
Il tema delle opere realizzate abusivamente, cioè senza o in difformità rispetto al titolo abilitativo previsto dalla legge, è da sempre al centro dell’attenzione giurisprudenziale. Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono tornate ad affrontare la questione con la sentenza n. 25021 del 7 ottobre 2019, a distanza di soli sette mesi dalla precedente decisione del 22 marzo 2019 (n. 8230). Questa nuova pronuncia ha permesso di risolvere ulteriori nodi interpretativi, chiarendo aspetti che non erano stati esaminati nella sentenza precedente, contribuendo a delineare con maggiore precisione il regime giuridico delle opere edilizie abusive.
L’Intervento della Legge e la nullità degli atti
La normativa italiana in materia edilizia ha sempre previsto strumenti rigidi per contrastare l’abusivismo, con l’obiettivo di proteggere interessi pubblici rilevanti. Già la legge n. 10 del 1977 sanciva la nullità degli atti giuridici che avessero per oggetto edifici costruiti senza concessione edilizia, qualora l’acquirente non fosse consapevole di tale mancanza. Successivamente, con la legge n. 47 del 1985, e infine con il DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico dell’Edilizia), il legislatore ha confermato la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto edifici realizzati abusivamente, se non vengono indicati gli estremi del titolo abilitativo o del permesso in sanatoria.
L’articolo 46 del DPR 380/2001, in particolare, prevede la nullità degli atti di trasferimento, costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a edifici costruiti dopo il 17 marzo 1985, qualora non siano dichiarati gli estremi del permesso di costruire. Tuttavia, tale nullità non si applica agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.
Le Sezioni Unite del 2019: La nullità testuale
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8230 del 2019, avevano già precisato che la nullità prevista dall’articolo 46 del DPR 380/2001 e dagli articoli 17 e 40 della legge n. 47/1985 è una nullità “testuale”. Si tratta di una particolare forma di nullità che colpisce esclusivamente gli atti tra vivi a effetti reali, in cui mancano gli estremi del titolo abilitativo dell’immobile. La nullità si configura, dunque, come una sanzione per la mancata inclusione di tali informazioni negli atti giuridici.
Un punto chiave di quella sentenza è che, se il titolo urbanistico viene correttamente indicato e risulta reale e riferibile all’immobile in questione, l’atto rimane valido anche se la costruzione è difforme dal titolo stesso. La Cassazione ha quindi sancito una distinzione tra la validità del contratto e la conformità dell’edificio al titolo urbanistico, sganciando in parte il regime sanzionatorio della nullità da quello della conformità edilizia.
La Sentenza n. 25021 del 2019: Nuovi chiarimenti
La recente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 25021/2019) rappresenta un ulteriore passo nella chiarificazione della materia. In essa, la Corte ha affrontato questioni rimaste irrisolte nella precedente sentenza, sciogliendo altri nodi interpretativi. Sebbene la sentenza n. 8230 avesse fornito importanti indicazioni, non aveva affrontato in modo esaustivo tutte le problematiche inerenti all’applicazione delle norme in materia di abusivismo edilizio.
Tra le questioni chiarite, emerge la necessità di confermare che la nullità riguarda solo gli atti privi della dichiarazione degli estremi del titolo abilitativo, ma non estende il suo effetto alla difformità materiale tra l’immobile e quanto autorizzato nel permesso di costruire. In altre parole, la Corte ribadisce che, qualora l’alienante indichi gli estremi del titolo edilizio, anche se l’edificio risulta difforme, l’atto di trasferimento rimane valido.
Le origini della disciplina sull’abusivismo
La disciplina sull’abusivismo edilizio ha radici lontane e si è sviluppata nel tempo con una progressiva definizione dei criteri di nullità. Già con la legge n. 10 del 1977 si era affermato il principio secondo cui la mancanza di un titolo abilitativo comportava la nullità degli atti giuridici relativi all’immobile. Tale disciplina è stata poi recepita e perfezionata con la legge n. 47 del 1985, il cui articolo 40, comma 2, prevede che gli atti tra vivi che hanno per oggetto diritti reali su edifici siano nulli se non includono gli estremi del titolo edilizio o della sanatoria.
Con il DPR 380/2001, la normativa è stata ulteriormente rafforzata, confermando la nullità di tali atti, ma escludendo espressamente alcune categorie, come i diritti di garanzia o di servitù. Le recenti pronunce delle Sezioni Unite hanno, infine, offerto un quadro interpretativo chiaro, confermando la natura testuale della nullità e il suo ambito di applicazione ristretto.
Conclusioni
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 25021 del 2019, hanno compiuto un importante passo avanti nella risoluzione delle problematiche legate alle opere abusive e alla nullità degli atti giuridici ad esse collegati. La giurisprudenza ha consolidato il principio secondo cui la validità degli atti dipende dalla corretta indicazione degli estremi del titolo abilitativo, lasciando sullo sfondo la questione della conformità edilizia. Si tratta di un approccio che consente di mantenere un equilibrio tra le esigenze di certezza dei rapporti giuridici e il rispetto delle normative urbanistiche.