
(AGENPARL) – Thu 10 April 2025 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JEAN RICHARD DE LA TOUR
presentate il 10 aprile 2025 1
Cause riunite C-758/24 [Alace] e C-759/24 [Canpelli] i
LC (C-758/24)
CP (C-759/24)
contro
Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione
Internazionale di Roma – sezione procedure alla frontiera II
[domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale ordinario di Roma
(Italia)]
«Rinvio pregiudiziale – Protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE –
Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di
protezione internazionale – Articoli 36 e 37 – Portata della nozione di “paese di
origine sicuro” e del concetto ad esso associato – Presunzione di sicurezza del
paese di origine – Modalità di designazione – Designazione, da parte di una legge
nazionale, di un paese terzo che può non garantire una protezione sufficiente
contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi con riferimento a determinate
categorie di persone – Margine di discrezionalità degli Stati membri – Possibilità
di prevedere eccezioni per categorie limitate e chiaramente identificabili di
persone – Articolo 46, paragrafi 1 e 3 – Diritto a un ricorso giurisdizionale
effettivo – Divulgazione delle fonti di informazione – Potere del giudice nazionale
di valutare la legittimità dell’atto di designazione»
Lingua originale: il francese.
I nomi delle presenti cause sono nomi fittizi. Non corrispondono ai nomi reali di nessuna delle parti dei procedimenti.
ALACE E CANPELLI
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
Introduzione
Il concetto di paese di origine sicuro, il cui principio e le cui modalità di
attuazione sono definite agli articoli 36 e 37 e all’allegato I alla direttiva
2013/32/UE 2, consente agli Stati membri di prevedere un regime particolare di
esame delle domande di protezione internazionale in forza del quale essi possono
accelerare la procedura d’esame o svolgerla alla frontiera o in zone di transito,
poiché si presume che i richiedenti provenienti da un siffatto paese possano ivi
beneficiare di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o
violazioni gravi dei loro diritti fondamentali.
L’introduzione del concetto di paese di origine sicuro nel diritto
dell’Unione ha sollevato molti interrogativi, tra cui quelli relativi alla legittimità e
all’obiettività della valutazione operata dagli Stati membri in tale contesto 3. Già
nel 1992, allorquando detto concetto è stato introdotto nel diritto internazionale
dei rifugiati, Guy Serle Goodwin-Gill si era interrogato in tal senso in un
contributo fondamentale: «Who then is to say that countries are safe? And by
whose standards? Secret men in secret rooms reading secret memos? No» 4.
Le presenti cause sollevano giustamente la questione della portata del
potere e delle competenze degli Stati membri nell’ambito della designazione dei
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure
comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale
(GU 2013, L 180, pag. 60).
V., in particolare, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Note
générale sur la notion de pays et sur le statut de réfugié (Nota generale sulla nozione di paese e
sullo status di rifugiato), del 26 luglio 1991, e risoluzione 1471 (2005), «Procédures d’asile
accélérées dans les États membres du Conseil de l’Europe» (Procedure di asilo accelerate negli
Stati membri del Consiglio d’Europa), adottata il 5 ottobre 2005 dall’Assemblea parlamentare
del Consiglio d’Europa, punto 8.2, sub 3). Per quanto attiene alla dottrina v., segnatamente,
Labayle, H., «Le droit d’asile en France: normalisation ou neutralisation», Revue française de
droit administratif, Dalloz, Parigi, n. 2, 1997, pagg. da 242 a 280; Martenson, H., e McCarthy,
J., «“In General, No Serious Risk of Persecution”: Safe Country of Origin Practices in Nine
European States», Journal of Refugee Studies, vol. 11, Oxford University Press, Oxford, n. 3,
1998, pagg. da 304 a 325; Costello, C., «The Asylum Procedures Directive and the Proliferation
of Safe Country Practices: Deterrence, Deflection and the Dismantling of International
Protection?», European Journal of Migration and Law, vol. 7, Wolters Kluwer, L’Aia, n. 1,
2005, pagg. da 35 a 70; John-Hopkins, M., «The Emperor’s New Safe Country Concepts: A UK
Perspective on Sacrificing Fairness on the Altar of Efficiency», International Journal of
Refugee Law, vol. 21, Oxford University Press, Oxford, n. 2, 2009, pagg. da 218 a 255; TeitgenColly, C., «Le concept de pays sûr», in Broyelle, C., e Julien-Laferrière, F., Mélanges François
Julien-Laferrière, Bruylant, Bruxelles, 2011, pagg. da 525 a 576; Hunt, M., «The Safe Country
of Origin Concept in European Asylum Law: Past, Present and Future», International Journal of
Refugee Law, vol. 26, Oxford University Press, Oxford, n. 4, 2014, pagg. da 500 a 535; e
Costello, C., «Safe Country? Says Who?», International Journal of Refugee Law, vol. 28,
Oxford University Press, Oxford, n. 4, 2016, pagg. da 601 a 622.
Traduzione libera: «Chi può dire che un paese è sicuro? E in base a quali criteri? Uomini segreti
in segrete stanze che leggono rapporti segreti? No». V. Goodwin-Gill, G.S., «Safe Country,
Says Who?», International Journal of Refugee Law, vol. 4, Oxford University Press, Oxford,
n. 2, 1992, pagg. da 248 a 250, in particolare pag. 249.
ALACE E CANPELLI
paesi di origine sicuri e si inseriscono nel solco della sentenza del 4 ottobre 2024,
Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky 5. Le
questioni pregiudiziali presentate dal Tribunale ordinario di Roma (Italia) sono
poste qui in un contesto particolare in cui i richiedenti protezione internazionale
interessati sono due cittadini di un paese terzo designato come paese di origine
sicuro dalla normativa italiana, vale a dire il Bangladesh, i quali, di conseguenza,
sono stati condotti nel centro di permanenza di Gjadër (Albania) dove la loro
domanda è stata esaminata nell’ambito di una procedura accelerata «alla
frontiera» e poi respinta come manifestamente infondata 6.
Le questioni dalla prima alla terza concernono l’applicazione del concetto
di paese di origine sicuro e mirano a chiarire gli obblighi incombenti agli Stati
membri in tale contesto, per garantire l’esistenza di un controllo giurisdizionale
effettivo ai sensi dell’articolo 46 della direttiva 2013/32 e dell’articolo 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea 7. Infatti, il giudice del rinvio
chiede alla Corte di precisare in che misura uno Stato membro possa procedere,
mediante atto avente forza di legge, alla designazione di un paese terzo come
paese di origine sicuro senza che, a causa della mancata divulgazione delle fonti di
informazione su cui detta designazione si fonda, il richiedente proveniente dal
paese interessato e il giudice nazionale investito del ricorso avverso la decisione di
rigetto adottata nei confronti di detto richiedente siano messi in condizione,
rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta
designazione nell’ambito di un esame completo ed ex nunc della domanda di
protezione internazionale.
La quarta questione pregiudiziale verte, dal canto suo, sulla nozione stessa
di «paese di origine sicuro» ed è diretta a chiarire i termini dell’allegato I alla
direttiva 2013/32. Infatti, posto che le fonti di informazione disponibili sulla
situazione generale del Bangladesh danno atto dell’esistenza di un rischio di
persecuzioni o violazioni gravi con riferimento a determinate categorie di persone
che vivono in tale paese, il giudice del rinvio chiede alla Corte se uno Stato
membro possa designare un paese terzo come paese di origine sicuro se una parte
della sua popolazione 8 può non beneficiare di una protezione sufficiente in detto
paese.
C-406/22; in prosieguo: la «sentenza CV», EU:C:2024:841.
Decisione adottata in esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il
Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in
materia migratoria nonché norme di coordinamento con l’ordinamento interno, siglato a Roma il
6 novembre 2023 e ratificato con legge 21 febbraio 2024, n. 14 (GURI n. 44, del 22 febbraio
2024, pag. 1).
In prosieguo: la «Carta».
Con il termine «popolazione» indico non soltanto i cittadini del paese terzo di cui trattasi ma
anche gli apolidi che soggiornano abitualmente in quel paese, in conformità all’articolo 36,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32.
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Contesto normativo
Diritto dell’Unione
I considerando 18, 40 e 42 della direttiva 2013/32 così recitano:
«(18) È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione
internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito
alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un
esame adeguato e completo.
(…)
(40) Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di
protezione internazionale è la sicurezza del richiedente nel paese di origine.
Se un paese terzo può essere considerato paese di origine sicuro, gli Stati
membri dovrebbero poterlo designare paese sicuro e presumerne la sicurezza
per uno specifico richiedente, a meno che quest’ultimo non adduca
controindicazioni.
