
(AGENPARL) – Wed 11 June 2025 Tecnologia e disuguaglianze:
l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e della finanza
Intervento di Gian Luca Trequattrini
Funzionario Generale – Segretario del Direttorio
Congresso Nazionale First Cisl
Roma, 11 giugno 2025
Che cos’è l’intelligenza artificiale e perché è così importante
Quando si cerca sul web la definizione di “intelligenza artificiale”, tra le prime
fonti troviamo Google Cloud, che la descrive come una disciplina scientifica finalizzata
a sviluppare macchine e sistemi capaci di ragionare, imparare e agire in modi che
normalmente richiederebbero l’intelligenza umana o l’elaborazione di grandi quantità di
dati. Si tratta di un ambito vasto, che tocca informatica, statistica, ingegneria, linguistica,
neuroscienze, filosofia e psicologia.
Non è la prima volta che la tecnologia cambia il nostro modo di vivere e lavorare.
Ma l’intelligenza artificiale è diversa dalle rivoluzioni precedenti per due motivi:
agisce in tutti i settori della società, dall’economia alla politica, dalla religione
alla scienza, dall’istruzione alla salute;
non ha uno scopo in sé, non ha un’etica o una visione del futuro. La tecnica
funziona, come dice il filosofo Galimberti, ma non dice “perché” né “per chi”
funziona1.
Nel 1816 Hegel scrisse nella Scienza della logica che quando un fenomeno cresce
molto sul piano quantitativo può produrre trasformazioni qualitative nell’ambiente in
cui si sviluppa. Oggi l’intelligenza artificiale non è solo uno strumento potente, ma una
forza che modifica alla radice i rapporti sociali, culturali ed economici. E proprio perché
“funziona”, i suoi effetti sulla produzione e sul lavoro possono essere dirompenti. Chi non
ricorda Blade Runner, dove la tecnologia supera l’umano? “Più umano dell’umano” era
lo slogan della Tyrell Corporation, l’impresa costruttrice di androidi nel futuro distopico
descritto da Ridley Scott.
U. Galimberti, Heidegger e il nuovo inizio. Il pensiero al tramonto, Feltrinelli Editore, Milano 2020.
Lavoro e disuguaglianze: un divario che rischia di allargarsi
Ogni rivoluzione tecnologica ha sollevato interrogativi profondi sull’occupazione e,
per questa via, sulla distribuzione della ricchezza. L’intelligenza artificiale non fa eccezione.
L’impatto sull’organizzazione del lavoro è sensibile: alcune professioni scompaiono, altre
nascono, il cambiamento non è mai neutrale.
David Ricardo pensava che la scoperta e l’uso di nuove macchine fossero
dannosi per i lavoratori e per l’occupazione. Keynes riteneva che la “disoccupazione
tecnologica” potesse aggravare le disuguaglianze, perché non era convinto che i frutti
del cambiamento tecnologico fossero equamente distribuiti fra i gruppi sociali, con il
rischio di un declino asimmetrico delle opportunità di lavoro e di crescita reddituale;
ma, nella sua visione ottimistica, era “una fase temporanea di aggiustamento”2.
Durante la Rivoluzione Industriale, il progresso e l’aumento della produttività
inizialmente peggiorarono le condizioni di vita dei lavoratori. Solo con l’introduzione
di norme e istituzioni adeguate i benefici si tradussero anche in aumenti salariali. Nel
Novecento, la tecnologia ha posto le condizioni per un benessere diffuso, ma dagli
anni ottanta ha iniziato a sostituire lavoro invece che a integrarlo. Non è azzardato dire
che ben prima degli anni dieci di questo secolo sia stata intrapresa la via del ritorno
a una società a due velocità: pochi lavoratori altamente qualificati, ben retribuiti e in
grado di lavorare con le nuove tecnologie accanto a molti altri con redditi stagnanti e
minori opportunità.
L’intelligenza artificiale rischia di accentuare questa polarizzazione, perché
la direzione che può prendere è di due tipi: sostitutiva della forza lavoro umana o
complementare a essa. Oggi sembra di poter dire che le imprese investono in intelligenza
artificiale per sostituire lavoratori, ridurre i costi e aumentare la produttività, non per
distribuire la ricchezza. Non è certo questo il modo di generare prosperità diffusa, mentre
sono certi l’arricchimento delle grandi corporation e la concentrazione del potere in capo
a esse, che limitano la condivisione dei miglioramenti causati dal progresso della tecnica.
Su questo punto mi limito a ricordare un passo delle recenti Considerazioni Finali del
Governatore della Banca d’Italia: “Rischi insidiosi derivano dalla concentrazione di potere
in poche grandi imprese globali, che guidano l’innovazione tecnologica, controllano enormi
volumi di dati e minacciano la concorrenza. Il valore complessivo delle sette principali
aziende tecnologiche statunitensi supera oggi i 15.000 miliardi di dollari”3.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, fino al 60% dei posti di lavoro nei
paesi sviluppati potrebbe essere toccato dall’intelligenza artificiale. Nei paesi meno
sviluppati la quota è minore, ma comunque rilevante4. L’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico conferma questo doppio volto dell’intelligenza
Le citazioni sono riportate in Come affrontare il cambiamento: sfide per il lavoro, Note del Governatore
della Banca d’Italia Ignazio Visco per l’intervento in occasione delle Giornate del lavoro della CGIL,
Firenze 2015.
Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale anno 2024, Banca d’Italia, Roma, 30 maggio 2025.
M. Cazzaniga, F. Jaumotte, L. Li, G. Melina, A.J. Panton, C. Pizzinelli, E.J. Rockall, M.M. Tavares, Gen-AI:
Artificial Intelligence and the Future of Work, “IMF Staff Discussion Notes”, 14 gennaio 2024.
artificiale: da una parte sostituisce lavoratori, dall’altra può creare nuova occupazione
in settori emergenti, in particolare per chi ha competenze complementari5.
Intelligenza artificiale e produttività: opportunità sì, ma per chi?
Il Fondo Monetario Internazionale stima che l’intelligenza artificiale potrebbe
aumentare la produttività globale tra lo 0,1% e l’1,5% annuo nel prossimo decennio,
con effetti maggiori nei paesi sviluppati, favoriti da infrastrutture digitali avanzate, una
forza lavoro istruita e una regolamentazione efficiente. Nei paesi emergenti la crescita
sarebbe più limitata, circa la metà di quella dei paesi più sviluppati, a causa della carenza
di infrastrutture adeguate6.
Tuttavia, è forse ottimistico pensare che l’applicazione dell’intelligenza artificiale
nelle attività aziendali possa automaticamente aumentare la produttività. L’evidenza
empirica dimostrerebbe che l’adozione dell’intelligenza artificiale nell’attività d’impresa
comporta un incremento significativo dei ricavi solo quando se ne fa un utilizzo ampio
e integrato nei processi aziendali; quando il tasso di adozione è basso non si avrebbero
benefici né aumenti dei ricavi7.
Il vero nodo è come questi aumenti di produttività si distribuiscono. La storia
insegna che sono i lavoratori più qualificati a trarne vantaggio. Durante la Rivoluzione
Industriale gli ingegneri che sapevano gestire le nuove macchine videro lievitare i salari,
mentre i lavoratori meno specializzati persero i loro, addossando la responsabilità del
peggioramento delle loro condizioni di vita proprio all’introduzione delle macchine.
Nella “computer age”, a essere premiati furono i creatori di software, mentre i dattilografi
divennero rapidamente obsoleti. L’intelligenza artificiale sembra seguire lo stesso
sentiero, avvantaggiando coloro che hanno la capacità, la conoscenza e la competenza
per “navigare” in ambienti virtuali complessi e gestire enormi quantità di dati8.
Siamo ancora all’inizio di un’applicazione generalizzata dell’intelligenza artificiale
e probabilmente vi saranno altre radicali trasformazioni che interesseranno il mondo
del lavoro. Ciò che appare certo è che l’utilizzo diffuso dell’intelligenza artificiale
richiederà la riqualificazione delle competenze dei lavoratori. La disponibilità di adeguate
competenze – della tecnica nel senso che intendeva Platone – rischia di costituire uno dei
principali ostacoli al cambiamento: per le imprese è prioritario dotarsi di competenze che
OECD, OECD Employment Outlook 2023: Artificial Intelligence and the Labour Market, luglio 2023.
In un articolo pubblicato su “The Economist” nello scorso novembre si sostiene tuttavia che
l’intelligenza artificiale non abbia ancora prodotto effetti significativi sull’economia americana e si
riportano i risultati di un’indagine condotta dall’America’s census Bureau secondo cui solo il 5-6%
delle imprese utilizza l’intelligenza artificiale per produrre beni e servizi (C. Williams, There will be no
immediate productivity boost from AI, “The Economist”, 20 novembre 2024). Gli imprenditori sarebbero
molto lenti nell’adozione di nuove tecnologie: il trattore, ad esempio, fu inventato all’inizio del
XX secolo, ma fino al 1940 solo il 23% delle fattorie americane ne aveva uno.
Y.S. Lee, T. Kim, S. Choi, W. Kim, When does AI pay off? AI-adoption intensity, complementary investments,
and R&D strategy, “Technovation”, dicembre 2022.
How AI will divide the best from the rest, “The Economist”, 13 febbraio 2025.
consentano di utilizzare i nuovi strumenti offerti dal progresso tecnologico e di rendere la
forza lavoro resiliente in un mercato caratterizzato da esigenze in continuo mutamento.
In Italia il tema assume dimensioni rilevanti a causa dell’ampio mismatch di
competenze tra domanda e offerta di lavoro, della crisi demografica e di un livello medio
di istruzione complessivamente basso.
L’intelligenza artificiale nelle banche: investimenti e trasformazioni
In questo scenario di molte luci e qualche ombra che definisce il contesto in cui
l’intelligenza artificiale viene applicata, cosa sta accadendo nell’industria bancaria?
