
(AGENPARL) – mar 09 aprile 2024 “Giovani 2024: il bilancio di una generazione”
Pubblicato il rapporto EURES per il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la
Gioventù
? L’Italia ha perso in venti anni oltre un quinto dei giovani, diventando ultima in Europa per la
presenza di under 35;
? Migliorano gli indicatori del mercato del lavoro. Ma al Sud la disoccupazione giovanile è pari a tre
volte quella del Nord;
? Il lavoro dei giovani è sempre più instabile e discontinuo, anche nel settore pubblico;
? Basse retribuzioni per i giovani del settore privato. Meglio il lavoro pubblico, ma negli ultimi 5 anni
calano i salari reali;
? Crisi di rappresentatività e crollo della rappresentanza: soltanto un elettore su 5 ha meno di 35 anni,
e i giovani eletti alla Camera crollano sotto il 7%;
? Istituzioni ancora distanti dalle esigenze dei giovani, cresce la fiducia nell’Europa;
? 7 giovani su 10 preoccupati dall’ingresso nel mondo del lavoro. Molestie, ricatti e vessazioni, timori
diffusi tra le giovani;
? Sono salute e famiglia i fattori centrali per la qualità della vita di un giovane;
? Il contrasto alla violenza di genere e la lotta alla mafia, interventi prioritari per migliorare la qualità
della vita dei giovani;
? I giovani si sentono poco compresi dagli adulti nelle loro fragilità.
Roma, 9 aprile 2024 – Il Consiglio Nazionale dei Giovani e l’Agenzia Italiana per la Gioventù hanno
presentato il nuovo rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione”, sulla condizione giovanile
in Italia. Un lavoro per tracciare un quadro dettagliato delle principali sfide e delle opportunità che i
giovani italiani affrontano oggi, offrendo al contempo spunti concreti per politiche future.
Il documento rivela dati preoccupanti riguardanti la demografia, l’istruzione e l’occupazione,
evidenziando in modo particolare la riduzione demografica dei giovani, il fenomeno della fuga di
cervelli, la precarietà lavorativa e la disuguaglianza territoriale e di genere. Tuttavia, il rapporto non
getta solo luce su problemi persistenti, ma apre anche alla speranza, proponendo vie d’uscita basate
sull’innovazione, l’inclusione e la sostenibilità.
L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un calo significativo
nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni, abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5
milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Questo fenomeno ha colpito
particolarmente il segmento femminile, con una diminuzione di quasi il 23% contro il quasi 20%
maschile. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione allarmante: siamo gli ultimi
per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione Europea.
La fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno
optato per l’espatrio nel 2021, un aumento del 281% rispetto al 2011. Questo scenario si accompagna
a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35,
evidenziando una condizione di incertezza e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i
più giovani.
Le disparità territoriali aggiungono un ulteriore livello di complessità, con il Sud Italia che registra tassi
di disoccupazione giovanile notevolmente superiori rispetto al Nord, e dove il salario medio annuo dei
giovani lavoratori è significativamente più basso. Queste condizioni sfavorevoli si riflettono anche sulla
capacità dei giovani di accedere a opportunità di lavoro stabili e retribuzioni adeguate, influenzando
negativamente la qualità della vita e le aspettative future.
Le basse retribuzioni dei giovani nel settore privato rappresentano una problematica significativa. Nel
corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato (15-34
anni) si è fermata a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore. Questa
disparità retributiva si manifesta anche nei diversi tipi di contratto: i giovani con contratti stabili
percepiscono in media 20.431 euro, mentre coloro con contratti a termine e stagionali guadagnano
rispettivamente 9.038 euro e 6.433 euro. Nel settore pubblico, invece, i giovani lavoratori (15-34 anni)
hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, che rappresenta una
volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, nonostante un incremento nominale delle
retribuzioni dal 2018, sia nel settore privato sia in quello pubblico, considerando l’inflazione, si registra
una diminuzione del potere d’acquisto, con una variazione negativa delle retribuzioni reali pari al 1,7% nel privato e al -7,5% nel pubblico.
