
Diventare genitori per la seconda volta è un’esperienza profondamente diversa rispetto alla prima. Sugli effetti psicologici di questa scelta e sulle dinamiche che può generare all’interno del nucleo familiare, Barbara Bove Angeretti, Psicologa, Coordinatore Genitoriale e Criminologa, Insegnante di Comunicazione e Mindfulness spiega come “la scelta di avere un secondo figlio per soddisfare un bisogno del primogenito, piuttosto che per un desiderio autentico della coppia genitoriale, può innescare una serie di dinamiche psicologiche complesse che influiscono sullo sviluppo emotivo e relazionale di entrambi i figli”.
A supporto di queste motivazioni, lo studio ‘The next one changes everything’: Study examines effects of second child condotto dall’Università del Michigan, spiega che avere un secondo figlio può avere un impatto ancora maggiore rispetto al primo sulla vite di coppia nella gestione dei rispettivi ruoli genitoriali. Avere due figli non è più facile rispetto ad averne uno solo. Le pressioni, sia per le mamme che per i papà che lavorano, diventano più evidenti con la nascita del secondo figlio.
Secondo la survey, all’interno del nucleo famigliare giocherebbe un ruolo fondamentale la pressione emotiva da parte di famigliari, amici e persino sconosciuti, che sempre più spesso sollecitano le coppie di neogenitori a non perdere tempo nel decidere di allargare la famiglia per essere fattivamente un nucleo famigliare al completo. La nascita del secondo figlio segnerebbe anche un momento importante di transizione per gli uomini, che dichiarano di sentirsi più parte della famiglia dopo la nascita del primo figlio, rivendicando, pertanto, il proprio ruolo di padre.
Il trattamento equo per impostare un nuovo equilibrio famigliare
Il secondo figlio entra in una famiglia che ha già una storia, un linguaggio relazionale, aspettative e regole spesso modellate sul primo. In questo scenario, il secondogenito può sviluppare:
▸ un senso di comparazione e competizione con il fratello o la sorella maggiore. Spesso sono i genitori a supportare queste dinamiche proponendo delle gare per ottenere collaborazione “Vediamo chi finisce prima di lavare i denti!”, “Vediamo chi mette a posto più giocattoli”;
▸ una percezione di svantaggio “sono arrivato dopo”, “non ho lo stesso spazio”;
▸ oppure un atteggiamento di compiacenza o sottomissione, nel tentativo di non disturbare un sistema già consolidato.
Per evitare squilibri relazionali e vissuti ingiusti, come riportato anche nel libro Educare con Empatia, è fondamentale che i genitori imparino a trattare i figli in modo equo, riconoscendo le loro differenze individuali di temperamento, bisogni, età, sensibilità e rispondere a ciascuno con attenzione e misura, senza favoritismi, ma con flessibilità. In questo modo, ogni figlio si sentirà accolto e rispettato per quello che è, senza dover competere per conquistare uno spazio che dovrebbe spettargli di diritto.
“I figli sono unici, non uguali“, dichiara la dottoressa Bove Angeretti, “e infatti non si possono trattare ugualmente, ma equamente sì! Trattare equamente significa dare valore e riscontro ai “diversi” bisogni di ciascuno, senza fare i giudici e stabilendo torto o ragione durante i litigi e senza etichettare i figli in base ai loro comportamenti. Uno strumento su tutti, imprescindibile per qualunque genitore è: la regola.”
Le scelte genitoriali influenzano profondamente la costruzione dell’identità dei figli. Evitare a un bambino ogni tipo di frustrazione non significa proteggerlo, ma privarlo della possibilità di sviluppare resilienza e autonomia emotiva. L’educazione equilibrata richiede la capacità di riconoscere i propri vissuti ed evitare di proiettarli sui figli, affinando la consapevolezza di ciò che si trasmette loro attraverso il proprio modo di essere e relazionarsi.
La figura materna nel rapporto con i figli
All’interno del nucleo famigliare è proprio la figura della madre a giocare un ruolo determinante nella costruzione del rapporto tra due fratelli o sorelle e nella loro percezione di sé.
Secondo quanto dichiarato dalla National Library of Medicine di Bethesda (USA) emerge nelle madri la preoccupazione dell’impatto affettivo nei confronti del secondo figlio. Lo studio ha esaminato l’ansia da relazione materno-fetale (MFRA) delle madri nei confronti del loro secondo figlio, la previsione del legame madre-bambino e della sicurezza dell’attaccamento bambino-madre dopo il parto e i correlati psicosociali dell’MFRA delle madri durante la gravidanza. La maggior parte delle donne intervistate ha riferito poca o nessuna ansia nel formare un attaccamento al loro secondo figlio (89,1%). L’ansia da relazione materno-fetale causa un minore attaccamento materno verso il bambino a da uno a 8 mesi dopo il parto, ma non è detto che faccia scaturire un successivo attaccamento bambino-madre nel compimento dell’anno di vita. Inoltre, le madri che temono il divario affettivo tra il primo e secondo figlio rischiano di andare incontro ad altri rischi psicosociali che hanno ripercussioni sullo sviluppo della relazione madre-bambino.
Per questo motivo è fondamentale intervenire affinché non si spezzi quell’equilibrio nei confronti del primo genito, attivando delle azioni virtuose e costruttive per stabilire nuovi ruoli e spazi all’interno del contesto famigliare.
“È normale che i genitori in attesa del secondo figlio sentano per “istinto” di dover tutelare il primogenito, anche a causa delle continue pressioni sul tempo esclusivo, tema trattato sul mio libro Educare con empatia“, dichiara Barbara Bove Angeretti. “I genitori si rendono conto che l’arrivo di un nuovo membro in famiglia cambierà gli equilibri e, pur sapendo che l’amore si moltiplica, sono consapevoli che tempo ed energie non fanno lo stesso. Questo può portarli a sviluppare una sorta di “debito affettivo” nei confronti del primo, che percepiscono come “quello che perderà qualcosa”. Tuttavia, quando nasce il secondogenito, si attivano dinamiche psicologiche complesse che vanno oltre la redistribuzione delle attenzioni“.
