
(AGENPARL) – mar 28 gennaio 2025 *UN’ ODISSEA NELLO SPAZIO È DAVVERO PER TUTTI?*
*Team di ricerca guidato da Padova effettua per la prima volta studio su
astronauti in missione e scopre cosa accade al rientro sulla Terra: calo
della dopamina, aumento dei livelli di cortisolo e stress sistemico *
Navigare nello spazio non è più un privilegio riservato ad astronauti
professionisti. Questo nuovo tipo di viaggio o di esplorazione si sta
espandendo sempre di più ai civili. Questi ultimi però potrebbero giungere
alla missione nello spazio senza aver ricevuto un *minimum* di training o
acclimatazione ad ambienti estremi, come lo spazio stesso richiederebbe.
Questa diffusione di “space flight” pone allora nuovi importanti
interrogativi e cioè quali possano essere le risposte biologiche
nell’organismo dei navigatori dello spazio, siano essi ben addestrati o,
soprattutto, astronauti dell’ultima ora. Non che studi sperimentali siano
mancati negli ultimi decenni atti ad investigare, ad esempio, quali
modificazioni possano essere impartite dalla microgravita’ sugli ormoni, il
sistema immunitario, la risposta infiammatoria e comportamentale dei
soggetti che compiano missioni nello spazio. La maggior parte di queste
ricerche, però, è stata condotta ricorrendo a simulazioni a terra o a
riproduzioni di viaggi spaziali in laboratorio usando modelli sperimentali.
*Ora un nuovo studio guidato dal Prof. Gerardo Bosco del Dipartimento di
Scienze Biomediche dell’Università di Padova, e dalla Prof.ssa
Mrakic-Sposta del CNR di Milano, e condotto in tre piloti dell’aviazione
italiana che per la prima volta hanno effettuato un volo suborbitale
commerciale, noto come Galaxy 01, getta una nuova luce sulle modificazioni
di rilevanti parametri biologici cui possono andare incontro durante o,
meglio, al rientro sulla terra, gli astronauti. *
Ricorrendo a tecniche molto innovative e *user-friendly* come il prelievo
di un campione di saliva attraverso una piccola salivette, Bosco,
Mrakic-Sposta e colleghi hanno dimostrato che anche una permanenza nello
spazio piuttosto breve (come i circa 60 minuti della missione Galaxy 01)
sia sufficiente, una volta rientrati a terra, ad alterare i livelli di
molecole essenziali per il controllo della risposta allo stress o delle
capacità cognitive.
«*Abbiamo registrato un netto calo dei livelli circolanti di dopamina,
implicata nel controllo del movimento volontario e di risposte emotive,
accompagnato da un aumento del brain-derived neurotrophic factor (BDNF),
una proteina che presiede al controllo dello sviluppo delle cellule
nervose, al loro mantenimento e funzionamento, soprattutto in condizioni di
stress,* e alla comunicazione tra le cellule nervose stesse – *spiega il
prof Gerardo Bosco* -. Queste alterazioni suggeriscono un’iniziale risposta
allo stress. Infatti, a queste alterazioni si è anche accompagnato un
aumento significativo dei livelli di cortisolo, ovvero un ormone
tipicamente rilasciato in tutte quelle condizioni caratterizzate da
affaticamento, tensione e logorio fisico e/o mentale.»
«Questo studio rivela anche che il volo suborbitale induce una
diminuzione dei fattori che normalmente prevengono l’aumento dei livelli
circolanti e tissutali di radicali liberi dell’ossigeno, instaurando quindi
delle condizioni che, nel tempo, potrebbero portare ad un vero e proprio
stress ossidativo generalizzato – *aggiunge la prof.ssa Simona* *Mrakic-Sposta
-. **Abbiamo inoltre scoperto un incremento di particolari molecole
implicate nell’innesco e propagazione della risposta infiammatoria*.»
«Dal ultimo – *come sottolinea il dott. Angelo Landolfi, uno degli
astronauti (piloti) della missione Galaxy 01, membro del servizio sanitario
dell’Aereonautica Militare italiana, e docente a contratto dell’Università
di Padova* -, non è da sottovalutare il fatto che tutti questi fattori
potrebbero eventualmente causare stress sistemico ed alterazione della
funzione cognitiva laddove ci fossero ripetute esposizioni a voli
suborbitali».
Gli autori rimarcano che, pur trattandosi di uno studio pilota eseguito su
soli tre astronauti (tutti di sesso maschile e più o meno coetanei), questo
è uno dei primi sforzi fatti per meglio caratterizzare i possibili fattori
di rischio legati a missioni nello spazio soprattutto se prolungate o
ripetute in brevi lassi di tempo, e, non ultimo, se i soggetti lanciati
nello spazio non dovessero aver ricevuto un training adeguato e
sufficiente.
*Non a caso, lo studio di Bosco, Makric-Sposta e colleghi Short-term
suborbital space flight curtails astronauts’ dopamine levels increasing
cortisol/BDNF and prompting pro-oxidative/inflammatory milieu è stato*
*pubblicato
sulla rivista «Military Medical Research» che ha, tra i scopi, non solo
aspetti di ricerca di base e clinica concernenti la medicina militare
moderna, ma anche ricerca medica di base e clinica con potenziale
traslazionale concernenti nell’esposizione di donne e uomini a condizioni
ambientali estreme – di natura militare e non – che possano portare a varie
forme di stress, incluso quello post-traumatico.*
«È nostro auspicio – concludono gli autori – che i nostri dati ottenuti in
una finestra temporale relativamente breve (72 minuti tra preparazione,
volo e atterraggio) e che mostrano un incipiente stato di stress ossidativo
e infiammatorio possano da fare da guida a studi futuri condotti in
soggetti coinvolti in missioni spaziali anche più prolungate o ripetute nel
tempo. Questi studi in prospettiva potrebbero evidenziare più in dettaglio
quali possano essere le ripercussioni a livello cerebrale e periferico
dell’esposizione alla microgravità e ad altre modifiche fisiche dovute alla
navigazione nello spazio, focalizzando sulla possibile insorgenza di
malattie sia acute sia croniche».
*Allo studio hanno contribuito anche il Dr. Tommaso Antonio Giacon (UNIPD),
la Prof.ssa Vezzoli (CNR di Pisa), ed il Prof. Paolocci (UNIPD e Johns
Hopkins di Baltimora).*
*Link allo studio:*
https://mmrjournal.biomedcentral.com/articles/10.1186/s40779-025-00589-0