
(AGENPARL) – Wed 07 May 2025 La “rete” come “laboratorio” per intrecciare storie e sviluppare
iniziative fatte di lavoro, cultura, sostenibilità e innovazione sociale
ReSet the trend – #ReFashionNow(make fast fashion out of fashion)
8 maggio ore 11,00
Palazzo Montecitorio – Sala Stampa Camera dei Deputati
Il giorno 25 gennaio si è costituita, a Termoli, la prima “rete” nazionale tra le Sartorie Sociali.
Tre sono gli obiettivi della “rete” illustrati nell’incontro per la sua costituzione:
a) lo sviluppo di nuovi “prototipi” di iniziative di “Economia Sociale” e la sperimentazione di strategie commerciali e di marketing con le quali comunicare, all’interno di un indirizzo teso a valorizzare l’economia di prossimità, il “saper fare” sostenibile e inclusivo che caratterizza le Sartorie Sociali;
b) la valorizzazione delle Sartorie Sociali come “luogo di formazione, lavoro e inclusione sociale” capace di favorire il trasferimento generazionale di quelle competenze creative e manifatturiere che hanno contribuito al successo del “made in Italy” e, nel contempo, dare nuovo valore al capitale umano marginalizzato dall’attuale crisi;
c) il “farsi portavoce” di quel necessario cambiamento nel settore moda teso a renderlo maggiormente sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale.
La costituzione della “rete” si inserisce all’interno di una profonda crisi che investe il comparto moda. Una crisi che colpisce, come segnalato in diversi studi (CNA e Confartigianato), le piccole e medie imprese del settore che costituiscono il 98,1% delle aziende del settore e che danno lavoro al 65,4% degli occupati. Un crisi che ha causato la chiusura di tante piccole imprese (tra il 2019 e il 2024 il settore ha perso più di 15 mila aziende) e un significativo incremento delle richieste di Cassa Integrazione nel settore moda italiano.
Alla crisi del manifatturiero si unisce quello del “fashion retail”. Come evidenzia uno studio Confesercenti – Ipsos, la moda è il settore che ha visto il maggior numero di chiusure di negozi dal 2019. Diverse le cause: l’inflazione, la perdita del potere di acquisto, la progressiva crescita degli acquisti on line figurano sicuramente tra le principali.
Un processo, questo, che nel contribuire alla “desertificazione commerciale” riduce le entrate fiscali del nostro Paese (le piattaforme on-line spesso pagano le imposte in altri Paesi).
In questo scenario, le Sartorie sociali possono svolgere un ruolo positivo perché il loro modello organizzativo sostenibile e inclusivo, si muove in sintonia con i cambiamenti in atto nel settore e valorizza l’importante ruolo svolto dall’Economia sociale (tratteggiato anche dal Consiglio dell’Unione Europea) all’interno di processi tesi a favorire uno sviluppo economico e industriale sostenibile ed a stimolare, in piena armonia con le indicazioni contenute nell’Agenda 2030, una partecipazione attiva dei cittadini.“Slow fashion”: la moda come “driver” del cambiamento
L’espressione “Slow fashion” venne coniata, nel 2007, da Kate Fletcher (membro del Centre for Sustainable Fashion) per indicare modelli di produzioni e consumo sostenibili, da un punto di vista ambientale e sociale. Il contrario del modello “fast fashion”, prevalentemente utilizzato dalle aziende del settore, fondato sulla continua e rapida produzione di altissimi volumi di abbigliamento di “bassa qualità” venduti a “prezzi bassi”. Un modello, questo, che ha alimentato intollerabili forme di sfruttamento del lavoro (è ancora vivo il ricordo della tragedia del “Rana Plaza” con i suoi 1138 morti) e prodotto una enorme quantità di rifiuti che hanno inquinato l’ambiente (le immagini del deserto di Atacama – Cile – sono drammaticamente eloquenti).
Per questi motivi, la Commissione Europea ha lanciato, nel 2023, la campagna “ReSet the trend – make fast fashion out of fashion” proprio per sensibilizzare i cittadini europei sui danni ambientali e sociali del “fast fashion”.
Ma il termine “Slow” non si limita ad indicare modelli di produzione e consumo sostenibili. Spesso tende a delineare, nelle diverse declinazioni settoriali (alimentazione, turismo ecc.), una visione socio-economica incentrata su: un utilizzo “sostenibile” delle risorse del territorio teso a soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura; una riscoperta del senso delle cose, dei sentimenti e delle “relazioni”, di quelle forme di partecipazione e cittadinanza attiva che aggiungono qualità alla nostra vita e che sono alla base del “fare comunità”.
In questo senso, la rete delle Sartorie Sociali può rappresentare un importante “laboratorio” per intrecciare storie e sviluppare nuove iniziative “slow fashion” chiaramente riconducibili a quell’Economia sociale considerata, in ambito europeo, un modello di crescita sostenibile.
Attraverso le loro bellissime storie, infatti, le Sartorie sociali ci raccontano come: realizzano i loro “capi – durevoli/slow fashion” (il contrario dell’usa e getta del “fast fashion”); (ri)utilizzano tessuti naturali coniugando l’artigianalità manifatturiera con la sostenibilità e l’inclusione sociale; intrecciano i saperi manifatturieri con la cultura e la memoria letteraria dei luoghi (ricordiamo le diverse iniziative sul tema promosse dal Parco Letterario e del Paesaggio Francesco Jovine e dall’Associazione Artemusa ETS); riscoprono e valorizzano “luoghi” e “saperi” inutilizzati per trasformarli in nuove opportunità di sviluppo locale.
L’incontro che si terrà giovedì 8 maggio a Roma, presso la Sala stampa della Camera dei Deputati, riveste una particolare importanza.
Nel corso dell’incontro verrà illustrato e sottoscritto il manifesto/intesa “Slow fashion Italy” e costituito il “Gruppo di collaborative planning” che avrà il compito di:
* coordinare le prime forme di cooperazione produttiva e commerciale, avviate tra le Sartorie Sociali e il partenariato scientifico, imprenditoriale e sociale coinvolto nella “rete” stessa, attraverso le quali creare nuove opportunità di lavoro inclusivo e sostenibile e, nel contempo, favorire una evoluzione del modello organizzativo delle stesse Sartorie Sociali;
* valorizzare le “Sartorie Sociali” come “luogo” di “formazione, lavoro e inclusione sociale” capace di favorire il trasferimento generazionale di quelle competenze manifatturiere che hanno contribuito al successo del “made in Italy” e dare, nel contempo, nuovo valore al capitale umano marginalizzato dall’attuale crisi;
* delineare e sperimentare, attraverso un “progetto pilota”, un modello collaborativo tra le Sartorie Sociali e le imprese della distribuzione al dettaglio di articoli di abbigliamento che valorizzi il ruolo di queste ultime come canale per la promozione di linee prodotto “Slow fashion” (realizzate dalle stesse Sartorie Sociali) e come “luogo” di divulgazione e diffusione di modelli di produzione e consumo responsabili.