Nel settore bancario l’adozione dell’intelligenza artificiale è una realtà. Secondo
un’indagine della CIPA, il 92% delle banche italiane ha già investito o prevede investimenti
in intelligenza artificiale entro il 2026, in particolare nella cosiddetta “IA generativa”.
I benefici attesi sono molti: maggiore efficienza, servizi migliori, più innovazione,
governance rafforzata. Ma ci sono anche rischi, come la difficoltà a spiegare come
funzionano gli algoritmi, la qualità dei dati e la dipendenza da pochi grandi fornitori di
tecnologia9.
La Banca Centrale Europea ha segnalato due pericoli principali: l’adozione generalizzata degli stessi modelli di intelligenza artificiale, che può rendere il sistema fragile, e la
concentrazione dei fornitori, che aumenta la dipendenza tecnologica delle banche10.
Non va sottovalutato il rischio che l’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale
finisca per aumentare la concentrazione del mercato dei servizi finanziari. Infatti,
l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle strutture aziendali può richiedere ingenti
investimenti fissi iniziali e comportare rischi economici; in tale quadro, può essere
più facile per le aziende più grandi, con infrastrutture dati consolidate e ampie reti di
terze parti, ottenere le conoscenze tecnologiche e la disponibilità dei dati necessarie.
Di conseguenza, alcune istituzioni finanziarie potrebbero perdere la transizione e non
essere in grado di effettuare gli investimenti necessari, finendo permanentemente
indietro e uscendo dal mercato. Inoltre, la strategia di adozione tecnologica richiede un
delicato compromesso tra la collaborazione con provider esterni (comprese le grandi
aziende tecnologiche rispetto a start-up più piccole) e la creazione di competenze
interne in materia di intelligenza artificiale11. I numeri e le analisi sono rivelatori di come
Nuove tecnologie nei processi aziendali e di business delle banche: Intelligenza Artificiale generativa e
Distributed Ledger Technology, 13° Workshop CIPA – Innovazione IT e banche, Roma 19 aprile 2025.
Sul punto si veda G. Leitner, J. Singh, A. van der Kraaij, B. Zsámboki, The rise of artificial intelligence:
benefits and risks for financial stability, in BCE “Financial Stability Review”, maggio 2024.
Sulla necessità di investire in tecnologia, si veda F. Panetta, Il futuro dell’economia europea tra rischi
geopolitici e frammentazione globale, Lectio magistralis, in occasione del conferimento della laurea
honoris causa in Scienze giuridiche banca e finanza presso l’Università degli Studi di Roma Tre, 23 aprile
2024; in particolare: “È inoltre necessario espandere gli investimenti pubblici e privati nelle tecnologie
avanzate, portandoli ai livelli dei paesi più attivi e valorizzando i centri europei all’avanguardia in comparti
quali l’intelligenza artificiale, la robotica, le infrastrutture digitali e di comunicazione, l’esplorazione
spaziale e le biotecnologie”.
la tecnologia stia assumendo un ruolo predominante nel guidare la trasformazione del
sistema finanziario, ridefinendo i modelli di business e le strategie aziendali e favorendo
l’ingresso di nuovi soggetti nel mercato. Oggi possiamo affermare che le soluzioni di
intelligenza artificiale sono funzionali a più processi: dall’assistenza alla clientela alla
gestione degli investimenti, fino a parte delle attività di valutazione del rischio creditizio.
Non sorprende quindi che l’industria bancaria investa cifre rilevanti.
L’intelligenza artificiale e le sue prospettive di utilizzo sempre più pervasivo possono
divenire per l’industria finanziaria una sorta di spartiacque storico, coinvolgendo la
funzione strategica e quella di gestione, le attività di business e le risorse umane, fino alla
gestione dei rischi e ai controlli interni.
La Banca d’Italia segue con attenzione l’evoluzione del mercato, accompagnando
e, ove possibile, anticipando gli effetti dei cambiamenti. L’obiettivo è garantire, senza
soffocarla, che l’innovazione non comprometta la stabilità del sistema finanziario; a tal
fine, l’azione della Vigilanza è volta a comprendere e monitorare le soluzioni tecnologiche
promuovendo l’adozione di presidi di controllo adeguati da parte degli intermediari12.
Lavoro bancario e intelligenza artificiale: tra riduzioni e nuove opportunità
L’intelligenza artificiale potrebbe accelerare la riduzione dell’occupazione nel
settore bancario13, soprattutto in aree come la gestione del risparmio. Alcuni ruoli,
come analisti e promotori, potrebbero diventare obsoleti. Tuttavia, può anche rendere
i servizi finanziari più accessibili. I “robo-advisor”, per esempio, permettono di ottenere
consulenze personalizzate anche con risorse limitate. È una forma di democratizzazione
della finanza – secondo l’espressione coniata da Robert Schiller, premio Nobel per
l’economia nel 2013 – ma va gestita con attenzione, perché a fronte delle opportunità vi
sono rischi, sui quali da più parti si richiama l’attenzione, che riguardano la governance