Dal punto di vista politico e sociale, la diminuzione della popolazione giovanile ha avuto ripercussioni
evidenti sull’ elettorato giovane, che in 20 anni si è drasticamente ridotto – passando dal 30,4% del
2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Più rilevante il dato sulla rappresentanza politica, il taglio
dei Parlamentari ha colpito quasi esclusivamente gli under 35, con un drastico calo dei giovani eletti,
che tra il 2018 e il 2022 hanno subito un decremento dell’80%, passando da 133 a 27, determinando
un’influenza sempre minore dei più giovani. L’indagine realizzata tra i giovani italiani mostra un forte
senso di alienazione dalle istituzioni, percepite come inefficaci nel rispondere alle loro esigenze: solo
il 12% esprime un giudizio positivo sulla sensibilità delle istituzioni verso le problematiche giovanili e
per l’85% del campione il livello di attenzione politica nei confronti dei giovani è inadeguato. La
percezione cambia se si guarda all’Unione Europea, che riceve una piena sufficienza (6/10) nell’indice
di fiducia.
Il percorso formativo viene valutato positivamente dalla maggior parte delle ragazze e dei ragazzi, con
un apprezzamento particolare per le opportunità offerte da programmi europei come l’Erasmus+.
Tuttavia, la realizzazione personale e professionale rimane ostacolata da barriere significative, tra cui
l’instabilità occupazionale e l’accesso limitato all’abitazione, che impediscono una piena transizione
verso l’indipendenza e la vita adulta.
Le preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano il panorama giovanile, con la
paura di precarietà e sotto-retribuzione che si sommano ai timori di ricatti, molestie o vessazioni sul
posto di lavoro, indicati dal 17,5% dei giovani.
Cosa serve agli under 35 per diventare adulti? Per affrancarsi dai genitori, condizione primaria è quella
di ottenere un lavoro stabile. Allo stesso modo, per crearsi una famiglia, quasi il 70% dei giovani indica
il bisogno di una situazione economica adeguata. A proposito di genitorialità, più del 60% degli
intervistati esprime il desiderio futuro di avere figli. Il 72% del campione, inoltre, attribuisce un ruolo
centrale al fenomeno della denatalità.
Nel rapporto tra generazioni, colpisce il fatto che secondo l’opinione di tre intervistati su quattro
(quasi il 75%), gli adulti comprendano “poco” (61%) o “per niente” (più del 13%) le esigenze e il vissuto
dei giovani, in particolare le paure e fragilità (quasi il 61% delle indicazioni), seguito da aspirazioni e
sogni (circa il 50%).
Questi dati sottolineano l’urgenza di interventi politici e sociali mirati a migliorare le condizioni di vita
e le prospettive dei giovani in Italia, attraverso la promozione di un mercato del lavoro più stabile e
inclusivo, una maggiore valorizzazione delle competenze e un dialogo intergenerazionale rinnovato.
La ricerca “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione ” è stata realizzata dal Consiglio Nazionale dei
Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù, con il supporto scientifico di EU.R.E.S. Ricerche
Economiche e Sociali.
