
Da Gallo Matese a Capriati al Volturno, da Bojano a S. Agapito e Longano, da Macchia D’Isernia a San Gregorio, Da Sepino a Piedimonte Matese, Faicchio e Morcone, ed altri comuni tra Molise e Campania. I promotori del Parco Nazionale del Matese stanno battendo a tappeto il territorio per proporre il solito e ridondante mantra del Parco “che sa coniare salvaguardia ambientale e benessere delle comunità locali, diventando, così, volano di sviluppo socio-economico”. Frasi fatte, ma pur sempre accattivanti, sentite troppe volte e puntualmente disattese. Bene, se è vero che i Parchi in Italia avrebbero dovuto fare tutto questo, la realtà dimostra il contrario. Queste entità sono diventate, in molti casi, dei veri e propri fantasmagorici carrozzoni politici, gestiti da tecnocrati che non sanno distinguere una pecora da una capra, e che non hanno a cuore il bene comune ma soltanto un’idea astratta di conservazione ambientale totalmente calata dall’alto che aliena i diritti di chi, da sempre, ha gestito il proprio territorio secondo pratiche consuetudinarie che, nel corso di centinaia di anni, hanno saputo garantire sostenibilità ambientale e sovranità alimentare. Con i parchi, il ruolo degli attori locali, i gestori tradizionali del territorio, è relegato ad una posizione del tutto marginale e le loro pratiche consuetudinarie di utilizzo e gestione delle risorse sono ritenute, assurdamente, la causa del degrado ambientale.
Mentre i sacerdoti e le vestali della ‘Dea Parco’ continuano a girovagare tra Campania e Molise alla ricerca di nuovi adepti, supportati dall’accorato intervento dei ‘lari’ della Domus ambientalista, questa volta, però, i ‘numi’ non sono dalla loro parte. Essi, invece, incontrano il secco NO di allevatori, imprenditori agricoli e molti altri esponenti della società civile che sembrano ora convergere su un’unica riflessione: l’istituzione di un ennesimo parco nazionale, quello del Matese, rappresenterebbe un vero e proprio disastro per il territorio, soprattutto per la vita, il futuro e le abitudini delle persone appartenenti alle comunità locali.
“E’ come se qualcuno ti entrasse in casa, da un momento all’altro, e ti dicesse: da oggi voi siete in un parco e per questo dovete rinunciare ai vostri diritti. La proprietà privata non sarà più inviolabile perché qui comandiamo noi, e voi dovete accettare la nostra ideologia. Ad essa dovrete adeguare le vostre abitudini quotidiane e lavorative. Entreranno in vigore le nostre normative e regolamenti che risponderanno alle esigenze della nostra idea di conservazione ambientale”, così lancia l’allarme Virgilio Morisi, allevatore abruzzese e presidente dell’Associazione “Iura Civium ad Bonum Naturae” per la Tutela dei Diritti dei Cittadini e delle Buone Pratiche Agrosilvopastorali; trattasi di un ETS, ovvero appartiene ad una nuova tipologia di enti introdotti dalla Riforma del Terzo Settore.
E’ già qualcuno si domanda cosa c’entra l’Abruzzo con il Molise e la Campania, dove il nascente Parco del Matese dovrebbe impiantarsi. Chi sono questi ‘sobillatori’ che da altre regioni limitrofe interferirebbero, senza averne titolo, negli affari dei comuni matesini? La verità è ben altra: stiamo, infatti, assistendo ad uno straordinario esempio di solidarietà tra allevatori di diverse regioni che, avendo già subito l’infame presenza dei Parchi, vogliono oggi comunicare le loro tristi esperienze ai colleghi matesini, per evitare che questi cadano nelle maglie, sempre più strette, della rete del Parco. I Parchi, che avrebbero dovuto rappresentare un’opportunità per il benessere e l’economia delle comunità locali, si sono spesso trasformati, per varie categorie di residenti, in una sorta di ‘carcere pirandelliano’, senza porte e senza finestre: spazi angusti dove la vita delle persone è controllata da un unico ‘Grande Fratello Verde’. Questo carcere ‘pirandelliano’ non è solo un luogo fisico, ma un simbolo di una condizione esistenziale, di un’impossibilità di esprimere la propria identità, il proprio sapere, in un mondo che non li riconosce.