(…)
(42) La designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro ai fini della
presente direttiva non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i
cittadini di tale paese. Per la sua stessa natura, la valutazione alla base della
designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e
politica generale in tale paese e se in tale paese i responsabili di
persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamento disumano o
degradante siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti colpevoli.
Per questo motivo è importante che, quando un richiedente dimostra che vi
sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione
particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al
suo caso».
L’articolo 31 di detta direttiva, intitolato «Procedura di esame», dispone, al
suo paragrafo 8, lettera b), quanto segue:
«Gli Stati membri possono prevedere che una procedura d’esame, nel rispetto dei
principi fondamentali e delle garanzie del capo II, sia accelerata e/o svolta alla
frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43 se:
(…)
il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente
direttiva; (…)».
Ai sensi dell’articolo 36 di detta direttiva, dal titolo «Concetto di paese di
origine sicuro»:
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«1. Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma della presente
direttiva può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato
richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se:
questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero
è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese,
e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di
origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per
quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a
norma della direttiva 2011/95/UE [ 9].
Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità
inerenti all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro».
L’articolo 37 della direttiva 2013/32, intitolato «Designazione nazionale
dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri», è formulato come segue:
«1. Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa
che consenta, a norma dell’allegato I, di designare a livello nazionale paesi di
origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.
Gli Stati membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi
designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo.
La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a
norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese
in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’[Agenzia
dell’Unione europea per l’asilo (EUAA) 10], dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa
e da altre organizzazioni internazionali competenti.
Gli Stati membri notificano alla Commissione [europea] i paesi designati
quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo».
L’articolo 46 di detta direttiva, relativo al «[d]iritto a un ricorso effettivo»,
prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso
effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme
sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione
internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011,
L 337, pag. 9).
L’EUAA ha sostituito l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO).
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la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la
decisione:
di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o
allo status di protezione sussidiaria;
(…)
presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro a
norma dell’articolo 43, paragrafo 1;
(…)
Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso
effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto
compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi
della direttiva [2011/95], quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi
al giudice di primo grado.
(…)».
L’allegato I alla direttiva 2013/32, intitolato «Designazione dei paesi di
origine sicuri ai fini dell’articolo 37, paragrafo 1», è formulato come segue:
«Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status
giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e
della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente
e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva
[2011/95], né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante,
né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato
interno o internazionale.
Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene
offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in
cui sono applicate;
il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [ 11] e/o nel
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici [ 12] e/o nella
Convenzione [contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o
Firmata a Roma il 4 novembre 1950; in prosieguo: la «CEDU».
Adottato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrato in vigore
il 23 marzo 1976.
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degradanti 13], in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma
dell’articolo 15, paragrafo 2, [CEDU];
il rispetto del principio di “non-refoulement” conformemente alla
convenzione [relativa allo status dei rifugiati 14];
un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà».
Diritto italiano
Decreto legislativo n. 25/2008
L’articolo 2-bis, commi da 1 a 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008,
n. 25 – Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le
procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di rifugiato [GU 2005, L 326, pag. 13] 15, come modificato dal
decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158 – Disposizioni urgenti in materia di
procedure per il riconoscimento della protezione internazionale 16 17, prevede
quanto segue:
«1. In applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea
e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni
internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti:
Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio,
Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco,
Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato
Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico,
Adottata a New York dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984, Recueil
des traités des Nations unies, vol. 1465, pag. 85, n. 24841 (1987).
Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150,
n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954 e completata dal protocollo relativo allo
status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.
GURI n. 40, del 16 febbraio 2008, pag. 11.
GURI n. 249, del 23 ottobre 2024, pag. 1; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 25/2008».
In prosieguo: il «decreto-legge n. 158/2024». Detto decreto-legge è stato adottato alla luce, in
particolare, del punto 2 del dispositivo della sentenza CV. Tale adozione è avvenuta prendendo
in considerazione, da un lato, «la straordinaria necessità ed urgenza di designare i Paesi di
origine sicuri, tenendo conto [di detta sentenza], escludendo i Paesi che non soddisfano le
condizioni per determinate parti del loro territorio», e, dall’altro, il regolamento (UE) 2024/1348
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura
comune di protezione internazionale dell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (GU L,
2024/1348), in particolare l’articolo 61, paragrafo 2, del medesimo, «che, pur trovando
applicazione a decorrere dal 12 giugno 2026, ha indicato l’orientamento condiviso da parte degli
Stati membri».
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dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della
situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non
sussistono atti di persecuzione (…), né tortura o altre forme di pena o trattamento
inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni
di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di
origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di categorie di persone.
Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della
misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti
mediante:
le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in
cui sono applicate;
il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella [CEDU], nel Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici (…), e nella [convenzione
contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti], in
particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15,
paragrafo 2, della [CEDU];
il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della [c]onvenzione [relativa
allo status dei rifugiati];
un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.
La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente
all’[Unione] è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla
Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie
elaborate dal centro di documentazione (…), nonché su altre fonti di informazione,
comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri (…), dall’[EUAA],
dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali
competenti.
4-bis L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto
avente forza di legge ed è notificato alla Commissione (…). Ai fini
dell’aggiornamento dell’elenco di cui al comma 1, il Consiglio dei Ministri
delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale,
compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle
relazioni internazionali e tenuto conto delle informazioni di cui al comma 4,
riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco vigente e di quelli dei quali
intende promuovere l’inclusione. Il Governo trasmette la relazione alle competenti
Commissioni parlamentari».
Ai sensi dell’articolo 9, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 25/2008:
«La decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente (…) è
motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la
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sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine
sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso».
L’articolo 28-ter, comma 1, lettera b), di detto decreto legislativo così
dispone:
«La domanda è considerata manifestamente infondata (…) quando ricorra una
delle seguenti ipotesi:
(…)
il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro ai sensi
dell’articolo 2-bis».
Decreto interministeriale
L’articolo 1, comma 2, del decreto 7 maggio 2024 – Aggiornamento della
lista dei Paesi di origine sicuri prevista dall’articolo 2-bis del decreto legislativo
28 gennaio 2008, n. 25 18, prevede quanto segue:
«Nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale, la situazione
particolare del richiedente è valutata alla luce delle informazioni contenute nelle
schede sul Paese di origine indicate nell’istruttoria di cui in premessa».
Fatti dei procedimenti principali e questioni pregiudiziali
I ricorrenti nei procedimenti principali sono cittadini del Bangladesh. Dopo
essere stati soccorsi in mare dalle autorità italiane, essi sono stati condotti, in
applicazione dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del Protocollo di accordo citato alla
nota 6 delle presenti conclusioni, nel centro di permanenza di Gjadër dove, il 16
ottobre 2024, ciascuno di loro ha presentato domanda di protezione internazionale.
Conformemente alle pertinenti disposizioni nazionali, tali domande sono
state esaminate dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della
Protezione Internazionale di Roma – sezione procedure alla frontiera II,
nell’ambito di una procedura accelerata alla frontiera. Con decisioni del 17 ottobre
2024, quest’ultima ha respinto le loro domande in quanto manifestamente
infondate, non essendo essi riusciti a confutare la presunzione di sicurezza del loro
paese di origine.
Il 25 ottobre 2024 ciascuno dei ricorrenti ha presentato ricorso avverso
dette decisioni dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, il quale ha deciso di
sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
GURI n. 105, del 7 maggio 2024, pag. 23; in prosieguo: il «decreto interministeriale».
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«1) Se il diritto dell’Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37 e 38 della
direttiva [2013/32], letti anche in combinazione con i suoi considerando 42,
46 e 48, ed interpretati alla luce dell’articolo 47 della [Carta] (e degli articoli
6 e 13 della CEDU), osti a che un legislatore nazionale, competente a
consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri ed a disciplinare
i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a
designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come
Paese di origine sicuro;
se comunque il diritto dell’Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38
della medesima direttiva, letti anche in combinazione con i suoi
considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell’articolo 47 della
[Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), osti quanto meno a che il
legislatore designi uno Stato terzo come Paese di origine sicuro senza
rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale
designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, ed al
giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la
pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto,
e di trarne le proprie valutazioni sulla sussistenza delle condizioni sostanziali
di siffatta designazione, enunciate all’allegato I [a detta] direttiva;
se il diritto dell’Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della
medesima direttiva, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42,
46 e 48, ed interpretati alla luce dell’articolo 47 della [Carta] (e degli articoli
6 e 13 della CEDU), debba essere interpretato nel senso che, nel corso di una
procedura accelerata di frontiera [per persone provenienti] da Paese di
origine designato sicuro, il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni
sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti di cui al
paragrafo 3 dell’articolo 37 [di detta] direttiva, utili ad accertare la
sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate
all’allegato I della [medesima] direttiva;
se il diritto dell’Unione, ed in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della
medesima direttiva, nonché il suo allegato I, letti anche in combinazione con
i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell’articolo 47 della
[Carta] (e degli articoli 6 e 13 della CEDU), osti a che un Paese terzo sia
definito “di origine sicuro” qualora vi siano, in tale Paese, categorie di
persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta
designazione, enunciate all’allegato I [a detta] direttiva».