Dichiarazione di Maria Cristina Pisani, Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani: “Viviamo
un’epoca contrassegnata da cambiamenti rapidi e spesso imprevedibili. Questo Rapporto mette in
luce le problematiche con cui i giovani si confrontano quotidianamente ed è per questo uno strumento
utile per orientare le nostre scelte. La riduzione demografica, l’instabilità lavorativa, le difficoltà
reddituali, le disuguaglianze territoriali e di genere, il calo della loro rappresentanza nei contesti
istituzionali, delineano uno scenario complesso che richiede un intervento strutturato. Eppure,
contemporaneamente, l’indagine evidenzia una capacità di resilienza notevole tra i giovani, una
fiducia verso l’Europa e un desiderio profondo di contribuire attivamente al cambiamento sociale ed
economico del nostro Paese. Il ruolo di ciascuno di noi è cruciale nell’interpretare queste voci, nel
tradurre le preoccupazioni e le speranze in azioni concrete e nel realizzare strumenti che possano
valorizzare e supportare i ragazzi e le ragazze in ogni ambito della loro vita. Negli ultimi 5 anni, sono,
infatti, calati i salari reali, in particolare le retribuzioni per i giovani del settore privato sono scese a
medie sempre più basse, toccando i 9.546 euro annui per gli under 24. La centralità di un lavoro stabile
per costruire una vita autonoma, risulta ancora oggi la maggiore richiesta giovanile (65,7%), con una
percentuale sempre più alta tra le ragazze. La sfida che ci attende è impegnativa. È necessario un
impegno collettivo per promuovere l’istruzione di qualità, l’inserimento lavorativo, l’equità sociale e
di genere, e per rafforzare la rappresentanza giovanile a tutti i livelli decisionali. Sono azioni che
devono andare di pari passo con l’intensificazione degli sforzi per contrastare ogni forma di
discriminazione e di esclusione economica e sociale, per garantire a tutti l’accesso alle opportunità,
alla salute e al benessere, preservandone i diritti e ascoltandone le voci. Allo stesso modo, occorre
rafforzare la comprensione delle loro difficoltà soprattutto alla luce che per tre giovani su quattro gli
adulti comprendano “poco” o “per niente” le loro paure e loro fragilità. È per questo che ci
impegniamo a garantire che le esigenze di questa generazione e le loro istanze siano ascoltate in tutte
le sedi in cui si discute e si decide del loro futuro, per far si che le loro difficoltà diventino priorità per
il nostro Paese”.
Dichiarazione di Federica Celestini Campanari, Commissario straordinario dell’Agenzia Italiana per la
Gioventù: “I dati emersi nel rapporto di ricerca fanno emergere una realtà difficile, in cui i problemi
che i giovani italiani vivono ormai da più di un decennio risultano certamente aggravati dalla
pandemia, dalla guerra e dalle recenti crisi economiche. Tuttavia, possiamo cogliere dei segnali
positivi: l’attenzione per il tema della natalità e della famiglia, non scontati in una Nazione che sta
vivendo quello che gli esperti chiamano “inverno demografico”; il ruolo determinante dei genitori che restano il primo e più importante esempio nel percorso di crescita dei giovani italiani; il ruolo
importante dei Programmi europei nella formazione e nella propensione alla partecipazione attiva; la
fiducia nell’Unione Europea, legata forse anche alla stabilità trasmessa dalle istituzioni comunitarie;
l’attenzione al tema della legalità. Pur continuando a registrare numeri assoluti preoccupanti, va detto
anche che nel 2023 abbiamo visto un aumento del tasso di occupazione dei giovani e delle donne e la
diminuzione della percentuale dei NEET. La strada da percorrere è lunga ma dobbiamo lavorare per
infondere speranza e fiducia nel futuro: è compito delle istituzioni ascoltare i giovani, capirne le
aspettative, i sogni e le paure e cercare risposte strutturali per permettere ai nostri ragazzi di realizzarsi
in Italia, se vorranno, scegliendo di andare all’estero solo per scelta e non per necessità. Questo è
l’impegno dell’AIG, affianco all’opera quotidiana del Ministro Abodi e del Governo Meloni nel
rimuovere le cause del disagio giovanile e gli ostacoli alla piena realizzazione dei nostri giovani.”
Il Consiglio Nazionale dei Giovani è l’organo consultivo cui è demandata la rappresentanza dei giovani nella
interlocuzione con le Istituzioni per ogni confronto sulle politiche che riguardano il mondo giovanile, istituito con
Legge n.145/ 2018.
