È iniziato lunedì, presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto orientale della Virginia, il tanto atteso processo antitrust tra il Dipartimento di Giustizia (DOJ) e Google. Questo processo, definito da molti come il “processo del secolo” per il mondo dei media digitali, pone al centro dell’attenzione l’impatto del colosso tecnologico sugli editori attraverso la sua posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale.
Secondo quanto riportato da DigiDay, l’obiettivo principale del DOJ è dimostrare che Google ha abusato della sua posizione di potere per controllare il mercato della tecnologia pubblicitaria a scapito degli editori e della concorrenza. Il DOJ richiede addirittura la separazione degli strumenti tecnologici pubblicitari di Google, sostenendo che la sua posizione nel settore sia il risultato di pratiche monopolistiche consolidate.
Le accuse del DOJ e la difesa di Google
Nella dichiarazione di apertura, Julia Tarver Wood, avvocato del DOJ, ha paragonato le presunte pratiche di Google a schemi monopolistici tradizionali, sostenendo che l’azienda ha usato la sua posizione per controllare il mercato a danno degli editori. Ha evidenziato come proprio questi ultimi siano stati costretti a subire pesanti costi derivanti dal predominio di Google nella pubblicità digitale.
Dall’altra parte, Karen Dunn, avvocato di Google, ha ribattuto affermando che il DOJ sta manipolando la definizione dei mercati per rafforzare le sue accuse. Dunn ha inoltre sostenuto che esiste ancora una forte concorrenza nel settore, citando l’avvento dell’intelligenza artificiale come elemento di cambiamento.
Il dibattito si è concentrato sull’importanza che Google riveste per gli editori, con il DOJ intento a dimostrare la dipendenza quasi totale che questi ultimi hanno sviluppato nei confronti degli strumenti pubblicitari del gigante tecnologico.
La testimonianza di Gannett e l’header bidding
Tim Wolfe, SVP of Revenue Operations di Gannett, uno dei maggiori gruppi editoriali statunitensi, ha testimoniato sul controllo di Google nel mercato della pubblicità programmatica. Wolfe ha rivelato che Gannett paga circa 15 milioni di dollari all’anno in commissioni sui ricavi pubblicitari, di cui oltre 10 milioni finiscono a Google. Al picco, il colosso tecnologico rappresentava il 60% dei ricavi pubblicitari programmatici dell’editore, una cifra che oggi si aggira ancora intorno al 50%.
Wolfe ha anche discusso l’adozione della tecnologia di header bidding, una tecnica pubblicitaria sviluppata per aiutare gli editori a ridurre la dipendenza da Google. Questo metodo ha permesso a Gannett di incrementare i costi per mille impressioni (CPM) tra il 15 e il 20%. Tuttavia, Wolfe ha paragonato il passaggio dal server pubblicitario di Google a questa tecnologia a un’operazione complicata come “cambiare le gomme di un’auto da corsa a metà gara”, sottolineando quanto sia difficile per gli editori liberarsi dal dominio di Google.
Altri testimoni e prossime fasi
Durante il primo giorno del processo sono emersi altri punti cruciali. Joshua Lowcock di Quad Media, ex responsabile digitale dell’agenzia UM, ha offerto una panoramica delle complessità dei vari mercati pubblicitari, nonostante i tentativi di Google di screditare la sua testimonianza durante il controinterrogatorio. Nei prossimi giorni, il DOJ prevede di chiamare a testimoniare dirigenti di altre grandi aziende del settore, tra cui Goodway Group, OMD, Facebook e The Trade Desk.
Google, invece, ha annunciato l’intenzione di convocare testimoni provenienti da diverse agenzie governative, come l’US Postal Service, l’US Army e il Dipartimento per gli Affari dei Veterani, per sostenere la propria difesa.
Un momento critico per il settore
Questo processo segue da vicino una sentenza della Competition Market Authority del Regno Unito, che ha accusato Google di aver abusato della sua posizione dominante per gestire sia il proprio server pubblicitario per editori sia strumenti d’acquisto, limitando così la concorrenza. Contemporaneamente, Google si sta preparando a fare appello contro una sentenza antitrust separata riguardante il suo monopolio nel settore delle ricerche online.
L’esito di questo caso potrebbe avere conseguenze profonde per il futuro del settore della pubblicità online. Il DOJ intende dimostrare che Google ha aggirato le regole della concorrenza leale, consolidando il proprio monopolio a spese di editori e inserzionisti. Google, dal canto suo, continua a difendere la propria posizione, sostenendo che il mercato della tecnologia pubblicitaria sia ancora competitivo e in evoluzione.
Con il procedere del processo, si attende un possibile scossone monumentale per l’intero settore dei media digitali, che potrebbe ridefinire le regole del gioco per editori, inserzionisti e piattaforme tecnologiche.