Con decisione del presidente della Corte del 21 novembre 2024, le cause
C-758/24 e C-759/24 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del
procedimento, nonché della sentenza.
Il giudice del rinvio ha chiesto l’applicazione del procedimento
pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura
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della Corte. Con decisione del 19 novembre 2024, la Corte ha deciso di respingere
tale domanda.
Il giudice del rinvio ha chiesto altresì, in via subordinata, di trattare le
presenti cause secondo il procedimento pregiudiziale accelerato di cui all’articolo
105 del regolamento di procedura. Il 21 novembre 2024 il presidente della Corte
ha accolto tale domanda.
LC (causa C-758/24) e CP (causa C-759/24), i governi italiano, bulgaro,
ceco, tedesco, ellenico, francese, cipriota, lettone, lituano, ungherese, maltese, dei
Paesi Bassi, austriaco, polacco, slovacco, finlandese e svedese, nonché la
Commissione hanno depositato osservazioni scritte e/o orali. All’udienza, tenutasi
il 25 febbraio 2025, essi hanno potuto rispondere ai quesiti loro rivolti dalla Corte
ai fini di una risposta orale.
Analisi
Sulla ricevibilità
Nell’ambito delle sue osservazioni, il governo italiano eccepisce
l’irricevibilità della prima, seconda e quarta questione pregiudiziale.
In primo luogo, detto governo sostiene che il giudice del rinvio non precisa
la norma del diritto dell’Unione che disciplinerebbe le modalità di designazione di
paesi terzi come paesi di origine sicuri e osterebbe a una siffatta designazione
mediante atto legislativo.
Orbene, si deve constatare che il giudice del rinvio illustra, in maniera
esaustiva, ai punti da 17 a 28 della sua domanda, le disposizioni pertinenti del
diritto internazionale, del diritto dell’Unione e del diritto italiano. Il decreto-legge
n. 158/2024, cui esso si riferisce, richiama peraltro espressamente nei suoi
considerando sia la direttiva 2013/32 che il regolamento 2024/1348 e la sentenza
CV, cosicché il quadro giuridico è chiaramente fissato.
In secondo luogo, il governo italiano sostiene che l’interpretazione richiesta
relativa alle modalità di tale designazione è irrilevante ai fini della definizione del
procedimento principale, nella misura in cui essa non ha alcun impatto concreto
sulla situazione specifica dei ricorrenti e sull’esito dei loro ricorsi 19. A tal
riguardo, esso sottolinea che il Bangladesh era già stato designato come paese di
origine sicuro dal decreto interministeriale. Il decreto-legge n. 158/2024 si sarebbe
limitato a escludere dall’elenco dei paesi di origine sicuri quelli per i quali
esistevano eccezioni territoriali in applicazione della sentenza CV e le modifiche
Il governo ellenico ha eccepito altresì l’irricevibilità della terza questione in quanto, qualora il
giudice del rinvio intenda, con la sua questione, rimettere in discussione in termini generali, e
non nell’ambito della specifica situazione del richiedente, l’inserimento del paese terzo
nell’elenco dei paesi di origine sicuri, detta questione avrebbe carattere ipotetico.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
da esso introdotte con riferimento alla procedura di adozione dell’elenco dei paesi
di origine sicuri non inciderebbe sulla procedura di valutazione e revisione delle
condizioni di sicurezza di ciascun paese inserito in detto elenco.
Orbene, le questioni pregiudiziali non sono sollevate sotto questo profilo.
Come sottolinea il giudice del rinvio, le modifiche introdotte dal decreto-legge
n. 158/2024 hanno chiaramente inciso sulle possibilità e sulle modalità di
controllo giurisdizionale di detta designazione, nella misura in cui detto
decreto-legge ha comportato l’elevazione a rango di norma legislativa della
designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri, senza che il legislatore
italiano chiarisca il metodo di valutazione e i criteri di giudizio adoperati in
concreto, nonché le fonti dalle quali ha tratto le pertinenti informazioni sulla
situazione generale dei paesi interessati.
In terzo luogo, il governo italiano sostiene che la quarta questione è astratta
e ipotetica poiché il giudice del rinvio non avrebbe operato alcuna attività
istruttoria per accertare che il Bangladesh non sia un paese di origine sicuro per
alcune categorie di persone e che i richiedenti apparterrebbero a una di dette
categorie.
Orbene, nella misura in cui la designazione di un paese terzo come paese di
origine sicuro comporta conseguenze procedurali importanti quanto alle modalità
di trattamento delle domande di protezione internazionale presentate dai ricorrenti
provenienti da detto paese, una questione siffatta non è né astratta né ipotetica
nell’ambito del controllo di legittimità di tale designazione.
Ritengo che non sussista, pertanto, alcun ostacolo alla ricevibilità delle
questioni pregiudiziali.
Nel merito
In ognuna delle questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio si richiama agli
articoli 36, 37 e 38 della direttiva 2013/32. Orbene, benché gli articoli 36 e 37 di
detta direttiva definiscano effettivamente il principio e le modalità di attuazione
del concetto di paese di origine sicuro, per contro, l’articolo 38 della medesima
precisa le condizioni di applicazione di un altro concetto giuridico, vale a dire
quello di paese terzo sicuro. Tenuto conto del fatto che i procedimenti principali
non riguardano un «paese terzo sicuro» e nella misura in cui detto concetto è
disciplinato da norme diverse, esaminerò tali questioni alla luce delle sole
disposizioni previste agli articoli 36 e 37 di detta direttiva.
Sulla prima questione pregiudiziale, relativa alla natura della norma che
designa paesi terzi come paesi di origine sicuri
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente
alla Corte se gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 debbano essere interpretati
ALACE E CANPELLI
nel senso che essi ostano a che uno Stato membro proceda alla designazione di
paesi terzi come paesi di origine sicuri mediante atto legislativo.
Tale questione trae origine dal fatto che, sino all’adozione del
decreto-legge n. 158/2024, le autorità italiane procedevano alla designazione di
paesi terzi come paesi di origine sicuri in due fasi. In un primo momento, la legge
definiva il quadro giuridico di detta designazione (metodo, criteri, fonti di
informazione, elementi di valutazione) mentre, in un secondo momento, l’autorità
amministrativa competente designava, mediante decreto interministeriale, i paesi
di origine sicuri sulla base di schede informative relative a detti paesi.
Orbene, il decreto-legge n. 158/2024 ha modificato tale regime affidando al
legislatore italiano il compito di procedere a detta designazione. L’articolo 2-bis
del decreto legislativo n. 25/2008 designa così un certo numero di paesi terzi, tra
cui il Bangladesh, come paesi di origine sicuri. Tale intervento legislativo sembra
aver introdotto una modifica importante del regime contenzioso nel diritto
nazionale nella misura in cui la scelta di procedere alla designazione di paesi terzi
come paesi di origine sicuri non più mediante atto amministrativo, ma mediante
atto legislativo, limiterebbe, a causa della natura stessa di detta norma, il controllo
giurisdizionale di legittimità di tale designazione che il giudice ordinario dovrebbe
poter compiere, limitando, in tal modo, l’esercizio dei diritti della difesa del
richiedente. A tal proposito, nella causa C-759/24, il ricorrente sottolinea che il
giudice nazionale dovrebbe, pertanto, sollecitare una verifica di costituzionalità
mediante un giudizio incidentale nell’ambito del giudizio principale.
Questa prima questione, relativa alla natura della norma nazionale, non
solleva, di per sé, alcuna particolare difficoltà.
Infatti, nessuna disposizione della direttiva 2013/32 precisa quale sia o
quali siano le autorità degli Stati membri cui dovrebbe essere affidata la
designazione dei paesi di origine sicuri a livello nazionale, nel caso o meno di un
elenco nazionale, né lo strumento pertinente a tal fine. L’articolo 37, paragrafo 1,
di detta direttiva si limita a precisare che «[g]li Stati membri possono mantenere
in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato I, di
designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle
domande di protezione internazionale». L’espressione «dispositions législatives»
(«legislation», nella versione in lingua inglese, o «normativa», nella versione in
lingua italiana) deve essere intesa nella sua accezione più ampia, come
comprendente atti di natura legislativa, regolamentare o amministrativa.