È organo consultivo del Governo su materie e politiche che abbiano impatto sulle giovani generazioni; esprime
pareri e formula proposte su atti normativi di iniziativa del Governo su materie che interessano le/i giovani; collabora
con le Amministrazioni pubbliche elaborando studi e predisponendo rapporti sulla condizione giovanile, utili a
definire le politiche per le/i giovani; si impegna a riconoscere e promuovere il dialogo tra le istituzioni e le
organizzazioni giovanili; promuove la cittadinanza attiva delle/dei giovani e, a tal fine, sostiene l’attività delle
associazioni giovanili, favorendo lo scambio di buone pratiche e incrementando le reti tra le stesse; agevola la
formazione e lo sviluppo di organismi consultivi delle/dei giovani a livello locale; partecipa ai forum associativi
europei e internazionali incoraggiando la comunicazione, le relazioni e gli scambi tra le organizzazioni giovanili dei
diversi Paesi; promuove e sostiene progetti d’interesse dei giovani; favorisce l’incontro di organizzazioni giovanili
supportandone progettualità comuni in linea con le finalità e i principi fondamentali del Consiglio.
Per ulteriori informazioni
Ufficio Stampa Consiglio Nazionale dei Giovani
Per ulteriori informazioni
UTOPIA – Media Relations Agenzia Italiana della Gioventù
Gaia De Scalzi – Elisa Tortorolo
SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI
GIOVANI 2024: IL BILANCIO DI UNA GENERAZIONE
Ultima in Europa per la presenza di under35. L’Italia ha perso in venti anni oltre un quinto dei giovani
– Tra il 2002 e il 2023 l’Italia ha visto diminuire di 3,4 milioni di unità il numero dei giovani residenti
(15-35 anni), passati da 16,1 milioni a 12,7 milioni di unità, subendo quindi una perdita di oltre un
quinto dei propri giovani (-21,2%).
Ancora più consistente la flessione nella componente femminile (-22,8%, a fronte del -19,7% per
quella maschile), dove risulta inferiore la compensazione della denatalità da parte dei fluissi migratori
in ingresso. Tale flessione, più ampia di quella maschile in tutte le classi di età, arriva a superare il 30% in quella “25-35 anni”.
Molto negativo risulta inoltre il risultato del confronto tra i 27 Paesi europei, dove l’Italia si colloca in
ultima posizione per la presenza di giovani (il dato Eurostat considera la fascia 18-34 anni), con
un’incidenza di appena il 17,4%, a fronte del 19,4% della media UE, con scarti particolarmente rilevanti
rispetto ai Paesi più virtuosi (23,7% in Lussemburgo, 22,1% in Danimarca, 21,9% nei Paesi Bassi e 21,7%
in Svezia).
Demografia differenziata: l’inverno demografico colpisce soprattutto le regioni del Sud – Le forti
modificazioni della struttura demografica, che pure muovono dalle dinamiche naturali, rimandano
direttamente all’attrattività dei territori, ed ai processi migratori che ne derivano. Negli ultimi venti
anni, infatti, mentre il Nord ha visto diminuire i giovani del 16,9% e le regioni del Centro del 18,9%, il
calo è stato del 27,3% al Sud dove, secondo gli ultimi dati disponibili, risiede il 36% dei giovani italiani,
a fronte del 45,1% al Nord e del 18,9% al Centro.
Gli effetti dell’inverno demografico sono peraltro chiaramente riscontrabili anche negli ultimi anni: tra
il 2019 e il 2022, infatti il saldo negativo, pari a -378 mila giovani di 15-34 anni residenti in Italia (2,9%), risulta fortemente concentrato al Sud (-309 mila unità e -6,5%), a fronte di una perdita meno
marcata al Centro (-65 mila unità e -2,7%) e di una sostanziale tenuta demografica dei giovani al Nord
(-0,1% e -4,7 mila unità).
Pochi laureati, e sempre più in fuga verso l’estero (+281% in 10 anni) – Se il tema delle alte
competenze è sempre più centrale nei processi di innovazione e nella competitività tra sistemi,
colpisce particolarmente come in Italia l’incidenza dei laureati nella fascia 25-34 anni (29,2%) risulti
fortemente inferiore alla media europea (42%) e lontanissima da quella dei paesi più virtuosi quali
l’Irlanda (62,3%), il Lussemburgo (61%), i Paesi Bassi (56,4%), la Svezia (52,4%) e il Belgio (51,4%).
