L’evoluzione dei media e il cambiamento nel panorama politico americano hanno segnato la fine di un’era. La strada per la Casa Bianca non passa più attraverso i tradizionali media aziendali come 60 Minutes, CNN, Fox News, Meet the Press, il comitato editoriale del New York Times o la copertura sulla Time Magazine. Quella strada ora passa attraverso nuovi canali, nuovi media, podcast, talk radio e social media. In altre parole, la politica non si gioca più nei salotti televisivi, ma nel cuore del popolo, nei luoghi dove la comunicazione diretta e meno filtrata ha preso il sopravvento.
L’intensificarsi del conflitto tra i media aziendali e l’ascesa della figura di Donald Trump nelle elezioni presidenziali è stato il culmine di una lotta durata anni. Il 15 giugno 2015, quando Trump ha annunciato la sua prima corsa per la presidenza, i media aziendali non hanno perso tempo nel deriderlo, liquidandolo come un pagliaccio da reality show, un razzista, un individuo senza speranza di vittoria. Quella narrazione è stata incessante per quasi dieci anni, alimentata dal sostegno di Hollywood, del mondo accademico, delle agenzie governative e dei media aziendali, ma Trump ha perseverato, e con lui il popolo che lo sosteneva.
Per tutto questo tempo, i media aziendali hanno costruito una narrazione incentrata sulla demonizzazione di Trump: un agente russo, un nazista, un pericolo per la democrazia, un dittatore. Ma ciò che è successo negli ultimi anni, con il sostegno a Trump che cresceva sempre più nei circoli dei social media e delle nuove forme di comunicazione, è stato un contraccolpo che ha minato il potere dei media tradizionali. Quando i media hanno cercato di danneggiarlo, ridicolizzando ogni mossa, Trump è riuscito comunque a restare in piedi grazie alla sua capacità di comunicare direttamente con il pubblico.
La “guerra” dei media aziendali contro Trump è stata portata avanti con attacchi incessanti: due impeachment, accuse legali, inchieste federali e locali, fino ad arrivare all’irruzione a Mar-a-Lago. Ma nonostante tutti questi attacchi, la sua base di sostenitori è rimasta indomita. L’intensificazione della censura, delle minacce e delle false accuse contro i suoi sostenitori ha solo rafforzato la determinazione di quelli che sono stati definiti, per l’ennesima volta, “deplorabili” dal mainstream.
Il risultato delle elezioni del 2024 ha segnato una vittoria clamorosa per Trump, che ha portato non solo alla sua rielezione ma anche alla sconfitta definitiva di quella narrativa mediatica. La forza di Trump è stata la capacità di parlare direttamente al popolo, bypassando i tradizionali media aziendali e costruendo un seguito attraverso nuovi canali. Mentre CNN, MSNBC, NPR e altri media aziendali continuano a esistere, la loro influenza è ormai ridotta a una mera ombra di ciò che erano una volta. La rivelazione che i media tradizionali non sono altro che un super PAC di sinistra ha indebolito il loro potere, facendo crollare l’illusione di imparzialità che per decenni aveva caratterizzato il loro status.
Ora, la politica americana sta cambiando. Non solo Trump, ma anche altre figure politiche che non appartengono alla tradizionale élite stanno emergendo grazie all’uso intelligente dei nuovi media. La rivolta contro il predominio dei media aziendali ha dato il via a una nuova era in cui il popolo ha finalmente preso in mano il controllo della narrazione politica.
Questo cambiamento, che si sta verificando anche in altre nazioni, dove realtà come Agenparl si confermano testate imparziali e autorevoli, dimostra che il potere della comunicazione diretta è ora nelle mani dei lettori che sanno valutare attentamente e che scelgono di informarsi attraverso le testate autorevoli. Il vecchio ordine dei media aziendali sta cedendo il passo, e con esso il potere che avevano accumulato per decenni. La strada per la Casa Bianca, e per il futuro della politica globale, ora passa attraverso le testate autorevoli.
Purtroppo oggi i giornali sono i cimiteri delle idee, e quindi inutile invocare la libertà di stampa che è necessaria soltanto ai giornalisti che non sanno scrivere.