Di conseguenza, gli Stati membri godono di un ampio margine di
discrezionalità quanto alla scelta degli strumenti e delle modalità procedurali
destinate a garantire la designazione, nel loro diritto nazionale, di paesi terzi come
paesi di origine sicuri. Nulla osta a che tale designazione risulti da un atto di rango
legislativo, rientrando una siffatta scelta in realtà nell’autonomia istituzionale e
procedurale loro riconosciuta.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
Tuttavia, dall’articolo 288, terzo comma, TFUE si evince che tale libertà
lascia inalterato l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutti i provvedimenti
necessari per garantire il primato del diritto dell’Unione e per assicurare la piena
efficacia della direttiva di cui trattasi, conformemente all’obiettivo che essa
persegue e agli obblighi da essa sanciti 20. Ne consegue che l’atto con cui uno
Stato membro procede alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri
non deve incidere in alcun modo sugli obblighi ad esso incombenti, sotto il profilo
del rispetto dei principi basilari e delle garanzie fondamentali di cui al capo II
della direttiva 2013/32 e, in particolare, quanto al rispetto del diritto a un ricorso
giurisdizionale effettivo riconosciuto ai richiedenti protezione internazionale in
forza dell’articolo 46 di detta direttiva.
Tenuto conto di tali elementi, propongo di rispondere dichiarando che gli
articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che
essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla
designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto
legislativo, a condizione che tale prassi garantisca il primato del diritto
dell’Unione e assicuri la piena efficacia di detta direttiva, conformemente agli
obblighi da essa sanciti e agli obiettivi che essa persegue.
È in tale contesto che il giudice del rinvio solleva la seconda e la terza
questione.
Sulle questioni pregiudiziali seconda e terza, vertenti sulla divulgazione
delle fonti di informazione a fini di controllo giurisdizionale dell’atto che
designa un paese terzo come paese di origine sicuro
Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, alla
Corte se gli articoli 36 e 37 e l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32,
letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che
essi ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla
designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante atto
legislativo senza che, a causa della mancata divulgazione delle fonti di
informazione sulle quali detta designazione si fonda, il richiedente proveniente dal
paese interessato e il giudice nazionale investito del ricorso proposto avverso la
decisione di rigetto adottata nei confronti di detto richiedente siano messi in
condizione, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta
designazione alla luce delle condizioni enunciate all’allegato I a detta direttiva.
Inoltre, con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se,
in tali circostanze, il giudice nazionale possa controllare la legittimità di una
siffatta designazione alla luce delle condizioni enunciate in detto allegato sulla
base delle fonti di informazione che esso stesso ha raccolto tra quelle menzionate
all’articolo 37, paragrafo 3, di detta direttiva.
V., in tal senso, sentenza del 31 marzo 2022, Lombard Lízing (C-472/20, EU:C:2022:242, punto
35 e giurisprudenza citata).
ALACE E CANPELLI
Dall’ordinanza di rinvio risulta che tali questioni traggono origine dal fatto
che esisterebbe, a priori, una contraddizione tra gli elementi risultanti dalle
informazioni disponibili sulla situazione generale del Bangladesh e la presunzione
prevista dall’articolo 2-bis del decreto legislativo n. 25/2008, secondo cui detto
paese è un paese di origine sicuro. Orbene, contrariamente al regime previgente,
l’atto che designa paesi terzi come paesi di origine sicuri non rivelerebbe le fonti
di informazione specifiche sulla cui base il legislatore italiano ha valutato la
sicurezza di detto paese e, in particolare, la sua capacità di garantire alla sua
popolazione una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o
violazioni gravi. Il giudice del rinvio sostiene, pertanto, che, in caso di mancato
accesso a tali informazioni, sia il richiedente interessato, sia l’autorità giudiziaria
investita del ricorso proposto da detto richiedente si troverebbero privati della
possibilità, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di una siffatta
presunzione di sicurezza verificando la provenienza, l’autorevolezza,
l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità e la completezza di dette fonti.
Tali questioni non riguardano, quindi, il controllo che la suddetta autorità
giudiziaria deve operare con riferimento all’attuazione delle disposizioni previste
all’articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 che impone di superare la
presunzione di sicurezza del paese interessato in uno specifico caso quando, in
esito a una valutazione soggettiva e circostanziata di una domanda, risulta che
detto paese non è sicuro in ragione della situazione individuale di un richiedente.
Esse riguardano unicamente l’ipotesi in cui il richiedente contesti egli stesso la
designazione del suo paese di origine come paese di origine sicuro.
Dai considerando 25 e 50 e dall’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva
2013/32 si evince che i richiedenti protezione internazionale, provenienti da un
paese terzo designato come paese di origine sicuro e la cui domanda è oggetto di
una procedura di esame accelerata, devono disporre del diritto a un ricorso
effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni adottate nei loro confronti alla
frontiera o nelle zone di transito. L’articolo 46, paragrafo 3, di detta direttiva
definisce la portata di tale diritto precisando che gli Stati membri devono
assicurare che il giudice dinanzi al quale è contestata la decisione relativa alla
domanda di protezione internazionale proceda all’«esame completo ed ex nunc
degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di
protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]».
Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le caratteristiche del
ricorso previsto all’articolo 46 della direttiva 2013/32 devono essere determinate
conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del
principio della tutela giurisdizionale effettiva 21.
È applicando tali principi che la Corte ha giudicato, nella sentenza del 28
luglio 2011, Samba Diouf 22, che i motivi che avevano indotto un’autorità
V. sentenza CV (punto 86 e giurisprudenza citata).
C-69/10, EU:C:2011:524.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
amministrativa a esaminare una domanda di protezione internazionale con
procedura accelerata dovevano poter costituire oggetto di un controllo
giurisdizionale 23. Ed è sempre in applicazione di detti principi che, più
recentemente, nella sua sentenza CV, la Corte ha dichiarato che il diritto a un
ricorso giurisdizionale effettivo garantito dall’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32 impone all’autorità giudiziaria competente di rilevare,
nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal legislatore dell’Unione e
sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza
nel corso del procedimento dinanzi ad essa, una violazione delle condizioni
sostanziali della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro,
enunciate all’allegato I a detta direttiva, anche se tale violazione non è
espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso 24. Secondo la Corte, compete
quindi agli Stati membri adattare il loro diritto nazionale in modo che il
trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte di detta autorità
giudiziaria competente, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che le consentano
di procedere a una valutazione aggiornata del caso di specie, tra cui rientra la
legittimità di una siffatta designazione 25.
Ne consegue che il solo fatto che un paese terzo sia designato come paese
di origine sicuro da un atto legislativo non può comportare che esso sia sottratto a
detto controllo di legittimità, salvo privare l’articolo 46, paragrafo 3, della
direttiva 2013/32 di ogni efficacia pratica. Nella misura in cui, procedendo a una
siffatta designazione, detto atto legislativo determina le domande di protezione
internazionale che possono essere esaminate con procedura accelerata e/o prevede
che detta procedura sia svolta alla frontiera o nelle zone di transito, a norma
dell’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), di detta direttiva, tale atto legislativo dà
attuazione al diritto dell’Unione e deve, indipendentemente dal suo titolo o dalla
forma che esso assume nel diritto nazionale, assicurare il rispetto delle garanzie
sostanziali e procedurali riconosciute ai richiedenti protezione internazionale dal
diritto dell’Unione.
Malgrado i pareri espressi al riguardo da diversi Stati membri nelle loro
osservazioni, mi sembra quindi essenziale che il legislatore nazionale garantisca
una pubblicità sufficiente e adeguata degli elementi e delle fonti di informazione
da cui ha potuto inferire la sicurezza dei paesi interessati, ai sensi dell’articolo 37,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32, in caso di contestazione di detta designazione
dinanzi all’autorità amministrativa o giudiziaria competente.
Vero è che né l’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, né
nessun’altra disposizione di detta direttiva impongono allo Stato membro di
V. punto 58 di detta sentenza.
V. punto 3 del dispositivo di detta sentenza.
V. sentenza CV (punto 87 e giurisprudenza citata).
ALACE E CANPELLI
divulgare le fonti di informazione sulle quali esso ha fondato la presunzione di
sicurezza del paese interessato.
Tuttavia, sia l’impianto sistematico sia le finalità della direttiva 2013/32
depongono a favore della loro divulgazione. Quest’ultima contribuisce alla
realizzazione di un esame che vuol essere adeguato e completo, nonché
all’accesso effettivo del richiedente proveniente da un paese terzo designato come
paese di origine sicuro alle garanzie e ai principi fondamentali a lui riconosciuti
dal diritto dell’Unione, conformemente agli obiettivi enunciati ai considerando 18
e 20 di detta direttiva.