Inoltre nel solo 2021 sono quasi 18 mila (17.997 unità) i giovani laureati che hanno lasciato l’Italia per
trasferirsi all’estero, con una crescita del 281% rispetto ai 4.720 del 2011, che raggiunge il +402% tra i
giovani del Sud, a fronte del +283% al Centro e del +237% al Nord.
Ma un “trasferimento di cervelli” si rileva anche all’interno del Paese: dei 56 mila giovani laureati che
hanno lasciato la propria regione nel 2021, ben il 48,6% era del Sud, con un saldo negativo interno
pari a -17,8 mila unità, assorbite in larga misura dalle regioni del Nord (+14,7 mila unità) e,
secondariamente, da quelle del Centro (+3,1 mila).
Migliorano gli indicatori del mercato del lavoro. Ma al Sud la disoccupazione giovanile è pari a tre
volte quella del Nord – Nel 2023 in Italia il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) ha raggiunto il
45% (20,4% nella fascia “15-24 anni” e 68,1% in quella “25-34 anni”), con una crescita di 1,3 punti
percentuali rispetto al 2022, pur rimanendo ancora distante dall’indice riferito all’intera popolazione
(61,5%). Anche il tasso di disoccupazione giovanile, pari al 13,4% nel 2023 (22,7% nella fascia 15-24
anni e 10,3% in quella 25-34) indica una dinamica positiva, registrando una flessione di 1 punto
percentuale rispetto al 14,4% del 2022.
Resta tuttavia alto il differenziale territoriale, con un tasso di occupazione giovanile fermo al Sud al
33,1%, contro il 47,3% al Centro e il 53,4% al Nord; analogamente il tasso di disoccupazione (15-34
anni) raggiunge al Sud un valore (23,9%) pari al triplo di quello del Nord (8%) e ad oltre il doppio di
quello del Centro (11,1%). Consistente anche il differenziale di genere, con un tasso di occupazione
femminile (15-34 anni) del 38,6%, a fronte del 51% per quello maschile.
Lavoro dei giovani sempre più instabile e discontinuo, anche nel settore Pubblico – In Italia i giovani
lavoratori del settore privato (5,5 milioni, pari al 91,5% dei giovani dipendenti totali) vivono una
condizione di diffusa e crescente discontinuità lavorativa: il 40,9% degli under35enni ha infatti un
contratto precario (a tempo determinato o stagionale), contro il 59,1% con contratto stabile, cioè a
tempo indeterminato o in apprendistato (erano il 59,4% nel 2018). I lavoratori stabili scendono al
42,3% del totale nella fascia 15-24 anni, per attestarsi al 67% in quella successiva (25-34 anni).
Ancora più negativi i dati relativi alle nuove attivazioni contrattuali (2023) che, in linea con una
tendenza trasversale del mercato del lavoro, tra gli under 30 risultano “precarie” nel 79,8% dei casi e
soltanto nel 20,2% “stabili” (10,3% a tempo indeterminato e 9,9% in apprendistato).
Analoga risulta la situazione nel settore pubblico (dove lavorano 516 mila giovani under35), dove gli
“atipici” rappresentano il 48,6% del totale dei giovani dipendenti (erano il 47,7% nel 2018), a fronte
del 51,4% di lavoratori stabili (nella fascia 15-24 anni nel settore pubblico i “precari” arrivano tuttavia
a rappresentare il 74,4%).
La precarietà contrattuale sopra descritta, si traduce in una discontinuità strutturale sul piano
lavorativo e salariale: nell’anno 2022 soltanto il 39,0% dei giovani dipendenti del settore privato ha
infatti ricevuto 12 o più mensilità retributive dal datore di lavoro, mentre per il 32,7% il periodo
retribuito è risultato inferiore a 6 mesi (il 19,5% “fino a tre mensilità” e il 13,2% “da tre a meno di 6
mensilità”), con effetti dirompenti sulla qualità e sui progetti di vita e, a lungo termine, sul futuro
pensionistico.
