
L’evoluzione digitale sta ridefinendo i confini dell’eccellenza italiana, un connubio che mette a confronto tradizione artigianale e tecnologie d’avanguardia. In questa intervista, Carmelo Cutuli, Presidente del CESTI – Centro Studi Istituzionali, ci guida attraverso una riflessione profonda sulle sfide e le opportunità che il Made in Italy affronta nel contesto della trasformazione digitale. Con uno sguardo critico e propositivo, Cutuli analizza come l’integrazione dell’intelligenza artificiale possa non solo ottimizzare i processi produttivi, ma anche preservare la creatività e la cura dei dettagli, elementi distintivi del nostro patrimonio industriale.
L’intervista si articola attorno a tematiche fondamentali: dalla necessità di armonizzare la spinta automatica con l’attenzione umana, all’identificazione di politiche e strategie per colmare il divario territoriale evidenziato dai dati ISTAT, con una particolare attenzione alla concentrazione tecnologica nel Nord e alle potenzialità inesplorate del Mezzogiorno. Vengono, inoltre, esaminate le possibili sinergie tra settore pubblico e privato per favorire la creazione di ecosistemi innovativi, capaci di promuovere lo sviluppo di hub tecnologici e rafforzare i centri di eccellenza nel Sud Italia.
Attraverso questo dialogo, Carmelo Cutuli offre spunti preziosi su come trasformare le ambizioni tecnologiche in risultati concreti, valorizzando i settori tradizionali e aprendo la strada a un futuro in cui innovazione e identità culturale possano coesistere e alimentarsi reciprocamente. Una lettura imperdibile per chi desidera comprendere le dinamiche che stanno plasmando il nuovo volto dell’industria italiana.
Domanda. In che modo ritiene che l’eccellenza tradizionale del Made in Italy possa integrarsi efficacemente con le tecnologie avanzate dell’intelligenza artificiale per potenziare la trasformazione digitale del nostro sistema industriale?
Carmelo Cutuli. L’intelligenza artificiale può svolgere un ruolo fondamentale nel potenziare il Made in Italy, ottimizzandone gli aspetti operativi e produttivi, a patto però che chi progetta e realizza possa dedicare più tempo e risorse agli elementi chiave dell’eccellenza italiana, ossia creatività e cura dei dettagli. L’obiettivo è quello di raggiungere, nel minor tempo possibile, una proficua interazione tra la componente umana e le tecnologie intelligenti. Nella pratica, il maggior livello di automazione, reso possibile dall’innovazione tecnologica, deve inserirsi armoniosamente nei processi produttivi tradizionali, senza compromettere l’identità unica del prodotto. La sfida principale consiste, pertanto, nell’evitare che gli automatismi spersonalizzino il prodotto aumentando, al contempo, il livello di attenzione umana ai dettagli affinché il prodotto mantenga la propria unicità distintiva.
Domanda. Quali politiche o strategie, a suo avviso, potrebbero essere implementate per ridurre il divario territoriale evidenziato dal dato ISTAT, che vede una concentrazione del 63% delle imprese che utilizzano l’IA nel Nord, con particolare attenzione alla Lombardia?
Carmelo Cutuli. Una lettura “territoriale” dei dati ISTAT evidenzia come la questione non sempre si limiti ad un inferiore tasso di investimenti in tecnologie nel Mezzogiorno, ma riguardi un più complesso fenomeno di disomogeneità nella diffusione dell’innovazione. La paradossale coesistenza, nello stesso territorio, di una maggioranza di realtà caratterizzate da minor dotazione tecnologica accanto ad una percentuale di imprese estremamente innovative, capaci di sviluppare e esportare tecnologie a livello globale, rappresenta uno scenario che ricorda molto da vicino la genesi del Polo Tecnologico di Catania, meglio noto come “Etna Valley”, la silicon valley siciliana che alla fine degli anni ’80 vide l’insediamento della STMicroelectronics nella zona industriale della città etnea, area tradizionalmente vocata a produzioni di tutt’altra natura, producendo un fenomeno che esemplifica perfettamente questa dinamica. L’esperienza maturata, proprio in questo caso, suggerisce che il modello più efficace per affrontare un emergente “AI-divide” territoriale, debba concentrarsi sulla mitigazione degli effetti collaterali della polarizzazione in favore della facilitazione del trasferimento di competenze, tecnologie e best practice. Da ciò la necessità di creare ecosistemi dell’innovazione in cui le realtà più avanzate possano realmente trainare e contaminare positivamente il tessuto produttivo circostante.