Secondo Morisi “attraverso l’istituzione del parco, la ‘governance’ e le competenze legate alla gestione del territorio, un tempo nelle mani dei sindaci e delle regioni, passerebbero, di fatto, al direttore e presidente del parco. A questi verrebbero conferiti enormi poteri, mentre i sindaci avrebbero un ruolo subalterno, e del tutto marginale”. Infatti, alla cosiddetta’ Comunità del Parco (costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane) la Legge Quadro sulle Aree Protette 394/91, attribuisce solo un ruolo consultivo e non vincolante rispetto alle decisioni in materia di gestione del parco che, invece, passerebbero in mano al consiglio direttivo. Presidente e Direttore del parco sarebbero nominati direttamente dal Ministro dell’Ambiente, e diventerebbero – così – portatori d’interessi altrui, con obbiettivi diametralmente contrapposti a quelli delle popolazioni locali, non dovendo ad esse rispondere del proprio operato. La stessa cosa avverrebbe per il consiglio direttivo del parco, dove le nomine spettano ai due ministri, quello dell’ambiente e dell’agricoltura. Altri due componenti del consiglio, verrebbero nominati dalle associazioni ambientaliste e i quattro sindaci sarebbero nominati dalla ‘Comunità del Parco’. Tutto questo, racconta Morisi, è già avvenuto per l’Abruzzo, creando una situazione anomala che mortifica ogni rappresentatività decisionale, da parte dei residenti, riducendola quasi a 0 e creando, difatti, inevitabili conflitti sociali. Dopo ben 101 anni dall’Istituzione del Parco Nazionale D’Abruzzo, tali conflitti non sono mai cessati!
Insomma, dando uno sguardo all’Italia – con una particolare attenzione al Centro-Sud – sembra proprio che i parchi abbiano ampiamente disatteso le aspettative dei residenti e, in taluni casi, anche dei più accaniti sostenitori. Ci sono, tuttavia, imprenditori del mondo allevatoriale come Nunzio Marcelli, che vorrebbe spezzare una lancia a favore dei Parchi, incoraggiando gli allevatori matesini a stabilire una collaborazione costruttiva con le istituzioni locali https://www.amolivenews.it/2025/03/27/storie-guglielmo-lauro-lallevatore-di-bovini-che-da-castel-san-vincenzo-combatte-la-sua-battaglia-contro-il-pnalm/ Peccato, però, che lo stesso Marcelli non sia in grado di portare neppure uno stralcio di esempio concreto di parco virtuoso, nel territorio italiano, e quindi – per sostenere la sua tesi – è costretto ad appellarsi ad un modello esemplare di Parco, aimè fuori dai confini nazionali, ovvero in Francia!
E’ necessario ribadire che la legge quadro sulle aree protette attribuisce soltanto un ruolo consultivo e non vincolante ai rappresentanti eletti delle comunità locali sulle decisioni di gestione territoriale da parte dell’ente parco. Tutto ciò porta, inevitabilmente, alla totale perdita di rappresentatività delle comunità locali, a favore della Dirigenze del Parco, sempre più ‘scollata’ dal territorio e ben poco sensibile alle richieste legittime dei suoi attori, come allevatori e agricoltori. Il caso del Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) è un esempio scandaloso di tutto questo, un caso eclatante di fallimento della gestione del territorio e della fauna selvatica. In aggiunta a tutto ciò, il PNALM è anche la riprova grottesca di un parco che, invece di ricercare uno scambio costruttivo con gli attori tradizionali del territorio (come allevatori estensivi) si è invece barricato, grazie al suo intollerante Direttore, su posizioni ideologiche non-negoziabili, prediligendo la polarizzazione alla comunicazione partecipativa.
Così, il parallelismo tra PNALM e la ‘new entry’ Parco nazionale del Matese fa già tremare e si intravedere cosa potrebbe accadere a quest’ultimo, se anni ed anni di convalidate pratiche consuetudinarie e di saggia pianificazione territoriale, andranno definitamente in fumo, mettendo a repentaglio sovranità alimentare, sviluppo rurale sostenibile e giustizia sociale. Il crescente fronte dei NO, sostiene che con l’istituzione del parco del Matese tutto passerà nelle mani di un sistema di potere autoreferenziale, attraverso il quale il ‘Grande Fratello Verde’ (Il Parco) farà il buono ed il cattivo tempo, incurante delle conseguenze disastrose che tali decisioni dall’alto avranno sulle comunità locali. Come è già accaduto per il PNALM, si andranno a comprimere diritti costituzionalmente garantiti, ad esempio, il diritto agli usi civici e al godimento dei domini collettivi.