Basse retribuzioni per i giovani del settore privato. Meglio il lavoro pubblico, ma negli ultimi 5 anni
calano i salari reali – Nel 2022 la retribuzione lorda media annua dei giovani (15-34 anni) lavoratori
dipendenti del settore privato ammontano a 15.616 euro (9.546 euro nella classe “15-24 anni” e
18.447 in quella “25-34 anni”), a fronte dei 22.839 euro complessivamente censiti nel settore. Più in
particolare i risultati retributivi si legano alla situazione contrattuale, con valori pari a 20.431 euro per
i giovani con contratti stabili, a fronte dei 9.038 euro dei giovani lavoratori con contratti a termine e
dei 6.433 euro tra gli stagionali. Differenziali significativi si rilevano inoltre in base al genere, con
retribuzioni medie pari a 17.436 tra gli under35 maschi, contro 13.233 euro tra le femmine, così come
a livello territoriale: al Sud, infatti, le retribuzioni medie dei giovani si attestano a 11.594 euro, contro
i 14.722 mediamente percepiti al Centro e, soprattutto, a fronte dei 17.692 euro dei giovani del Nord.
Per quanto riguarda il settore pubblico, nel 2022 le retribuzioni lorde dei lavoratori giovani (15-34
anni) raggiungono i 23.253 euro (34.153 la media del settore), pari ad una volta e mezzo quelle del
settore privato.
Sia per i giovani lavoratori del settore privato sia per quelli della pubblica amministrazione le
retribuzioni risultano in crescita, a livello nominale, rispetto al 2018 (rispettivamente +1.200 euro e
+693 euro); tuttavia, considerate al netto dell’inflazione, le variazioni assumono un segno negativo,
con valori pari, rispettivamente, al -1,7% e al -7,5%.
Crisi di rappresentatività e crollo della rappresentanza: soltanto un elettore su 5 ha meno di 35
anni… e i giovani eletti alla Camera crollano sotto il 7% – La crisi demografica ha effetti diretti anche
sul “peso” dell’elettorato giovane, che in 20 anni si è drasticamente ridotto, passando l’incidenza degli
under35 “aventi diritto al voto” dal 30,4% del 2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Inoltre i dati
demoscopici indicano un forte disinteresse dei giovani al voto, con livelli di astensionismo che alle
ultime elezioni politiche hanno raggiunto il 42,7%, a fronte del 36,1% rilevato dal Ministero
dell’Interno per l’intero elettorato.
Ancora più rilevante il dato sull’elettorato passivo, che ha visto drasticamente ridursi la
rappresentanza dei giovani: il taglio dei Parlamentari, previsto dalla Modifica costituzionale dopo il
referendum del 2020 ha infatti colpito quasi esclusivamente la componente più giovane (fino a 35
anni) che tra il 2018 e il 2022 ha subito un decremento dell’80%, scendendo da 133 a 27 eletti, cioè
dal 21,1% ad un marginale 6,8% del totale, a fronte del -24,9% tra gli over35. Contestualmente l’età
media degli eletti è salita di oltre 5 anni, passando dai 44,1 anni del 2018 ai 49,3 del 2022.
Indagine campionaria
Indagine realizzata all’interno di un campione rappresentativo di giovani residenti in Italia di età compresa tra i 15 e i 35 anni, stratificato per fascia
di età, genere e area geografica di residenza, tra dicembre 2023 e febbraio 2024. Coinvolte 20 regioni e 503 comuni. Questionari “validi”, cioè completi
e correttamente compilati: 1.702. Errore campionario a ±2,4% ad un livello di fiducia del 95%.
Istituzioni ancora distanti dalle esigenze dei giovani. Cresce la fiducia nell’Europa – L’85,1% dei
giovani giudica inadeguato il livello di sensibilità e attenzione delle Istituzioni verso le esigenze dei
giovani (per il 43,6% è “piuttosto inadeguato” e per il 41,5 “del tutto inadeguato”), raggiungendo tale
opinione l’88,2% nella fascia 25-35 anni e l’87,5% tra le ragazze; soltanto un giovane su 8 (il 12,1%)
esprime invece una valutazione positiva, definendo l’attenzione delle Istituzioni “abbastanza
adeguata” (9,1%) o “del tutto adeguata” (3%).