In primo luogo, la divulgazione delle fonti di informazione rafforza la
credibilità e l’autorevolezza della presunzione di sicurezza, il che contribuisce alla
rapidità e all’efficacia delle procedure di esame delle domande di protezione
internazionale. Per quanto attiene a una presunzione legale, come quella sancita
dall’articolo 2-bis del decreto legislativo n. 25/2008, essa è solitamente definita
come la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per giungere a
un fatto ignoto la cui esistenza appare verosimile alla luce del primo 26. Solo che
non esiste alcuna certezza oggettiva quanto all’esistenza di una protezione
sufficiente dei richiedenti nel loro paese di origine. Il grado di certezza della
presunzione dipenderà dalla certezza dei fatti da cui la presunzione è tratta, dalla
loro autorevolezza, attendibilità, pertinenza, attualità e completezza, nonché dalla
correttezza delle conseguenze che il legislatore nazionale ne ha tratto.
In secondo luogo, esigendo il mantenimento di un esame individualizzato
della domanda presentata dal cittadino di un paese terzo designato come paese di
origine sicuro 27, il legislatore dell’Unione non ha inteso ridurre l’autorità
amministrativa competente a una mera istanza di registrazione. A prescindere
dalla natura legislativa, regolamentare o amministrativa della norma che procede
alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri, detta autorità resta
incaricata di procedere a un «esame adeguato» della domanda ed è interessante
osservare che essa deve a tal fine disporre di «mezzi appropriati», in particolare di
personale adeguatamente addestrato ad utilizzare informazioni sui paesi di origine
o perizie giuridiche (articolo 4, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2013/32). Ne
consegue che gli elementi che dimostrano la capacità o, al contrario, l’incapacità
del paese di origine di garantire una protezione contro atti di persecuzione o
violazioni gravi dei diritti fondamentali costituiscono un aspetto decisivo sia della
valutazione generale che conduce all’affermazione di una presunzione di
sicurezza del paese interessato, sia, in modo simmetrico, della valutazione
V. Cornu, G., Vocabulaire juridique, PUF, Parigi, 15a ed., 2024
L’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2011/95 esige che l’autorità amministrativa
competente tenga conto di «tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento
dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e
regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione» (il che corrisponde, in
sostanza, agli elementi già presi in considerazione ai fini della designazione di un paese terzo
come paese di origine sicuro).
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
individuale della situazione del ricorrente che porta, se del caso, all’inversione di
detta presunzione 28. Gli elementi essenziali della valutazione restano gli stessi e si
fondano sul peso e sulla rilevanza delle fonti di informazione.
Il carattere confutabile della presunzione di sicurezza richiede, quindi, che
l’autorità amministrativa competente sia in grado di valutare la coerenza e la
plausibilità delle dichiarazioni del richiedente [articolo 4, paragrafo 5, lettera c),
della direttiva 2011/95], nonché la serietà delle ragioni invocate da quest’ultimo
per confutare detta presunzione (articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2013/32)
alla luce di dette fonti di informazione.
Allo stesso modo, il carattere confutabile della presunzione di sicurezza
impone che il richiedente sia messo in condizione di conoscere le ragioni per cui
si presume sicuro il suo paese di origine, così da consentirgli di confutare tale
presunzione in maniera più efficace, distinguendo la sua situazione individuale
dalla situazione generale su cui essa si fonda. In linea generale, riconoscere una
protezione internazionale sulla base delle fonti di informazione non costituisce
praticamente oggetto di contestazione da parte del richiedente. Viceversa, diverso
è il discorso in caso di diniego. È per tale ragione che ogni presunzione di
sicurezza di un paese terzo deve fondarsi su una procedura che garantisca la
trasparenza nella raccolta e nel trattamento degli elementi di informazione relativi
alla sua situazione generale, informazioni su cui il legislatore nazionale si è basato
per decidere che detto paese può essere designato come paese di origine sicuro.
Come attestato dalle disposizioni di cui all’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva
2013/32, e malgrado il carattere non esaustivo dell’elenco ivi contenuto, non vi è
qui né spazio né necessità di informazioni da qualificare come delicate o
riservate 29.
In tale contesto, la divulgazione di dette fonti di informazione potrebbe
essere considerata come rientrante nell’obbligo di collaborazione gravante sullo
Stato membro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, parte finale, della direttiva
2011/95.
In terzo luogo, una pubblicità sufficiente e adeguata delle fonti di
informazione alla base della presunzione di sicurezza mi sembra indissociabile dal
diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo riconosciuto dall’articolo 46,
paragrafo 3, della direttiva 2013/32 al richiedente che provenga da un paese terzo
designato come paese di origine sicuro e nei cui confronti venga applicata la
procedura accelerata.
L’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della
Carta impone che detto richiedente possa conoscere i motivi su cui si fonda la
V., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Secretary of State for the Home Department
(C-255/19, EU:C:2021:36, punto 36 e giurisprudenza citata).
V., in tal senso, Goodwin-Gill, G.S., «Safe Country, Says Who?», op.cit.
ALACE E CANPELLI
decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale 30. Orbene,
nella misura in cui detti motivi sono identici a quelli su cui si fonda la presunzione
di sicurezza del suo paese di origine, la divulgazione di tali fonti gli consente di
difendere i suoi diritti e di decidere con piena cognizione di causa se sia utile adire
l’autorità giudiziaria competente.
Inoltre, come dichiarato dalla Corte, l’effettività del controllo
giurisdizionale impone che l’autorità giudiziaria competente proceda a un esame
completo ed ex nunc degli elementi sia di fatto sia di diritto concernenti la
domanda di protezione internazionale, compresa un’eventuale violazione delle
condizioni sostanziali di una siffatta designazione, enunciate all’allegato I alla
direttiva 2013/32 31. Orbene, questo dovere imperativo esige che tale autorità
abbia accesso alle fonti di informazione impiegate a tal fine dal legislatore
nazionale.
In quarto luogo, garantendo la pubblicità di tali fonti di informazione, il
legislatore di uno Stato membro offre all’insieme delle autorità nazionali
competenti degli altri Stati membri una base di riferimento comune e uniforme,
che consente non di escludere, ma quantomeno limitare i casi in cui dette autorità
compiano valutazioni diverse con riferimento a richiedenti provenienti da un
medesimo paese di origine.
È pacifico, infatti, che i criteri di cui all’allegato I alla direttiva 2013/32
sono definiti in maniera generale e astratta e che le circostanze che dimostrino la
capacità o, al contrario, l’incapacità di un paese di garantire una protezione
sufficiente alla sua popolazione sono valutate in maniera molto diversa a seconda
degli Stati membri e delle autorità nazionali 32. Come osservava Guy Serle
Goodwin-Gill 33, «l’informazione non manca (…) Ma, siamo realisti, esiste un
problema con le informazioni verificate: esse limitano le opzioni e vanno in
V., per analogia, sentenze del 23 ottobre 2014, Unitrading (C-437/13, EU:C:2014:2318, punto
20 e giurisprudenza citata), e del 29 aprile 2021, Banco de Portugal e a. (C-504/19,
EU:C:2021:335, punto 57 e giurisprudenza citata).
V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.
Difatti, mentre il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia), ha annullato, nella sua sentenza
del 10 ottobre 2014, n. 375474, l’inserimento della Repubblica del Kosovo nell’elenco
nazionale dei paesi di origine sicuri, confermando tuttavia detto inserimento con riferimento alla
Repubblica d’Albania (v., in particolare, punti 14 e 16 di detta sentenza), il Conseil d’État
(Consiglio di Stato, Belgio), nella sua sentenza n. 228/902, pronunciata qualche giorno più tardi,
il 23 ottobre 2014, rendeva una decisione in senso opposto, confermando un regio decreto che
inseriva la Repubblica del Kosovo nell’elenco dei paesi di origine sicuri, ma annullando detto
decreto con riferimento alla Repubblica d’Albania, dichiarando, sostanzialmente, che la
situazione in quest’ultimo paese non era sufficientemente stabile.
Goodwin-Gill, G. S., « Safe Country, Says Who? », op. cit.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
entrambe le direzioni. Così come sembrano dirci che non vi è alcun rischio, in altri
casi confermano il contrario» 34.
Alla luce di questi elementi ritengo che, malgrado il silenzio dei testi di
legge, l’impianto sistematico su cui si fonda il concetto di paese di origine sicuro e
gli obiettivi che il legislatore dell’Unione persegue in tale contesto impongono
agli Stati membri di dare accesso alle fonti di informazione sulla cui base essi
presumono la sicurezza dei paesi interessati, tanto più che le fonti di cui
all’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sono fonti pubbliche. Tale
accesso può avvenire secondo le forme e le procedure previste nel diritto
nazionale, ad esempio, allegando tali informazioni all’atto che designa taluni paesi
terzi come paesi di origine sicuri o a un allegato a detto atto, oppure
comunicandole in seguito, su domanda del richiedente o dell’autorità
amministrativa o giudiziaria competente.
In caso di mancata divulgazione di dette fonti, l’effettività del controllo
giurisdizionale impone all’autorità giudiziaria competente, che dispone di tutta
l’esperienza richiesta in tale materia, di fondare il suo giudizio sulle fonti di
informazione che essa reputi maggiormente pertinenti per valutare la legittimità di
detta designazione 35. Contrariamente a una procedura ordinaria, una procedura
accelerata condotta alla frontiera nei confronti di un richiedente che provenga da
un paese terzo designato come paese di origine sicuro è applicata alla luce di un
elenco prestabilito. Posto che la valutazione relativa alla sicurezza di un paese
muta nel tempo, nell’ipotesi che tale valutazione non sia stata rivista ad intervalli
regolari, non si può impedire a detta autorità di procedere a un aggiornamento
della situazione generale del paese sul piano civile, giuridico e politico.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di
dichiarare che gli articoli 36 e 37, nonché l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva
2013/32, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel
senso che essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro
procede alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante
atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso avverso
una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da
un richiedente proveniente da un siffatto paese disponga, in virtù dell’obbligo di
un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46, paragrafo 3, delle
fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza
del paese interessato.
In caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l’autorità
giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione
Traduzione libera.
V., a titolo esemplificativo, sentenza della Corte EDU del 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c.
ha dichiarato che le autorità competenti sono tenute a ricercare tutte le informazioni pertinenti
generalmente disponibili ai fini della loro valutazione (§ 141).
ALACE E CANPELLI
alla luce delle condizioni enunciate nell’allegato I a detta direttiva sulla base delle
fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra quelle menzionate all’articolo
37, paragrafo 3, della direttiva medesima.
Sulla quarta questione pregiudiziale, relativa alla possibilità di designare
un paese terzo come paese di origine sicuro, benché talune categorie di persone
non beneficino ivi di una protezione sufficiente
Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente,
alla Corte se l’articolo 36 e l’articolo 37, paragrafo 1, della direttiva 2013/32
nonché l’allegato I a quest’ultima debbano essere interpretati nel senso che essi
ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine
sicuro ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, benché
talune categorie di persone possano non beneficiare in tale paese di una protezione
sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi.
A tale questione possono essere date due risposte, ciascuna risultante da
un’interpretazione, a mio avviso, giuridicamente sostenibile.
La prima risposta si fonda su un’interpretazione restrittiva e un po’
idealistica della definizione di base della nozione di «paese di origine sicuro»
enunciata all’allegato I alla direttiva 2013/32 e consiste nel respingere una siffatta
possibilità. Secondo il giudice del rinvio, tale soluzione si inserirebbe nel solco
della sentenza CV. Qualora la Corte accolga una soluzione siffatta, allora uno
Stato membro potrebbe designare un paese terzo come paese di origine sicuro solo
ove dimostri che la situazione giuridica e politica di detto paese caratterizza un
regime democratico, nell’ambito del quale i cittadini e gli apolidi ivi residenti
godono di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni
gravi, indipendentemente da dove si trovino sul territorio di detto paese e
indipendentemente dalla loro razza, nazionalità, opinioni politiche o religiose o,
ancora, dalla loro appartenenza a un determinato gruppo sociale.
Una siffatta soluzione tenderebbe a garantire che chiunque provenga da un
tale paese non abbia, a priori, alcun bisogno reale di protezione internazionale e
consentirebbe di garantire un trattamento uniforme dell’insieme delle domande
proposte dai cittadini di detto paese. Tuttavia, in un contesto caratterizzato da una
forte pressione migratoria, tale soluzione mi sembrerebbe privare la nozione di
paese di origine sicuro di una parte della sua efficacia pratica. Infatti, essa
presenterebbe l’inconveniente di escludere dagli elenchi nazionali dei paesi di
origine sicuri paesi che garantiscono, attraverso le loro istituzioni, lo stato di
diritto e il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, ma che non adempiono
ancora ai loro compiti con riferimento a una o più categorie limitate e
identificabili di persone. Gli Stati membri sarebbero, quindi, tenuti a trattare tutte
le domande presentate dai cittadini di detti paesi secondo la procedura ordinaria,
benché la stragrande maggioranza di tali richiedenti non abbia alcun bisogno reale
di protezione internazionale. Ne risulterebbe una congestione dei servizi delle
autorità nazionali competenti e un allungamento della procedura di esame che
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
danneggerebbe
internazionale.
richiedenti
necessitano
realmente
protezione
Per questa ragione, propongo alla Corte di accogliere piuttosto la seconda
soluzione. Tale soluzione consiste nell’ammettere che gli Stati membri
dispongono di un margine di discrezionalità che consente loro di designare un
paese terzo come paese di origine sicuro, benché siano state individuate una o più
categorie limitate, ma chiaramente identificabili, di persone a rischio in tale paese,
e di escludere correlativamente ed espressamente tali categorie dalla presunzione
di sicurezza collegata a tale designazione.
Comprendo che una tale soluzione sembra contraddire quanto stabilito
dalla Corte nella sentenza CV. In tale sentenza, la Corte ha riconosciuto
l’esistenza di un margine di discrezionalità in capo non agli Stati membri, ma al
legislatore dell’Unione 36 e si è opposta alla previsione di eccezioni territoriali da
parte di detti Stati. Non fatico ad ammettere inoltre che, per un curioso paradosso,
l’applicazione del concetto di paese di origine sicuro potrebbe divenire
notevolmente più complessa.
Tuttavia, tale soluzione trova fondamento non soltanto nella formulazione
della direttiva 2013/32, ma anche nell’impianto sistematico e nella finalità del
sistema in cui detto concetto si inserisce. Infatti, nel caso in cui il sistema di asilo
di uno Stato membro sia esposto a una forte pressione migratoria e a una quota
elevata di domande manifestamente infondate proposte da cittadini provenienti da
tali paesi, si tratterebbe di una soluzione equilibrata che consentirebbe, da un lato,
di conciliare l’obiettivo di celerità nell’esame di dette domande con la necessità di
garantire, per l’insieme delle domande, un trattamento adeguato e conforme alle
disposizioni della direttiva 2013/32 37. Si tratterebbe, peraltro, di una soluzione
pragmatica che terrebbe conto delle tensioni che attualmente gravano sui sistemi
nazionali di asilo e dell’evoluzione che la normativa dell’Unione ha conosciuto
con l’entrata in vigore, l’11 giugno 2024, del regolamento 2024/1348.
Propongo di tornare su ciascuno di questi punti.
In primo luogo, una siffatta soluzione, se accompagnata da limiti e garanzie
sufficienti, non tradisce la definizione della nozione di «paese di origine sicuro».
Conformemente all’allegato I, primo comma, alla direttiva 2013/32, «[u]n
paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico,
dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della
situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e
costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva [2011/95],
V. punto 81 di detta sentenza.
V. sentenze CV (punti 78 e 79 e giurisprudenza citata), e del 4 ottobre 2024, Elliniko Symvoulio
gia tous Prosfyges e Ypostirixi Prosfygon sto Aigaio (C-134/23, EU:C:2024:838, punto 52 e
giurisprudenza citata).
ALACE E CANPELLI
né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo
a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o
internazionale».
Non trarrò alcuna conclusione dall’impiego degli avverbi «uniformément»
[cui corrisponde «costantemente» nella versione italiana; NdT] e «jamais» [cui
non corrisponde un termine specifico nella versione italiana; NdT] nella versione
in lingua francese dell’allegato I alla direttiva 2013/32 38. Infatti, da un esame
linguistico comparato di detto allegato non si rinviene, nelle altre sue versioni
linguistiche, alcun significato corrispondente per ciascuno di detti avverbi. Per tale
ragione, non mi sembra che i punti 68 e 69 della sentenza CV, cui il giudice del
rinvio fa espressamente riferimento, possano essere applicati per analogia.