Non sorprende, racconta Morisi, che “i parchi omettono sistematicamente di applicare la legge, ad esempio, in riferimento al contenimento e controllo numerico e sanitario della fauna selvatica, alla quale, cosa gravissima, nessun controllo sanitario viene fatto da anni con seri e potenziali rischi per la salute pubblica. Invece, negli allevamenti, la profilassi e resa giustamente obbligatoria, con multe salatissime e persino la chiusura delle stesse aziende, se tali controlli sono evasi”. Dal canto loro i parchi, come il PNALM, incoraggia questi controlli in modo asfissiante, in riferimento al bestiame domestico, ma non si preoccupa di applicare la stessa premura per quello selvatico. Mandrie sempre più crescenti di cinghiali e cervi, rappresentano una minaccia non solo per l’ecosistema ma anche per la salute pubblica.
Di queste contraddizioni ed ipocrisie, all’interno dei parchi, l’allevatore Guglielmo Lauro presidente di CAAT (Comitato Allevatori e Agricoltori del Territorio) ne ha fatto un vessillo di battaglia, smontando ripetutamente e puntualmente la leggenda metropolitana, secondo cui, allevatori di mucche e cavalli sarebbero i veri responsabili dell’impoverimento dei pascoli e del degrado ambientale. Nulla o poco, si dice – invece – delle centinaia di cervi che devastano i pascoli e sono portatori della zecca di Ixodes, portatrice della malattia di Lyme e altre malattie gravi che si trasferiscono ai domestici e agli umani, trasmettendo patogeni come il pericoloso batterio Borrelia burgdorferi. Cosa dire, poi, del contributo dei cinghiali alla diffusione della peste suina africana (PSA), un virus innocuo per l’uomo, ma che ha generato notevoli disagi socio-economici, in molti paesi del mondo. I racconti di Guglielmo Lauro sulla pessima gestione del territorio da parte del PNALM e sulle continue vessazioni a danno degli allevatori lasciano, letteralmente, senza parole
Alla luce di tutto questo, l’istituzione di un nuovo parco, quello del Matese, non può che allarmare considerevolmente la popolazione locale. Il nascente Parco, infatti, dovrebbe comprendere anche zone densamente popolate, aree produttive industriali e persino le strade ad alto scorrimento. Ancora una volta, le comunità locali assisteranno allo stravolgersi delle loro vite, perdendo diritti ormai acquisiti e legalmente riconosciuti. Ovviamente, i primi a farne le spese saranno allevatori agricoltori e, a vario titolo, tutti i fruitori della montagna. Non bisogna sottovalutare che le attività agro-silvo-pastorali presenti sul territorio, sono quelle che hanno veramente funzionato dal punto di vista della sostenibilità ambientale, perché praticate da migliaia di anni, tutelando razze antiche di animali e mettendo a disposizione del territorio numerosi servizi ecosistemici. Le attività pascolive si intersecano, da sempre, con la corretta gestione e programmazione dei tagli boschivi e ripuliture selvicolturali, anche per prevenire il rischio d’incendio. Ed è solo grazie a tutto questo che, oggi, abbiamo territori caratterizzati da una biodiversità dal valore inestimabile, una ricchezza tramandata per secoli, di generazione in generazione.
Con l’istituzione del parco, queste pratiche consuetudinarie verranno ostacolate in ogni modo, per essere sostituite da regole e tipologie di allevamento e lavorazioni forestali aliene al territorio stesso. Verranno così vietate pratiche millenarie, tra cui il pascolo brado e semi-brado, che sono l’essenza degli allevamenti biologici ed estensivi tipici del Matese. L’inizio del Parco potrebbe, così, coincidere con un vero e proprio salto nel vuoto: nulla sarà più come prima per le comunità locali. Infatti, come è accaduto per molti altri parchi, le attività consuetudinarie saranno etichettate come un intralcio ad un certo modello di conservazione, ancora tutto imperniato su una dicotomia isterica ‘uomo-natura’. In questo scenario sconfortante, gli inviolabili diritti di uso civico, elevati a vincolo paesaggistico dalla legge168/17, rappresentano – per fortuna – l’unico baluardo a difesa di un modello di gestione territoriale dove le pratiche ed i saperi locali hanno plasmato, da sempre, la gestione delle nostre montagne. Sono proprio questi diritti in materia di domini collettivi (chiaramente sanciti dalla legge no. 168, del 2017) che potrebbero frenare le mire espansionistiche dei parchi pronti a disporre, a loro piacimento, di tutto il territorio montano e a mettere le mani su ogni risorsa economica, in primis il PSR (Programma di Sviluppo Rurale) e relativi fondi PAC, oggi ancora destinati – in piccola parte – agli agricoltori/allevatori. Senza parlare delle risorse infinite per progetti Life, fermi al palo ma ancora per poco. Anche questi fondi inizieranno a piovere dall’alto come manna, appena il Parco del Matese sarà istituito. I destinatari di tali risorse, saranno – soprattutto – organizzazioni ambientaliste e istituzioni accademiche, prestate al gioco, anch’esse in attesa famelica della loro fetta di torta. E’ proprio in Molise che tali enti di ricerca hanno rivelato la loro doppia faccia, ammiccando un’apparente simpatia per le cause degli allevatori estensivi, ma stringendo poi alleanze con i potenti di turno, come gli Enti Parco. Tra le decine di migliaia di euro destinati alla conservazione ambientale, i residenti sono puntualmente esclusi, eccetto che per quegli immancabili ‘contentini’ assegnati a sindaci ed amministratori compiacenti. Mentre tutto questo avrà luogo, come già avviene all’interno del PNALM, allevatori estensivi ed altri attori locali dovranno farsi carico, invece, dei costi altissimi per sopportare tutte le spese legali per difendersi delle strategie vessatorie (sfilze di verbali e quant’altro) messe in atto dai parchi.
