
Spett.li Redazioni,
si trasmette di seguito nota del Coordinatore del Comitato per il No e l’Astensione Consapevole ai Referendum dell’8 e 9 giugno 2025, relativa alla disinformazione e alla applicazione delle norme sulla Par condicio
Con preghiera di pubblicazione.
Cordiali saluti
Referendum: disinformazione, par condicio e il silenzio degli onesti
di Claudio Armeni – Coordinatore Nazionale del Comitato per il NO e l’Astensione Consapevole
Segretario Generale Conf.SELP
Scrivo con amarezza e indignazione dopo aver partecipato, come ospite e intervistato, a numerosi programmi televisivi e radiofonici nazionali e locali sul tema dei Referendum in programma l’8 e 9 giugno. Un’esperienza che, invece di alimentare un sano confronto democratico, ha messo a nudo le profonde crepe di un sistema comunicativo ridotto ormai a una vetrina di slogan, frasi a effetto e verità piegate alle convenienze di chi le pronuncia.
Le modalità con cui vengono raccontati e spiegati i quesiti referendari sono, nella maggior parte dei casi, inadeguate, fuorvianti, quando non apertamente manipolatorie.
I tempi imposti dalla par condicio – pur formalmente rispettati – risultano insufficienti per fornire una reale informazione. Il confronto diventa parodia: la complessità viene ridotta a battute, e la verità viene sacrificata sull’altare della semplificazione.
I quesiti, di natura tecnica e articolata, vengono banalizzati. Il cittadino non è trattato come un soggetto da informare, ma come un consumatore da persuadere. In molti casi – non tutti, per fortuna – alcuni conduttori favoriscono una parte, consapevolmente o meno.
Si concede prima la parola alla parte opposta, poi a me, e infine si torna al primo interlocutore per commentare le mie parole, senza garantirmi il diritto di replica.
Un trucco sottile, ma efficace, per alterare la percezione del dibattito.
Abbiamo dichiarato apertamente la nostra posizione a favore dell’astensione consapevole, ma questa voce viene sistematicamente ignorata o distorta. Nonostante lo ribadiamo in ogni sede, i media tendono a escluderla dal racconto, orientando così l’opinione pubblica in modo parziale e scorretto.
Si insiste ossessivamente sul “diritto democratico al voto”, evocando una moralità di facciata e costruendo un senso di colpa contro chi esprime dissenso. Ma si tace su alcuni punti fondamentali:
- L’abolizione delle tutele crescenti non garantisce il reintegro per tutti.
- Le mensilità risarcitorie passano da 36 a 24, peggiorando le condizioni dei lavoratori.
- La reintroduzione della causale rischia di alimentare il lavoro nero, senza risolvere il precariato.
- Servono incentivi fiscali e contributivi, non formalismi, per favorire assunzioni stabili.
- I contratti collettivi sono frutto della contrattazione sindacale, non decisioni del governo.
Sul fronte della sicurezza, si confonde la responsabilità con la colpa. Spostare gli obblighi sul committente non migliora la sicurezza, ma genera solo ingiustizie. È assurdo pensare che un piccolo imprenditore abbia gli strumenti per valutare il rischio tecnico di un appalto. La responsabilità deve restare a chi ha i mezzi e le competenze per garantirla.
Un altro punto critico è l’eliminazione del limite alle mensilità risarcitorie per le aziende sotto i 16 dipendenti. Demandare tutto al giudice aumenterà i contenziosi e metterà in difficoltà le microimprese, già in difficoltà. In nome della giustizia, rischiamo di creare nuove ingiustizie.
E tutto questo viene taciuto. Il cittadino è chiamato a decidere, ma non è messo nelle condizioni di comprendere. Voterà – o non voterà – da tifoso, sulla base di verità parziali o falsità, non con piena consapevolezza.
Un referendum dovrebbe essere uno strumento di democrazia, non una trappola propagandistica. Sui temi del lavoro servono confronto, approfondimento e dialogo tra le parti sociali, non plebisciti su questioni che non possono essere compresse in uno slogan.
Anche sul quesito relativo alla cittadinanza, più “referendario” per natura, regnano confusione e disinformazione. Non si spiega, ad esempio, che ottenere la cittadinanza apre al ricongiungimento familiare illimitato. Né si dice che i 5 anni richiesti oggi si trasformano, nella pratica, in 8 o 9 anni, a causa delle lentezze burocratiche. Basterebbe mantenere i 10 anni attuali e rendere più efficienti le procedure.
La par condicio è ormai diventata un alibi morale. I messaggi autogestiti sono uno strumento utile solo alle emittenti, che incassano fondi pubblici, peraltro pochi e concessi con un meccanismo che sembra una lotteria, mentre i comitati – come il nostro – devono autofinanziarsi.
Paradossalmente, se si raggiunge il quorum, i promotori incassano un premio economico, a fronte di una spesa pubblica di circa 300 milioni di euro. Possibile che non esista in Italia un modo più intelligente e meno costoso per affrontare questi temi?
Le parti sociali tacciono o si espongono solo quando conviene. Il referendum è stato trasformato in uno spot elettorale, una sceneggiata in cui il cittadino è solo una comparsa inconsapevole.
Non ci stanno permettendo di spiegare. E l’ignoranza diffusa sta diventando la regola. Il cittadino, privato degli strumenti per comprendere, è trasformato in spettatore passivo. Ma dietro le quinte, i veri padroni della scena sanno benissimo come usarlo.
Meno si sa, meglio è.
Ed è proprio questo il vero dramma democratico
