
(AGENPARL) – mar 15 ottobre 2024 Tra contratto ibrido e contratto unico: una proposta percorribile per i consulenti finanziari ?
di manlio marucci
Roma 15 ottobre 1014 – Avanza una linea di pensiero all’interno del complesso sistema bancario che molto spesso trova difficoltà ad inquadrare correttamente il problema della figura di consulente finanziario che svolge la propria attività professionale con funzioni e responsabilità di rilievo senza una precisa collocazione per il ruolo svolto con identificazione della propria qualifica, come invece è ben definita per altri operatori strutturalmente riconosciuti.
L’occasione ci è data da una riflessione aperta avanzata da Marco Da Villa in un suo articolo apparso su Citywire di ieri(*) in cui evidenzia come sia necessario – oggi più che mai – arrivare ad un nuovo, univoco e specialistico assetto contrattuale destinato a regolamentare il rapporto tra l’intermediario e il consulente finanziario. Infatti si precisa che: “ai sensi dell’articolo 1, comma 5 septies, del Testo Unico della Finanza, il consulente finanziario è definito come colui che, in qualità di agente collegato, esercita professionalmente l’offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario. La norma – si sostiene – è molto chiara e oggi, il contratto che lega i consulenti finanziari e l’intermediario può essere solamente un contratto di lavoro subordinato, un contratto di agenzia commerciale oppure un contratto di mandato.
Da una rilevazione nel sistema del credito, sappiamo che da qualche anno per i più grandi gruppi bancari avanza una forma di “contratto ibrido” con connotazioni, sia di lavoro subordinato, sia autonomo, (contratto misto) senza che siano stati definiti a livello di contrattazione nazionale i termini dei vari aspetti di natura economica, previdenziale e di welfare. In realtà sono elementi che hanno trovato spazio nella contrattazione di secondo livello secondo le strategie aziendali portate avanti dai vari istituti bancari, che, comunque, hanno sicuramente una logica legata anche al ricambio generazionale oltre che una riduzione dell’incidenza dei costi del personale.
Per inquadrare bene il problema forse è utile far riferimento alla normativa che disciplina il settore dell’intermediazione finanziaria di livello europeo. Infatti, “Nella direttiva europea 2014/65 (Mifid 2) l’agente collegato è individuato come la “persona fisica o giuridica che, sotto la piena e incondizionata responsabilità di una sola impresa di investimento per conto della quale opera, promuove …”; tale direttiva va detto non prevede una forma specifica del contratto destinato a regolare il rapporto tra l’impresa di investimento e l’agente collegato, lasciando, in questo, ampio margine di discrezionalità agli Stati membri. Problematica quest’ultima che consentirebbe una modifica al Testo Unico della Finanza e dello stesso Testo Unico Bancario.
In realtà non si evidenziano cambiamenti radicali orientati ad aprire un negoziato in tal senso, prevalendo una tipologia di natura contrattuale più comunemente utilizzata nel settore ed è quello dell’agenzia commerciale a cui le banche si stanno orientando per abbattere la parte di retribuzione fissa con quella variabile. Uno schema negoziale che tuttavia poco si adatta alle peculiarità dell’attività del consulente finanziario. “Nell’esecuzione dell’incarico l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede. In particolare, deve adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute …”(articolo 1746 c.c.). Si presuppone quindi che stante l’adattamento delle politiche commerciali adottate anche dalle banche, con i famosi contratti di agenzia o ibridi, l’agente avrebbe come “mission” primaria quella di coordinare la propria autonomia nello svolgere la sua attività con l’attività e i programmi commerciali della sua preponente. Tradotto in termini pratici: nelle reti distributive degli intermediari i consulenti finanziari agenti dovrebbero promuovere i prodotti o perlomeno spingere di più le categorie di prodotti più gradite alla mandante.
E’ chiaro come tale aspetto faccia apparire – contrariamente alla normativa Mifid che ha come fondamento la trasparenza e la tutela dell’investitore: un palese conflitto di interessi, La questione non è di facile e pronta soluzione. Il consulente, infatti, è chiamato, quotidianamente, a decidere se conservare il “posto di lavoro”, evitando condotte commerciali che contrastino con le indicazioni della mandante ma esponendosi al rischio che poi il cliente risparmiatore contesti le scelte di investimento, con tutti gli annessi e connessi a livello di reclami, segnalazioni all’autorità di vigilanza ed eventuali segnalazioni alla autorità giudiziaria. Peraltro, ove il consulente è inquadrato come lavoratore subordinato, come accade nelle reti bancarie, in virtù del vincolo gerarchico e del dovere di fedeltà che connotano questa tipologia contrattuale, la criticità assume ancora maggior peso.
In ultimo va anche sottolineato che a livello retributivo, lo schema dell’agenzia lascia all’intermediario (latamente inteso) infinite possibilità di inventare e imporre i più svariati e spesso oscuri meccanismi provvigionali e premiali, a iniziare dalle condizioni di maturazione, fattuali ma anche di tempo, legate ai compensi dei cf.
Forse è il caso di aprire per il sindacato – soprattutto per le figure apicali che hanno ruoli e responsabilità diretta – una seria discussione sui temi sopra evidenziati e coinvolgere associazioni di rappresentanza ed istituzioni che è arrivato il momento di agire.
———————————– a cura della Eedazione ——————————
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