
(AGENPARL) – Wed 02 July 2025 COMUNICATO STAMPA
Parma, 2 luglio 2025
TRE ANNI DOPO IL DISASTRO DELLA MARMOLADA
STUDIO SCIENTIFICO SVELA I MECCANISMI NASCOSTI
DEL CROLLO DEL GHIACCIAIO
A tre anni dalla tragedia che ha segnato per sempre la storia dell’alpinismo sulle
Dolomiti, un nuovo studio scientifico pubblicato oggi sulla rivista «Natural Hazards
and Earth System Sciences» ricostruisce con precisione inedita i meccanismi che
portarono al collasso di una porzione del ghiacciaio della Marmolada il 3 luglio 2022.
In quell’occasione, una massa di oltre 70.000 metri cubi di ghiaccio si staccò
improvvisamente a oltre 3.200 metri di quota, travolgendo numerosi alpinisti lungo la
via normale di salita alla Punta Penìa. Il bilancio fu drammatico: 11 vittime e almeno 7
feriti gravi.
Il nuovo articolo scientifico, dal titolo Failure of Marmolada Glacier (Dolomites,
Italy) in 2022: Data-based back analysis of possible collapse mechanisms, è il risultato
di una ricerca condotta da un team multidisciplinare internazionale composto da
glaciologi, geologi, ingegneri e geofisici appartenenti a diverse istituzioni italiane ed
europee: Università di Parma, Università di Padova, Istituto Nazionale di Oceanografia
e di Geofisica Sperimentale (OGS), Università di Trieste, Università di Zurigo, ARPAV e
Università di Stellenbosch.
«Abbiamo voluto analizzare la tragedia con gli strumenti della scienza, mettendo
insieme dati storici, rilievi di precisione e modelli fisico-matematici per comprendere
se e come l’instabilità del ghiacciaio potesse essere prevedibile – spiega Roberto
Francese, primo autore dello studio, docente di Geofisica all’Università di Parma e
ricercatore associato all’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica
Sperimentale. «Il nostro lavoro dimostra che la Marmolada non è crollata per un
singolo fattore scatenante, ma per una combinazione di condizioni critiche che si sono
sommate in modo sinergico».
Dell’Università di Parma anche il secondo autore, Roberto Valentino, docente di
Geotecnica.
La dinamica del collasso
Il crollo si è verificato in un piccolo circo glaciale poco sotto la Punta Rocca (3309
m), lungo un settore già frammentato e fragile del ghiacciaio. I ricercatori hanno
stimato che la massa collassata si sia staccata lungo una zona con inclinazioni fino a
40°, percorrendo oltre 2,3 km a una velocità stimata tra gli 80 e i 90 km/h.
Nessun terremoto è stato registrato in prossimità dell’evento, e l’ipotesi sismica è
stata definitivamente esclusa. Al contrario, l’analisi indica che il collasso è stato
provocato da:
•un’accelerata fusione nivale e glaciale, dovuta a temperature record
registrate nella primavera e nell’estate del 2022;
•una massiccia presenza di acqua di fusione intrappolata in profondi
crepacci ostruiti, che ha generato pressioni idrauliche elevate;
•permafrost degradato nella roccia sottostante, che ha ridotto la coesione
tra ghiaccio e substrato;
•una geometria sfavorevole del letto roccioso, con pendenze elevate e
strati di detrito glaciale poco coesivo.
«Il ghiacciaio si è trovato improvvisamente in una condizione di equilibrio precario:
la temperatura interna era elevata, la base era instabile e l’acqua in pressione, nei
crepacci e alla base, ha esercitato una spinta». L’evento si è consumato in pochi
secondi, ma le sue premesse si sono costruite nei mesi e negli anni precedenti spiega Aldino Bondesan, geografo dell’Università di Padova e corresponding
author dello studio -. Per le ricerche abbiamo impiegato tecniche geofisiche
avanzate, tra cui rilievi con georadar (Ground Penetrating Radar – GPR), misure
geolettriche e ricostruzioni topografiche con laser scanner terrestri e droni LIDAR.
Le immagini satellitari ad alta risoluzione sono state elaborate per analizzare la
presenza d’acqua superficiale e inglobata, tramite indici multispettrali come il
NDWI (Normalized Difference Water Index).
Un’analisi ad alta tecnologia, durante la quale è stato anche effettuato un
carotaggio del ghiacciaio residuo e sono stati inseriti sensori di temperatura a diverse
profondità nella massa glaciale, per monitorare direttamente le condizioni termiche
alla base del ghiacciaio. I dati indicano temperature comprese tra -2,4°C e -3,1°C nel
cuore del ghiaccio, a conferma di un ambiente freddo ma prossimo al punto di fusione.
I ricercatori hanno poi simulato numericamente la stabilità del ghiacciaio
utilizzando il Limit Equilibrium Method (LEM), tecnica comunemente usata in
ingegneria geotecnica per valutare la stabilità dei pendii. Solo l’interazione di più fattori
destabilizzanti ha portato a valori del “fattore di sicurezza” (FoS) inferiori a 1, soglia
convenzionale che indica la perdita di equilibrio.
Un monito per il futuro
Il crollo della Marmolada è il primo caso documentato in Italia di una valanga
glaciale con un simile bilancio umano. Ma non è un episodio isolato: eventi simili
stanno aumentando nelle regioni alpine e andine, in relazione alla rapida ritirata dei
ghiacciai e alla degradazione del permafrost.
Questo studio fornisce una chiave interpretativa fondamentale non solo per capire
cosa è accaduto, ma anche per impostare strategie di monitoraggio e prevenzione dei
rischi in alta montagna. I risultati evidenziano l’importanza di integrare osservazioni
climatiche, rilievi geofisici e modellazione numerica per anticipare scenari di collasso
potenzialmente catastrofici.
Università degli Studi di Padova