciuto e garantito il diritto alla famiglia per tutti gli uomini e le donne in uniforme. Uno Stato che si proclama “a tutela della famiglia” non può ostacolarne la formazione o la sopravvivenza. Non si può barattare un posto di lavoro con la rinuncia agli affetti. Non si può chiedere a chi difende lo Stato di diventare cittadino di serie B nei propri diritti affettivi e familiari”.
Piscozzo assicura che “noi di USIF continueremo a portare questa battaglia morale in tutte le sedi istituzionali, sindacali e mediatiche. Ma abbiamo bisogno che anche le istituzioni ascoltino, comprendano e agiscano. Perché ricongiungersi con la propria famiglia non è un privilegio: è un diritto umano, costituzionale, civile”.