Le altre versioni linguistiche dell’allegato I alla direttiva 2013/32
subordinano la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro alla
possibilità di dimostrare che, generalmente e «costantemente» 39 o in maniera
generale e «duratura» 40 (o «continuativa» 41, «regolare» 42, «sistematica» 43,
«persistente» 44, o ancora «coerente» 45), «non vi è persecuzione». Queste altre
versioni linguistiche sembrano più fedeli alla volontà del legislatore dell’Unione
di tener conto della stabilità del paese terzo ai fini della sua designazione come
paese di origine sicuro 46, fermo restando che la stabilità è peraltro un criterio che
la direttiva 2011/95 impone ai fini dell’applicazione delle clausole di cessazione
della protezione internazionale 47. Inoltre, ciò che è mutevole non può essere
presunto e gli Stati membri non possono, quindi, presumere la capacità di un
L’avverbio «uniformément» suggerisce che un paese terzo può essere designato come paese di
origine sicuro solo a condizione che garantisca una protezione contro il rischio di persecuzioni o
violazioni gravi uniforme sul suo territorio e/o nei confronti dei suoi cittadini o residenti, mentre
l’aggiunta dell’avverbio «jamais» implica che si tratti, inoltre, di una protezione assoluta.
Nelle versioni in lingua danese («til stadighed»), tedesca («durchgängig»), italiana
(«costantemente»), lettone («konsekventi»), maltese («konsistentement»), rumena
(«consecvent») e svedese («genomgående»).
Nelle versioni in lingua greca («mónima»), croata («trajno») e neerlandese («duurzame»).
Nella versione in lingua finlandese («jatkuvasti»).
Nella versione in lingua slovena («redno»).
Nelle versioni in lingua spagnola («sistemática»), ceca («soustavně»), inglese («consistenlty»),
lituana («sistemingai»), polacca («konsekventi»), portoghese («sistemático») e slovacca
(«sústavne»).
Nella versione in lingua estone («järjekindlat»).
Nella versione in lingua ungherese («következetesen»).
V. conclusioni del Consiglio, del 30 novembre 1992, sui paesi esenti, in linea generale, da rischi
gravi di persecuzione (in prosieguo: la «risoluzione di Londra») [punto 4, lettera (D)].
V. articolo 11, paragrafo 2, e articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2011/95.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
paese di garantire una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o di
violazioni gravi se, da fonti di informazione autorizzate, emerge che detta capacità
è soltanto occasionale.
Concentrerò pertanto la mia analisi sul significato dell’avverbio
«generalmente», comune a tutte le versioni linguistiche dell’allegato I alla
direttiva 2013/32.
Da un punto di vista semantico, i termini «generale», «in generale» o,
ancora, «generalmente» si riferiscono a un evento, a un fatto o a qualsiasi altra
circostanza che si presenta nella maggior parte dei casi o, ancora, che è applicabile
a un numero davvero ampio di persone senza tener conto di casi particolari. Tale
avverbio contiene pertanto una componente di astrazione 48. Ne deduco che, da un
punto di vista terminologico, un paese terzo può essere designato come paese di
origine sicuro se è dimostrato, alla luce dei diversi criteri elencati all’allegato I
alla direttiva 2013/32, che esso protegge non ciascuno dei suoi cittadini ma la
maggior parte di loro dal rischio di persecuzioni o violazioni gravi, fermo restando
che possono esistere situazioni particolari in cui detto paese non garantisce una
protezione sufficiente contro tali violazioni. Il considerando 42 della direttiva di
cui trattasi precisa difatti che tale designazione non costituisce una garanzia
«assoluta» di sicurezza per i cittadini di detto paese, tenuto conto della natura
della valutazione che può prendere in considerazione soltanto la situazione civile,
giuridica e politica generale del paese. Il legislatore dell’Unione ammette pertanto
chiaramente che il concetto di paese di origine sicuro e la presunzione di sicurezza
che ne consegue derivano da una generalizzazione.
In secondo luogo, l’impianto sistematico su cui si fonda il concetto di paese
di origine sicuro attesta detta dicotomia tra generalizzazione ed eccezioni. Tale
concetto giuridico implica, infatti, due aspetti: da un lato, un aspetto obiettivo e
generale che si traduce nella designazione, in un atto di portata generale, di paesi
terzi come paesi di origine sicuri che rispondono ai requisiti e ai criteri enunciati
all’articolo 37 e l’allegato I della direttiva 2013/32 e, dall’altro, un aspetto
soggettivo e circostanziato che si traduce nel compimento di un esame individuale
della domanda, in esito al quale l’autorità nazionale competente può essere tenuta
a discostarsi dalla presunzione di sicurezza del paese interessato conformemente
all’articolo 36, paragrafo 1, di detta direttiva.
Orbene, se il legislatore dell’Unione impone alle autorità nazionali
competenti di discostarsi (ex post) dalla presunzione di sicurezza di un paese
ogniqualvolta esse stabiliscano, in esito a un esame individuale della domanda,
che l’interessato può, in ragione della sua situazione individuale, essere esposto a
Il Dictionnaire de l’Académie française definisce le locuzioni avverbiali «d’une manière ou de
manière générale», «d’une façon ou de façon générale», «en général», o «en règle générale»,
utilizzando «globalement, abstraction faite des cas particuliers, le plus souvent» [nell’ordine: «in
una maniera o in maniera generale», «in un modo o in modo generale», «in generale», o
«generalmente», utilizzando «globalmente, eccezion fatta per casi particolari, perlopiù»].
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un rischio di persecuzioni o di violazioni gravi nel suo paese di origine, allora non
ravviso alcuna valida ragione che osti a che uno Stato membro decida, in esito alla
valutazione generale di tale paese, di escludere (ex ante) dall’ambito di
applicazione di detta presunzione la categoria o le categorie di persone che esso ha
già identificato come a rischio in tale paese.
In effetti, una siffatta modalità di applicazione del concetto di paese di
origine sicuro, se fondata su un esame rigoroso dei criteri enunciati all’allegato I
alla direttiva 2013/32, consente agli Stati membri, in particolare a quelli esposti a
una forte pressione migratoria e investiti di numerose domande manifestamente
infondate, di perseguire gli obiettivi di detta direttiva.
A tal riguardo ricordo che, conformemente ai considerando 18 e 20 della
direttiva di cui trattasi, gli Stati membri devono poter velocizzare la procedura di
esame quando una domanda di protezione internazionale può essere infondata,
garantendo tuttavia la realizzazione di un «esame adeguato e completo» 49.
Orbene, uno Stato membro, quando dimostra che un paese garantisce condizioni
di sicurezza stabili e sufficienti alla grande maggioranza della popolazione,
conformemente ai criteri enunciati all’allegato I alla direttiva 2013/32, e identifica
la categoria o le categorie di persone potenzialmente a rischio in tale paese,
intende conciliare l’obiettivo di celerità delle procedure di esame delle domande
di protezione internazionale, che possono essere manifestamente infondate in
ragione del paese di origine dell’interessato, con la contestuale garanzia di un
esame adeguato e completo delle domande presentate dalle categorie di persone
escluse dall’applicazione del concetto di paese di origine sicuro; queste ultime
domande verranno esaminate secondo la procedura ordinaria prevista all’articolo
31, paragrafi da 1 a 7, di detta direttiva.
In linea con la risoluzione di Londra 50, tale soluzione preserva l’efficacia e
la celerità delle procedure di esame per tutti i richiedenti protezione
internazionale, riducendo la pressione gravante su taluni sistemi nazionali di asilo
e consentendo di concentrare le risorse sui richiedenti che hanno un reale bisogno
di protezione internazionale. Come sottolineato dal governo ellenico nelle sue
osservazioni, l’esclusione di determinate categorie di persone dall’applicazione di
detto concetto porta a rafforzare, più che indebolire, la protezione accordata ai
richiedenti provenienti da un paese di origine sicuro, mentre il governo dei Paesi
Bassi aggiunge che una siffatta modalità esonera questi ultimi dall’obbligo di
confutare la presunzione di sicurezza del loro paese di origine.
In terzo luogo, detta modalità di applicazione del concetto di paese di
origine sicuro può, a mio avviso, essere adottata sulla base dell’articolo 36,
paragrafo 2, della direttiva 2013/32. Disponendo che «[g]li Stati membri
stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti
V. sentenza CV (punto 78 e giurisprudenza citata).
V. punto 2 di detta risoluzione.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
all’applicazione [di detto concetto]» 51, il legislatore dell’Unione riconosce agli
Stati membri un certo margine di valutazione di cui essi possono, a mio avviso,
avvalersi per perseguire obiettivi legittimi. Questi ultimi potrebbero voler
garantire un livello di protezione dei diritti fondamentali più elevato nei confronti
di determinate categorie di persone. In un periodo di massiccio afflusso di
richiedenti, detti Stati potrebbero anche voler ripartire al meglio i mezzi e le
risorse del loro sistema di asilo nazionale al fine di sgravare le autorità nazionali
competenti da domande che sarebbero manifestamente infondate.
Preciso tuttavia che, quando uno Stato membro adotta nel suo diritto
nazionale una norma o una modalità ulteriore ai fini dell’applicazione del concetto
di paese di origine sicuro, esso applica il diritto dell’Unione, cosicché il suo
margine di valutazione è disciplinato da tale diritto.