Domanda. Quali misure potrebbero essere adottate per rafforzare i centri di eccellenza esistenti nel Mezzogiorno e incentivare la nascita di nuovi hub tecnologici, in modo da favorire uno sviluppo più equilibrato del settore dell’intelligenza artificiale su tutto il territorio nazionale?
Carmelo Cutuli. La chiave di volta non può che risiedere nell’attivazione di sinergie tra mondo accademico, ricerca scientifica, P.A. e tessuto imprenditoriale locale, elementi che devono convergere per creare ecosistemi dell’innovazione dinamici e competitivi. Per favorire il loro sviluppo, è essenziale implementare programmi di accelerazione mirati, accompagnati da agevolazioni concrete che incentivino la diffusione delle tecnologie. Il Sud Italia può già contare su diverse esperienze virtuose in questo ambito, che hanno prodotto risultati promettenti ma che, nonostante ciò, non hanno ancora raggiunto la massa critica necessaria per innescare un circolo virtuoso di sviluppo auto-sostenuto. Strutture come incubatori ed acceleratori d’impresa possono, altresì, giocare un ruolo nel sostenere la crescita delle nuove realtà imprenditoriali, non solo perché agiscono da catalizzatori per gli investimenti privati, ma soprattutto perché possono porsi come vere e proprie “catene di trasmissione” tra i vari attori del territorio, producendo quell’effetto di aggregazione indispensabile per raggiungere dimensioni di rete significative. Conseguentemente, l’apertura internazionale di questi ecosistemi, attraverso il collegamento con reti e partner stranieri, rappresenta un elemento imprescindibile per garantire il raggiungimento di standard di livello globale.
Domanda. In che modo ritiene che il settore pubblico e quello privato possano collaborare efficacemente per creare un ecosistema favorevole all’innovazione e alla diffusione dell’intelligenza artificiale, specialmente nelle regioni meno sviluppate?
Carmelo Cutuli. La collaborazione tra il settore pubblico e quello privato rappresenta uno degli aspetti più interessanti. Il settore pubblico, a patto che se ne aumenti l’efficienza e se ne ampli la visione strategica, può svolgere un ruolo fondamentale come facilitatore, creando un ambiente favorevole alla crescita dell’IA. Enti pubblici e privati, lavorando insieme, possono istituire centri di innovazione e programmi di formazione congiunti, avviare partnership pubblico-private per progetti pilota nelle regioni e creare fondi di incentivazione dedicati alla crescita locale. L’elemento chiave risiede nell’istituzione di meccanismi di coordinamento efficaci, come tavoli di lavoro permanenti e piattaforme per la condivisione delle conoscenze, che permettano di allineare gli obiettivi e massimizzare l’impatto degli investimenti congiunti. In questi processi possono recuperare la loro naturale funzione di “agenti catalizzatori” le associazioni di categoria, ordini professionali e tutte quelle parti associative che operano sul territorio come “cerniera” tra i settori pubblico e privato.
Domanda. Quali settori o aree di attività ritiene possano rappresentare il motore di crescita per le imprese meridionali, sfruttando al massimo le potenzialità offerte dall’innovazione tecnologica e dalla trasformazione digitale?
Carmelo Cutuli. Una chiave risiede sicuramente nella capacità di combinare le vocazioni territoriali tradizionali con le nuove tecnologie, creando ecosistemi digitali che possano incrementare la competitività e l’attrattività del territorio, attirando peraltro investimenti e talenti. Il settore agroalimentare, solo per fare un esempio, può trarre vantaggio dall’agricoltura di precisione e dalla blockchain per garantire una maggiore tracciabilità dei prodotti, mentre il turismo può sfruttare i big data e la realtà aumentata per offrire esperienze personalizzate. Anche la c.d. blue economy, che comprende portualità e logistica, può mirare ad una crescita significativa attraverso la digitalizzazione delle operazioni o l’implementazione di sistemi integrati nel settore della pesca. In sintesi, abbiamo a disposizione numerose soluzioni praticabili. Tuttavia, come facilmente intuibile, per trasformare le legittime ambizioni dei territori in risultati tangibili risulta prima necessario ritrovare una chiara volontà di condivisione e cooperazione nell’ambito di una molteplicità di attori territoriali, cosa non sempre di facile attuazione.