Quindi, la parola d’ordine sarà rendere la vita difficile agli ultimi allevamenti estensivi tradizionali, che con i loro sacrifici ancora rendono queste montagne luoghi vivibili e di produzioni alimentari di altissima qualità. Verranno, poi, ridimensionati i rapporti “UBA- ETTARO” (numero di animali per ettaro), come già è avvenuto nel PNALM, giustificati da un presunto rischio di sovra-pascolamento in aree che, tra l’altro, in passato, avevano numeri ben più cospicui di animali, rispetto ad oggi. Regole come la ‘Valutazione d’Incidenza Ambientale’ (VIncA) saranno arbitrariamente imposte dal sistema parco e andranno ad impattare negativamente sul mondo allevatoriale estensivo, fatto di uomini e donne oneste ed operose, orgogliose del proprio passato, e che amano profondamente la propria terra ed il proprio lavoro. Per non parlare poi dell’attuazione di regole europee legate al cosiddetto ‘benessere animale’, che prevedono esorbitanti investimenti a carico delle aziende e requisiti assurdi, nonché inutili, ma indispensabili per accedere alle primalità della futura PAC. Per chi non è addetto ai lavori, va spiegato che, paradossalmente, tutta una serie di cavilli burocratici legati al cosiddetto ‘benessere animale’ (indispensabili per gli allevamenti intensivi) vengono applicati, indiscriminatamente, anche a quelle aziende zootecniche dove, di fatto, il benessere degli animali è già assicurato da un allevamento di tipo brado/semi-brado che garantisce la massima libertà a mucche, cavalli ed altro bestiame, libero di cibarsi delle essenze spontanee disponibili.
Paradossalmente, all’interno dei parchi, è persino più difficile aderire alla Politica Comune Europea (PAC), mentre dovrebbe essere l’esatto contrario, come stabilito dalla legge quadro sulle aree protette. È evidente che l’imporre agli allevamenti estensivi-biologici costi enormi per adeguamenti a requisiti, pensati invece per la stabulazione fissa, fa parte di una delle tante storture burocratiche con le quali si vuole mettere fine alle uniche poche aziende a ‘chilometro zero’ che riescono ancora a produrre in territori marginali, dove la politica ha già smesso di investire tempo e denaro. Così, non si farà altro che impedire il ringiovanimento di un settore produttivo che ancora riesce a coniare sostenibilità ambientale ed identità culturale, demotivando quei pochissimi giovani che vorrebbero proseguire le attività dei padri ed evitare lo spopolamenti dei borghi dell’entroterra.
Siamo in Italia! Ed è possibile che, nonostante le pressioni dal basso, siano gli interessi personalistici di una politica nepotista, e sempre più miope, ad averla vinta, sancendo – ineluttabilmente – la transizione verso l’istituzione del Parco Nazionale del Matese. Ma alla fine, questo non premierà le amministrazioni locali per essersi resi complici di un Parco, che se mai sorgerà, sarà già morto prima di essere nato, non avendo saputo ascoltare le istanze di quella gente che vive di e con la montagna, e senza aver fatto nulla per far sedere questi portatori d’interesse ai tavoli decisionali, dove si pianifica il futuro del territorio. Se cosi sarà: Matese mio, Addio!