A tale riguardo il 36,3% del campione non individua alcuna area di “eccellenza” nelle politiche
pubbliche degli ultimi dieci anni, mentre gli interventi più significativi sono indicati nelle politiche per
la natalità (15,1% delle citazioni), per la scuola/istruzione (14,6%), per la cultura (12,2%) e per
l’Università e la formazione (10,9%). In termini negativi, le maggiori criticità sono invece individuate
nelle politiche per il lavoro (47,7% delle adesioni) e nelle politiche sociali e per la salute mentale (33,5%
delle citazioni, che raggiungono il 41,8% tra le ragazze).
Pur in presenza di un basso livello di fiducia verso le Istituzioni complessivamente intese, l’Unione
Europea riceve una piena sufficienza (con un voto pari a 6/10), mentre decisamente inferiore risulta
l’indice di fiducia verso le altre istituzioni ed attori sociali, con valori pari a 5,5/10 per il sistema
universitario, a 4,9/10 per il sistema imprenditoriale, a 4,8 per il sistema scolastico, a 4,4 per le
Istituzioni locali ed a 3,8/10 per le Istituzioni Centrali (Governo e Parlamento), presumibilmente
perché considerate “colpevoli” di non mettere in campo il potenziale normativo e finanziario di cui
dispongono per migliorare davvero la condizione dei giovani.
Giovani soddisfatti del percorso formativo, soprattutto in ambito europeo – Il percorso formativo
seguito, sulla cui scelta hanno inciso nel 43,7% dei casi le capacità e caratteristiche del giovane e
soltanto nel 28,3% le opportunità lavorative attese, ha soddisfatto “molto” o “abbastanza” il 74,4%
dei giovani intervistati (contro il 25,6% di insoddisfatti). All’interno di questa valutazione, di particolare
interesse risulta il giudizio sulle opportunità offerte dall’Unione Europea attraverso le articolazioni del
programma Erasmus+, cui il 22,8% dei giovani intervistati afferma di aver partecipato. Il 77,2% indica
invece di non aver avuto tale esperienza, a conferma di quanto sarebbe importante incrementare
ulteriormente i finanziamenti al riguardo: l’80,2% dei partecipanti ai Programmi ha infatti affermato
che tale esperienza formativa ha modificato il percorso formativo o professionale (il 40,9% “molto” e
il 39,3% “abbastanza”), mentre soltanto il 19,8% indica un impatto “debole” (15,9%) o, marginalmente
(3,9%) “assente”.
Un lavoro stabile per diventare adulti – Se la grande criticità dei giovani italiani è quella
dell’autonomia e della piena transizione alla vita adulta, la pre-condizione necessaria affinché possano
lasciare la casa materna/paterna è quella di trovare un lavoro stabile, indicata dal 65,7% del campione
(71,3% tra le ragazze, a fronte del 58,6% tra i maschi). Accanto al lavoro stabile, la transizione alla vita
adulta implica l’avveramento di altre condizioni materiali, quale la disponibilità di una casa a prezzi
accessibili (33,7% delle indicazioni) o quella di risparmi per poter fronteggiare eventuali imprevisti
(20,6%). Circa un terzo del campione, prima poter lasciare la casa paterna/materna attende di
terminare il percorso di studi (36,7%), l’11,6% di trovare un lavoro anche saltuario e il 9,1% di avere
una relazione affettiva stabile (evidentemente prefigurando l’uscita di casa come subordinata ad una
scelta di coppia). Marginale risulta infine la percentuale di intervistati che vincola l’uscita dalla casa
dei genitori alla disponibilità di una casa vicina a quella materna/paterna (2%), all’attesa di un figlio
(1,1%), o che sceglie di restare a vivere a casa con i propri genitori, nonostante disponga delle
condizioni materiali e/o relazionali per cambiare orizzonte (2,1%).