Pertanto, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri non
deve essere esercitato in modo tale da pregiudicare gli obiettivi generali della
direttiva 2013/32, in particolare quello alla base del concetto di paese di origine
sicuro, e l’efficacia pratica di quest’ultimo 52.
Ciò implica che lo Stato membro deve identificare la categoria o le
categorie di persone a rischio in occasione della valutazione della situazione
generale del paese terzo da esso compiuta, così da escludere espressamente queste
ultime dall’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione
di sicurezza ad esso associata. Infatti, l’autorità nazionale competente dinanzi alla
quale è presentata una domanda di protezione internazionale deve essere
immediatamente posta in condizione di identificare e distinguere le persone
rientranti in dette categorie, al fine di avviare la procedura ordinaria di esame
prevista all’articolo 31, paragrafi da 1 a 7, della direttiva 2013/32.
Qualsiasi esclusione non formalizzata finirebbe con l’indebolire la
protezione dei richiedenti protezione internazionale che provengono dai paesi
interessati.
Ciò implica altresì che una siffatta modalità di applicazione del concetto di
paese di origine sicuro non influisce sull’obbligo incombente allo Stato membro
di vigilare sul rispetto dei requisiti enunciati all’allegato I alla direttiva 2013/32, in
particolare quello di garantire che la situazione giuridica e politica del paese
interessato caratterizzi un regime democratico nell’ambito del quale la
Mentre la versione in lingua francese dell’articolo 36, paragrafo 2, della direttiva 2013/32
utilizza il termine «notion» (nozione), tutte le altre versioni linguistiche di detta disposizione si
servono del termine «concetto», ad eccezione della versione in lingua ungherese, che utilizza il
termine «principio».
V., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal
(Ricongiungimento familiare – Sorella del rifugiato) (C-519/18, EU:C:2019:1070, punto 62 e
giurisprudenza citata).
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popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro il rischio di
persecuzioni o violazioni gravi.
Tale concetto impone agli Stati membri di circoscrivere le eccezioni
personali a un numero molto limitato di persone, salvo rimettere in discussione la
presunzione di sicurezza alla base della designazione del paese terzo interessato
come paese di origine sicuro. Infatti, la previsione di un numero eccessivo di
eccezioni personali o di categorie di persone a rischio indicherebbe, in realtà, che
il paese di origine non è sicuro.
Pertanto, se un paese terzo fosse designato come paese di origine sicuro,
pur riconoscendo l’esistenza di numerose categorie di persone che possono essere
esposte a rischio di persecuzioni o violazioni gravi (ad esempio, le persone
appartenenti alla comunità LGBTQIA+, le vittime di violenze di genere, comprese
le mutilazioni genitali femminili, le minoranze etniche e religiose, le persone
accusate di reati di carattere politico e le persone condannate alla pena di morte),
di cui alcune non immediatamente identificabili, il concetto di paese di origine
sicuro tenderebbe ad essere una finzione. Infatti, in ragione della loro natura e
della loro portata, dette eccezioni rispecchierebbero piuttosto l’esistenza di
disfunzionamenti e carenze generalizzati e sistematici nell’ambito degli obblighi
incombenti al paese terzo interessato nei confronti della sua popolazione e una
siffatta designazione non sarebbe né adeguata, né ragionevole alla luce dei
requisiti fissati dall’allegato I alla direttiva 2013/32.
Compete, pertanto, agli Stati membri esercitare il margine di discrezionalità
loro riconosciuto nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità, facendo in
modo che la designazione da loro compiuta e l’esclusione delle categorie di
persone a rischio ad essa collegata siano idonee a garantire in maniera coerente e
sistematica la realizzazione degli obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione 53.
Infine, in quarto e ultimo luogo, ritengo che una siffatta interpretazione
consenta di tener conto del regolamento 2024/1348, entrato in vigore l’11 giugno
2024 54. Infatti, l’articolo 61, paragrafo 2, di detto regolamento autorizza
espressamente gli Stati membri a designare paesi terzi come paesi di origine sicuri
prevedendo eccezioni per determinate categorie di persone chiaramente
V. sentenza del 7 novembre 2024, Corván e Bacigán (C-289/23 e C-305/23, EU:C:2024:934,
punto 50 e giurisprudenza citata). Taluni Stati membri potrebbero quindi considerare sicuri i
paesi per i quali la Commissione ha adottato il Pacchetto «Allargamento» (Albania, BosniaErzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Georgia, Repubblica di
Moldova, Ucraina e Turchia), prevedendo tuttavia sin da subito, nell’ambito del margine di
discrezionalità loro riconosciuto e al fine di preservare i diritti fondamentali delle persone
(riconoscendo così un livello di protezione superiore), di non applicare tale concetto a categorie
limitate e ben precise di persone, escludendo, ad esempio, per quanto attiene alla Georgia, le
persone della comunità LGBTQIA+ dalla presunzione di sicurezza.
V. articolo 79, paragrafo 1, di detto regolamento.
CONCLUSIONI DELL’AVV. GEN. RICHARD DE LA TOUR – CAUSE RIUNITE C-758/24 E C-759/24
identificabili 55. Benché sia vero che, a norma del suo articolo 79, paragrafo 2,
detto regolamento si applicherà soltanto a partire dal 12 giugno 2026, ciò non
toglie che esso fa parte sin d’ora dell’ordinamento giuridico dell’Unione e mi
sembrerebbe paradossale imporre agli Stati membri, che hanno già scelto di
designare determinati paesi terzi come paesi di origine sicuri collegandovi
eccezioni per determinate categorie di persone, abrogare una siffatta modalità di
applicazione, laddove essi sono chiamati nel contempo a prepararsi
adeguatamente all’applicazione di detto regolamento in forza delle misure
transitorie previste all’articolo 75 del medesimo.
È alla luce di tutte le suesposte considerazioni che propongo alla Corte di
dichiarare che l’articolo 36 e l’articolo 37, paragrafo 1, nonché l’allegato I della
direttiva 2013/32 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che
uno Stato membro designi un paese terzo come paese di origine sicuro ai fini
dell’esame delle domande di protezione internazionale, identificando nel
contempo categorie limitate di persone come potenzialmente esposte a un rischio
di persecuzioni o violazioni gravi in detto paese a condizione, da un lato, che la
situazione giuridica e politica del suddetto paese caratterizzi un regime
democratico nell’ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una
protezione duratura contro tale rischio e, dall’altro, che detto Stato membro
proceda correlativamente a escludere espressamente tali categorie di persone
dall’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di
sicurezza ad esso collegata.
Conclusione
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, propongo alla Corte di
rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale
ordinario di Roma (Italia):
Gli articoli 36 e 37 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede
alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante
atto legislativo, a condizione che tale prassi garantisca il primato del diritto
dell’Unione e assicuri la piena efficacia di detta direttiva, conformemente
agli obblighi da essa sanciti e agli obiettivi che essa persegue.
Detto articolo, che deve essere letto in combinato disposto con il considerando 80 del
regolamento di cui trattasi, dispone che «[l]a designazione di un paese terzo come paese terzo
sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per
determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili».
ALACE E CANPELLI
Gli articoli 36 e 37 e l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti
alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a una prassi in forza della quale uno Stato membro procede
alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro mediante
atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso
avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale
proposta da un richiedente proveniente da un siffatto paese disponga, in virtù
dell’obbligo di un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46,
paragrafo 3, delle fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale
ha inferito la sicurezza del paese interessato.
In caso di mancata divulgazione di dette fonti di informazione, l’autorità
giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta
designazione alla luce delle condizioni enunciate nell’allegato I a detta
direttiva, sulla base delle fonti di informazione che essa stessa ha raccolto tra
quelle menzionate all’articolo 37, paragrafo 3, della direttiva medesima.
L’articolo 36 e l’articolo 37, paragrafo 1, nonché l’allegato I della direttiva
2013/32,
devono essere interpretati nel senso che:
essi non ostano a che uno Stato membro designi un paese terzo come paese
di origine sicuro ai fini dell’esame delle domande di protezione
internazionale, identificando nel contempo categorie limitate di persone
come potenzialmente esposte a un rischio di persecuzioni o violazioni gravi
in detto paese a condizione, da un lato, che la situazione giuridica e politica
del suddetto paese caratterizzi un regime democratico nell’ambito del quale
la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro tale
rischio e, dall’altro, che detto Stato membro proceda correlativamente a
escludere espressamente tali categorie di persone dall’applicazione del
concetto di paese di origine sicuro e della presunzione di sicurezza ad esso
collegata.