“Oggi i promotori festeggiano il numero di firme per il referendum sulla cittadinanza, raccolte con grande rapidità grazie alla piattaforma digitale, così come è già accaduto anche per il referendum per l’autonomia differenziata.
Giusto per essere chiari: io non ho paura dei referendum, perché a mio giudizio sono inammissibili, e perché il compito di decidere spetta alla Cassazione e alla Corte Costituzionale. Invito però a una riflessione: nel caso si dovesse arrivare a referendum, si corre il serio rischio di spaccare il Paese. Prospettiva che, ribadisco, io non mi auguro.
Rispetto ai festeggiamenti per le firme, inutile sottolineare quanto sicuramente la tecnologia aiuta la democrazia, ma in questo caso si rischia di aggirare il senso delle 500.000 firme necessarie alla proposta referendaria.
Io non sono contrario alla raccolta digitale, ma penso che la Costituzione debba essere adeguata ai tempi attuali. Nel 1948 era impensabile una tecnologia così accessibile, e dunque il numero di 500 mila firme poteva ritenersi congruo. Al giorno d’oggi la situazione è ben diversa, e credo occorra riflettere seriamente su questo.
Il Costituente scelse questo limite “di serietà” per assicurare che arrivassero al voto popolare solo le proposte ben appoggiate dagli elettori. Raccogliendo le firme nei comuni, sui banchetti, dai notai. Ora invece si può firmare dal divano di casa o dalla spiaggia. Utile, ma troppo facile, come purtroppo ha stabilito un decreto legislativo del governo giallorosso. E dico purtroppo perché, rendendo troppo facile raccogliere le firme, si rischia di eludere proprio la Costituzione.
Come ha ben detto Alfonso Celotto su “La Stampa”, si tratta di una forma di doping costituzionale, nel senso che si falsano le prestazioni democratiche. Ben venga il digitale, ma usato con prudenza.
A fronte di 20 quesiti referendari, con la prospettiva di potenziali centinaia di proposte di legge di iniziativa popolare, si annullerebbe il ruolo del Parlamento e quindi quello della democrazia rappresentativa, mettendo il Parlamento in condizione di non funzionare più.
È paradossale, ma queste iniziative e la piattaforma stessa rischiano di tradurre nei fatti la democrazia diretta di Grillo e Casaleggio, dove, attraverso uno strumento di democrazia come la piattaforma Rousseau, sostenevano di voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.
A me l’unico esempio che viene in mente è quello di Platone quando, nel suo dialogo La Repubblica, riflette sulla democrazia nell’ipotesi dispregiativa di una ubriacatura di libertà oltre il dovuto. Sono certo che l’Ufficio centrale e Corte costituzionale valuteranno adeguatamente questo aspetto nel procedimento referendario in corso”.
Così il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli.