Ambiente: Nasce il “Coordinamento Nazionale Allevatori di Montagna e Pastori d’Italia” (CONAPI) per la Salvaguardia dell’Allevamento Estensivo e dei ‘Territori di Vita’
Per troppo tempo, si è assistito ad una sorta di ‘oscuramento’ delle tematiche legate all’allevamento estensivo, non solo da parte delle Associazioni di Categoria, ma anche dalle autorità regionali e nazionali. Si è avuta quasi l’impressione che la pastorizia, e l’allevamento brado e semibrado, fossero tematiche obsolete e legate a retaggi di un passato destinato, ormai, a scomparire per essere soppiantato da modelli economici più efficienti e al passo con la modernità. Ovviamente non la pensano così i membri della delegazione di 20 pastori, alpigiani e allevatori provenienti da nove Regioni Italiane che, il 19 Gennaio dell’anno scorso, hanno incontrato a Roma l’On. Lollobrigida (Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste) e il Sottosegretario di Stato per L’Agricoltura Sen La Pietra https://www.secoloditalia.it/2023/01/lappello-dei-pastori-a-lollobrigida-i-danni-causati-dai-lupi-ci-stanno-mettendo-in-ginocchio/ Fu proprio in quell’occasione che il Ministro suggerì ai membri della delegazione di costituirsi in un Coordinamento che potesse rappresentare, a livello nazionale, le esigenze degli allevatori dediti all’allevamento estensivo. Lo stimolo e l’incoraggiamento dell’Onorevole Lollobrigida sono stati presi alla lettera! Così, dopo 16 mesi di incontri e negoziazioni, è nata la CONAPI. “Non abbiamo sprecato tempo prezioso” dichiara Guglielmo Lauro, vice-presidente del neo-costituito Coordinamento Nazionale. “Abbiamo, invece, rinforzato i rapporti tra le nostre rispettive organizzazioni, fissato gli obiettivi e le strategie comuni per difendere il nostro settore e, adesso, siamo finalmente pronti a rincontrare il Ministro e a far sentire la nostra voce ai più alti tavoli istituzionali”. Nasce, così, il “Coordinamento Nazionale Allevatori di Montagna e Pastori d’Italia” (CONAPI) https://www.vconews.it/2024/05/25/leggi-notizia/argomenti/territorio-4/articolo/il-comitato-allevatori-del-vco-entra-nel-coordinamento-nazionale-conapi.html ; https://www.quotidianomolise.com/articolo/il-comitato-allevatori-e-agricoltori-del-territorio-del-molise-nel-coordinamento-nazionale ;
L’accordo storico è stato siglato lo scorso Aprile, tra sette associazioni di allevatori dediti all’allevamento estensivo: CAAT- Comitato Allevatori e Agricoltori del Territorio (Molise); l’ETS Jura Civium ad Bonum Naturae (Abruzzo), START MATESE (Campania), Alleanza dei Pastori Aurunci e Ciociari (APAC) – (Lazio); Comitato Pastori d’Italia (Toscana), Associazione Difesa Alpeggi (ADIALPI) (Piemonte) e Comitato Salvaguardia Allevatori VCO (Piemonte). A capo del neonato Coordinamento c’è Giovanni Dalmasso (Presidente), seguito dal Molisano Guglielmo Lauro (vice Presidente), mentre Gesine Otten fungerà il ruolo di Coordinatore Internazionale. Un passo importante perché, per la prima volta, si fa concretamente rete tra associazioni e comitati che sul territorio nazionale, da anni, lottano non solo per risolvere i problemi specifici legati al mondo della pastorizia, ma per far comprendere all’opinione pubblica l’importantissimo ruolo che gioca l’allevamento estensivo sia nell’ambito della sostenibilità ambientale, nel settore del ‘Made-in-Italy’, nelle produzioni alimentari di qualità, ma anche al livello identitario e culturale. Il Coordinamento intende diventare l’interlocutore autorevole tra mondo della pastorizia e le istituzioni, nel tentativo di trovare soluzioni realmente condivise tra le parti. Al contempo, afferma Gesine Otten “faremo del nostro meglio per creare e tenere rapporti di comunicazione e collaborazione con tutte le realtà produttive ed amatoriali tradizionali legate alle attività pastorali, malghive e rurali, sia nel territorio nazionale che all’estero. Chiunque lo desidera potrà contattarci”: coordinamentonaz.conapi@gmail.com
In quest’ottica omnicomprensiva, il Coordinamento Nazionale CONAPI, non ha voluto lasciare nulla al caso, descrivendo con dovizia di particolari le finalità principali di cui dovrà occuparsi. L’obiettivo generale è quello di salvaguardare l’allevamento estensivo (brado e semi-brado) nella diversità di tutti i suoi aspetti e caratteristiche specifiche (transumanza, monticazione, pascolo stabile e vagante, etc.) e tutelare le espressioni culturali e i diritti di coloro che si dedicano alla pastorizia, con particolare riferimento alla crisi legata alla diffusione dei grandi carnivori. Ovviamente, per il raggiungimento di quest’obiettivo, bisognerà procedere con una strategia comprensiva e prospettica, che affronterà le tematiche, a 360°. Infatti, la questione delle predazioni da grandi carnivori (in particolare lupi e ibridi lupo-cane), che tanto affligge il mondo della pastorizia, non è altro che uno dei tanti sintomi di una crisi molto più ampia, legata al radicamento di un ambientalismo oltranzista, che esalta la dicotomia natura-cultura invece di ricercare il giusto equilibrio tra pratiche di conservazione ambientale, conoscenze tradizionali ed esigenze locali.
In questo contesto, come ribadito dall’Allevatore abruzzese Virgilio Morisi, membro del nuovo Coordinamento, i diritti civici, la salvaguardia ambientale, misure adeguate per contenere il crescente fenomeno delle predazioni, nonché il sostegno alle produzioni locali, fanno parte di un unicum, e sono assolutamente interdipendenti. Oggi, dice Morisi “si assiste ad un sovvertimento del tradizionale rapporto tra sostenibilità ambientale e socio-economica, a causa del logica del Rewilding e di una famigerata macchina burocratica (quella dei Parchi), ormai priva di freni, che sotto la guida cinica di tecnocrati dell’ambiente, spesso spadroneggia sulle proprietà collettive dei ‘cives’, imponendo norme illegittime, che ledono i diritti d’uso civico, costituzionalmente garantiti”. Ecco perché la questione dei diritti d’uso civico e delle collettività locali acquista un valore fondamentale. Basti pensare che la stessa Legge Quadro sulle Aree Protette (394/91), all’ articolo 11 – sezione h, 2-bis, specifica che i Parchi sono tenuti a valorizzare “altresì gli usi, i costumi, le consuetudini e le attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché le espressioni culturali proprie e caratteristiche dell’identità delle comunità locali….” . Nello stesso articolo (sez. 5.) si chiarisce che, nell’ambito dell’applicazione del regolamento del Parco: ‘restano salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali’. Nella realtà, invece, tutto questo non avviene e, spesso, i regolamenti interni dei Parchi (con i loro divieti e limitazioni) tendono a primeggiare su quelle che sono le norme nazionali di livello gerarchico superiore, facendosi beffa di quei diritti costituzionalmente garantiti. In altre parole, si sta cercano, progressivamente, di accantonate la tutela di quei diritti di godimento collettivo (pascolo, legnatico, etc.) che spetta ai componenti di una collettività delimitata territorialmente (es. abitanti di un Comune), su terreni sia di proprietà collettiva (demanio civico), sia di proprietà privata, ma su cui grava un diritto di uso civico in favore della collettività. Non a caso, come ricorda Morisi “pascolare nelle Zone Speciali di Conservazione (SIC) e nelle riserve integrali sta diventando impossibile, nonostante molte di queste aree siano tuttora coperte da uso civico e denominate di ‘Classe A’, ovvero, dove i diritti dei nativi residenti sono inviolabili”.
Secondo i membri di CONAPI, per salvare l’allevamento estensivo, e allo stesso tempo salvaguardare l’ambiente montano, non bisogna ricorrere a consulenze milionarie (come spesso avviene) nell’ambito di progetti LIFE e delle proposte, alquanto discutibili, dei ‘Rewilders’ (https://rewilding-apennines.com/it/appennino-centrale/). Per definire il giusto rapporto tra uomo e ambiente (soprattutto all’interno delle aree protette), basterebbe invece guardare con un occhio più umile e attento a ciò che già esiste sul territorio, ovvero, a quelle pratiche consuetudinarie, ben collaudate, di gestione delle risorse naturali (disponibili a kilometro zero), come ad esempio alle buone pratiche agrosilvopastorali, che la neo-costituita CONAPI vuole non solo riaffermare ma promuove ed incentivare. Non a caso, i membri del nuovo Coordinamento Nazionale, credono fortemente che ci siano ancora spazi di manovra significativi per sostenere le economie locali e il reddito delle famiglie dei comuni montani e interni, al fine di arginare lo spopolamento dei borghi e dei piccoli centri. In questo contesto, il turismo eco-sostenibile va sicuramente promosso, ma non deve essere mai visto come un’ alternativa per rimpiazzare pratiche locali, come l’allevamento brado-semibrado. Quest’ultimo, nonostante i suoi comprovati servizi ecosistemici, viene spesso visto come una minaccia all’ambiente, invece che un opportunità. Lo afferma Giovanni Dalmasso (Presidente del Coordinamento), sostenendo che “molti comuni hanno già vietato la transumanza o l’hanno limitata a determinati giorni e orari. Così, il pastore è spesso considerato un fastidio anziché una risorsa. Una visione sempre più ambientalista-animalista si sta scontrando con le nostre attività, mettendoci sempre più in cattiva luce davanti all’opinione pubblica”. Paradossalmente, tutto ciò sta avvenendo nonostante, l’UNESCO, nel 2019, ha inserito la transumanza (e tutte le pratiche e conoscenze che girano intorno ad essa) nella lista del patrimonio culturale immateriale https://www.unesco.it/it/iniziative-dellunesco/patrimonio-culturale-immateriale/la-transumanza/#:~:text=La%20transumanza%20%C3%A8%20stata%20inserita,da%20Italia%2C%20Austria%20e%20Grecia.
L’approccio olistico del nuovo Coordinamento Nazionale vuole guardare alla diversità nel suo duplice aspetto: sia quello ‘biologico’ che ‘culturale’. Le due cose vanno perfettamente insieme. Oggigiorno, quando si parla di biodiversità ci si riferisce, nella maggioranza dei casi, a ciò che è ‘selvatico’ (Wild), mentre non si da la stessa importanza a quella diversità che, di generazione in generazione, è stata selezionata da pastori e agricoltori nel corso di centinaia d’anni. Anche questa biodiversità si sta erodendo a causa di una miriade di fattori. Basti pensare alle razze antiche caprine, ovine e, in parte, di bovini e cavalli perfettamente adattati all’ambiente montano che gli allevatori di animali allo stato brado e semi-brado continuano ad allevare; ma per quanto tempo ancora? L’aumento vorticoso delle predazioni da lupo e canidi sta mettendo molti allevatori letteralmente in ginocchio, minacciando la continuità genetica dei loro stessi greggi. Tristemente, la mattanza di centinaia di capi di bestiame, spesso morti dopo sofferenze atroci, a causa delle ferite riportate durante le predazione, non riscontra lo stesso interesse mediatico rispetto alla morte di un lupo, magari investito sull’autostrada. Ma ancor peggio, c’è chi pensa che l’allevamento estensivo al pari di quello intensivo, sia un fenomeno da eradicare https://vimeo.com/863877524
Purtroppo, le risposte dello Stato, rispetto a tutto ciò che sta avvenendo, continuano ad essere inadeguate, lo afferma Mirella Pastorelli del Comitato Pastori D’Italia, anche in riferimento al cosiddetto ‘Piano Lupo’ https://www.ruralpini.it/Piano-lupo-va-bloccato.html. “Si tratta di un piano assolutamente inadeguato che delude gli allevatori e dimostra, per l’ennesima volta, che più gli allevatori richiedono soluzioni concrete, più arrivano risposte contorte e inconcludenti, che aumentano i problemi anche economici” dichiara Pastorali. In realtà, l’espansione del lupo sta snaturando le caratteristiche fondamentali dell’allevamento brado/transumante, ovvero, quello di possedere un numero significativo di bestiame che si nutre prevalentemente di biomassa vegetale spontanea a km zero, anziché di mangimi e foraggi importati dall’esterno. Venendo meno queste caratteristiche, l’allevamento estensivo non è più economicamente sostenibile per gli allevatori che tendono, così, ad abbandonare la loro antichissima professione. Ecco perché, tra gli obiettivi del neo-costituito Coordinamento ci sarà il tentativo di convincere anche altre regioni a seguire il modello della Regione Piemonte che, recentemente, ha passato una legge specifica per la salvaguardia della Pastorizia. http://arianna.cr.piemonte.it/iterlegcoordweb/dettaglioProgetto.do?urnProgetto=urn:nir:regione.piemonte;consiglio:testo.presentato.pdl:11;196&tornaIndietro=true#:~:text=2022%20Torna%20indietro-,Proposta%20di%20legge%20regionale%20n.,relativi%20valori%20culturali%20e%20sociali%22.
Unitamente a tutto questo, bisognerà fare approvare anche delibere regionali che sanciscano nuovi criteri per il risarcimento dei danni causati da fauna selvatica alle produzioni agricole, zootecniche, nonché alle strutture produttive, terreni coltivati e ai pascoli, chiedendo il riconoscimento totale (al 100 %) dell’indennizzo per i danni da predazione, oltre all’introduzione dell’indennizzo dei capi dispersi e dei danni indiretti alle perdite di produzione. Oggi, in molte regioni, gli indennizzi erogati per far fronte alle predazioni da fauna selvatica sono veramente esigui e, talvolta, non vengono neppure elargiti. Spesso, anche all’interno di molti Parchi, gli enti pagano gli indennizzi sulle predazioni soltanto quando la carcassa è stata ritrovata, ma spesso vengono tirate in ballo tutta una serie di condizionalità e cavilli burocratici, pur di non risarcire gli allevatori delle perdite subite. Anche in questo caso, ci si prende beffa di leggi nazionali, come della Legge Quadro sulle Aree Protette (394/91) che, di fatto, non vincola il pagamento dei danni a determinate condizionalità (ad esempio, l’assenza di una concimaia a norma) ma, invece, recita che gli enti parco sono tenuti “a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica… e stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi, da corrispondersi entro novanta giorni”.
Secondo i membri della CONAPI, un certo ambientalismo oltranzista sta cercando di porsi sopra le leggi dello Stato Italiano e, spesso, i Parchi si fanno forti del loro potere, e connivenze politiche, facendo si che le violazioni dei diritti di allevatori e residenti, continuino a protrarsi impunemente. Non solo gli enti responsabili per la tutela ambientale, ma la stessa opinione pubblica, andrebbero rieducati ad una visione più bilanciata di salvaguardia ambientale, che ponga i veri custodi del territorio (nel caso specifico, i pastori e allevatori di animali allo stato brado/semi-brado) al centro delle pianificazioni territoriali. Insomma, bisognerebbe sensibilizzare la società civile su queste tematiche, anche nelle scuole. Soprattutto i più giovani sono stati spesso condizionati da narrazioni ‘umanizzanti’ e ‘romanticizzate’ della fauna selvatica, che li hanno portati a pensare che un lupo sia equivalente ad un cagnolino e che i plantigradi del Trentino o dell’Abruzzo non sia poi tanto dissimile dall’orsetto Yoghi. E’ ovvio che quando questi giovani (e non sono esenti gli adulti) sono in natura, non sanno più come comportarsi con la fauna selvatica e, se magari vedono un’orsa con i piccoli (quindi potenzialmente pericolosa), gli si avvicinano per fotografarla col cellulare. E’ fondamentale riorientare, soprattutto i giovani, verso una comprensione non solo della natura, ma della cultura e delle pratiche della gente di montagna.
Ecco, perché il CONAPI vuole promuovere e sostenere iniziative di studio, per comunicare il valore e le tematiche della pastorizia e rivalutare la figura del pastore. Senza dubbio, una corretta cultura di salvaguardia ambientale, deve necessariamente basarsi sull’ obiettività e su dati empirici incontestabili, anziché su visioni ideologiche preconcette dei ‘Santoni dell’Ambiente’ che, continuano a recitare il ‘Mantra della Convivenza’ tra uomini e grandi carnivori, senza proporre soluzioni reali su come tutto ciò debba avvenire. E’ necessario, perciò, sfatare i falsi miti raccontati da quelle falangi radical chic, di un certo mondo animal-ambientalista e ‘pro-rewilding’, che nulla conosce della vita di chi la montagna la vive tutti i giorni. Per fare un esempio, si continuano a proporre i ‘recinti elettrificati’ come la soluzione migliore per prevenire le predazioni da lupo al bestiame. I membri della CONAPI, invece, sostengono che le tecniche di prevenzione proposte dal WWF, da altre organizzazioni di conservazione – e anche dai Parchi – (ovvero il confinamento del bestiame in recinti elettrificati) sono inapplicabili per chi ha mandrie numerose di equini e bovini allo stato brado, dispersi su centinaia di ettari di terreno https://agenparl.eu/2023/09/04/lupo-e-uomo-insieme-si-puo-le-ragioni-degli-allevatori/? . Ovviamente, tali mandrie non possono essere radunate insieme ogni sera, ed in un luogo specifico, come si fa – invece – per gli ovi-caprini.
Purtroppo, le argomentazioni, e certe posizioni di un certo entourage animal-ambientalista, hanno già influenzato l’opinione pubblica. Ad esempio l’idea, oggi in voga tra i sostenitori del movimento ‘Rewilding’, secondo cui la natura non va mai gestita e che sia capace di auto-rigenerarsi da sola; in quest’ottica miope, ogni intervento di controllo della fauna selvatica viene automaticamente demonizzato. I risultati di queste visioni ideologiche sono, ormai, sotto gli occhi di tutti: ad esempio in Abruzzo (ma casi analoghi avvengono anche in altre regioni) la massiccia ed incontrollata presenza di mandrie di cervi, contribuiscono a radere al suolo i pascoli e a divorare interi campi, riducendo la presenza di vegetali erbacei di cui si nutrono anche gli orsi. I cinghiali, anch’essi fuori controllo, arrecano gravi danni all’agricoltura e ai pascoli. I lupi sono in crescita e sembrano aver perso l’atavica paura verso l’uomo; le mandrie di bestiame, così, sono costantemente sotto attacco. La presenza degli orsi confidenti nei centri urbani non è ormai più un fatto eccezionale, lo dimostra il tristissimo caso di una rara orsa marsicana ‘Amarena’, uccisa la notte del 31 Agosto del 2023, a San Benedetto dei Marsi (AQ), un piccolo centro abruzzese a decine di chilometri di distanza dal perimetro del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) https://agenparl.eu/2023/09/12/lazio-apac-allevatori-pacifisti-e-animalisti-intolleranti-a-confronto-lorsa-amarena-diventa-il-simbolo-della-malagestione-del-parco-nazionale-dabruzzo-pnalm/
Alla base di tutto questo, c’è la cattiva gestione della fauna selvatica da parte dei Parchi e, più in generale, dello Stato. Ecco perché, secondo il CONAPI, è necessario, e al più presto, intraprendere tecniche gestionali della fauna selvatica che siano ben calibrate e di gran lunga più incisive, invece di continuare a difendere l’idea che la Natura, autonomamente, possa risolvere e ‘guarire’ una serie di squilibri ecologici che, di fatto, sono stati creati proprio dall’uomo.
Il 27 febbraio 2024, la Presidenza del Consiglio e i rappresentanti del Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla cosiddetta legge sul Ripristino della Natura https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20240223IPR18078/pe-via-libera-alla-legge-sul-ripristino-della-natura . Questa è parte integrante del Green Deal europeo e – non a caso – è stata fortemente voluta dai fautori del movimento ‘rewilding’. La proposta intende attuare misure per ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime dell’UE entro il 2030, e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. Sembrerebbe quasi una buona notizia, ma – purtroppo – non è così. La nuova legge sul Ripristino della Natura stabilisce specifici obiettivi e obblighi, giuridicamente vincolanti, per il ripristino della natura, in diversi tipi di ecosistemi – che includono anche i pascoli. I membri del CONAPI temono che l’attuazione di questa legge (soprattutto nel contesto dei Parchi Nazionali e delle aree protette), possa finire per imporre nuove restrizioni alle pratiche di allevamento estensivo, limitando ulteriormente l’accesso a ‘territori di vita’ che includono zone umide, pascoli e altre nicchie ecologiche, vitali per la sopravvivenza del bestiame. Va ricordato che coloro che sono dediti all’allevamento estensivo, nel nostro paese, non rappresentano che una percentuale bassissima rispetto al resto della popolazione italiana, eppure – con i loro servizi ecosistemici – contribuiscono, in modo fondamentale, a custodire ‘territori di vita’, indispensabili a garantire sostenibilità ambientale, sovranità alimentare e identità culturale. In Italia, come altrove, esiste un luogo comune, ovvero quello di dire che ‘ognuno deve cedere un po’ del suo e fare la sua parte per salvare l’ambiente’. Ovvero l’impegno per prendersi cura degli ecosistemi dovrebbe essere equamente condiviso da tutti, e ‘spalmato’ sull’intera società civile. Allora viene naturale porsi una domanda: il cittadino comune, l’impiegato statale, il personale di un’organizzazione ambientalista, i rappresentanti del mondo rurale, e coloro che praticano l’allevamento estensivo, stanno tutti dando lo stesso contributo per la salvaguardia delle nostre montagne? Decisamente, la risposta è NO!. L’onere e la responsabilità di salvaguardare il territorio e il paesaggio naturale ricade, in una forma infinitamente più significativa, su coloro (es. pastori/allevatori) che ‘in’ e ‘con’ quel territorio ci vivono e lo utilizzano abitualmente, da generazioni. E allora, al netto di tutto questo, cosa offrirebbe lo Stato Italiano, i Parchi e l’intero mondo ambientalista a queste categorie, per farsi carico della tutela di quelle aree isolate e marginali (es. territori pascolivi e praterie) del nostro paese? La risposta, purtroppo, si traduce nell’aumento incontrollato di una burocrazia opprimente e cavillosa, unitamente ad una lista infinita di restrizioni e limitazioni di norme europee calate dall’alto, sempre più vincolanti, che invece di garantire il delicato equilibrio tra salvaguardia ambientale e protezione delle pratiche di gestione tradizionali, lo alterano in modo irreversibile. Non è un caso che 387 Miliardi di Euro, in 7 anni, quasi un terzo di tutto il budget dell’Unione Europea, è stato impiegato per finanziare le multinazionali dell’agroalimentare (quelle che inquinano di più, distruggendo l’ambiente ed infischiandosene del benessere animale). https://www.iene.mediaset.it/video/barraco-bruxelles_1315098.shtml?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR28xvJSwgmjL86V1aCvwnzR-21lUYjHrGYsr-LxhUqCmfR9jlNI-uCA194_aem_AYuvvXj9nU3N6mwcGLA1F_YbENOETZRwmxeef0taKgDuxqCK7WDxAhBMi3JHLpbliWBdCl6dl5xWf8RKtcE7FTMf
E’ ormai chiaro che questioni così importanti, dovranno essere portate, al più presto, all’attenzione dei tavoli istituzionali. La montagna e le cosiddette ‘aree marginali, devono ritornare ad essere ‘territori di vita’ https://www.iccaconsortium.org/manifesto-per-i-territori-di-vita/, ovvero luoghi in cui le persone che, per generazioni li hanno abitati, possano sentirsi pienamente a casa loro, vivendoci e sfamando le proprie famiglie e continuando ad usare l’ambiente naturale, come hanno fatto – responsabilmente – per secoli. I pastori, e coloro che praticano l’allevamento brado/semi-brado, non vivono soltanto ‘in montagna’, vivono ‘con la montagna’, ne conoscono profondamente la sua biologia, le sue caratteristiche intrinseche, mutamenti e trasformazioni. Continuare a negare questo immenso bagaglio di pratiche e conoscenze sostituendolo, invece, con il ‘rinselvatichimento del territorio’ proposto dai pseudo-esperti di ‘Rewilding Europe’, non è soltanto una follia ma significherebbe accantonare una parte fondamentale del nostro stesso patrimonio culturale, un aspetto pregnante di quel retaggio storico di noi italiani. Bisogna, quindi, voltare pagina e ripensare radicalmente a nuove strategie e politiche di conservazione che siano rispettose dei diritti di uso civico e delle aspirazioni dei residenti. In questo contesto, gli obiettivi programmatici della neocostituita CONAPI non rappresentano soltanto un’opzione auspicabile, ma una necessità, ormai, inderogabile.
Dario Novellino, PhD. e’ antropologo e difensore dei diritti umani ed ambientali