… e per pensarsi genitori. Cresce il rifiuto della genitorialità tra i giovani disoccupati – Anche per
rilanciare la natalità o, quanto meno, per frenare la dinamica naturale decrescente, il fattore
discriminante è indicato dai giovani in una condizione economica adeguata (69,4% delle citazioni), che
può essere garantita soltanto da un lavoro stabile (53,4%). Più distanti risultano le altre “condizioni”,
quali una solida relazione di coppia (39,2%), la disponibilità di tempo da trascorrere con i figli (28,1%),
la fiducia nel futuro (28%) e la situazione alloggiativa (20%). In coda alla graduatoria si collocano invece
la presenza di incentivi economici (15%) e di servizi per l’infanzia (11,7%, che salgono rispettivamente
al 18,7% e al 14,6% tra le ragazze), evidenziando come soltanto un cambiamento strutturale potrà
generare a medio termine un’inversione di tendenza, mentre le politiche dei bonus e degli incentivi,
pur utili, rischiano di favorire unicamente quelle coppie che hanno già acquisito stabilità e sicurezza a
livello economica e lavorativo.
Al di là delle problematiche sopra evidenziate, se una forte maggioranza dei giovani intervistati (il
60,3%) esprime il desiderio di avere in futuro dei figli (cui si aggiunge il 3,9% che ne ha già uno o più di
uno), sul fronte opposto un giovane su sette (il 15%) afferma di non volerne (e il 20,7% non esprime
una posizione al riguardo). Il “rifiuto della genitorialità” risulta peraltro più elevato tra le ragazze
(17,2% contro il 12,8% dei maschi), tra i disoccupati (al 19,8%, contro l’11,9% tra gli occupati stabili) e
nelle altre condizioni di vulnerabilità (16,7% tra i NEET e 15,8% tra i lavoratori precari), riaffermando
ancora una volta come la costruzione del futuro non può che investire l’intero percorso di vita, se non
si vuole che la rinuncia diventi il nuovo paradigma di quote sempre più consistenti di un’intera
generazione.
Il 71,5% dei giovani riconosce comunque un ruolo centrale al tema della denatalità: il 35,5% lo
considera infatti “una reale emergenza per il Paese”, mentre un altro 36% lo definisce “un problema
reale”. Sul fronte opposto, meno di un quinto dei giovani ritiene che la denatalità rappresenti
“soltanto” una dinamica naturale, in atto in tutto l’Occidente (19,5%), mentre per l’8,9% dei giovani si
tratta di un tema veicolato con eccessivo allarmismo dai mass media.
7 su 10 preoccupati dall’ingresso nel mondo del lavoro. Molestie, ricatti e vessazioni, timori diffusi
tra le giovani – Il 68,4% dei giovani intervistati si dice “preoccupato” (il 25,4% “molto” e il 43%
“abbastanza”) pensando al proprio ingresso nel mondo del lavoro, salendo tale indicazione al 75,8%
tra le ragazze (a fronte del 60,4% tra i loro coetanei maschi) e al 71,1% tra i giovani del Sud, con scarti
consistenti sul campione del Nord (65,3% delle indicazioni) e del Centro Italia (69,9%). Sul fronte
opposto, soltanto il 19,4% risulta “poco preoccupato” e un residuale 7,1% “per niente preoccupato”
Al primo posto tra i timori dal campione si colloca quello di trovare un lavoro sottopagato (54,7%) o
per lungo tempo instabile/precario (47,3%). La “disoccupazione di lunga durata” costituisce inoltre
fonte di preoccupazione per il 35% del campione, così come quella di non trovare opportunità idonee
alle proprie competenze (36,5%), o di trovare un lavoro dequalificato (28,4%). Soltanto in coda alla
graduatoria delle preoccupazioni dei giovani si collocano il timore di dover lavorare nei giorni festivi
e/o in orari notturni (8,6%) e quella di doversi trasferire in un’altra regione/paese (13,8%), restituendo
una fotografia dei giovani del tutto antitetica rispetto alla superficiale narrazione dei “fannulloni” (o
come è stato detto, dei choosy), troppo spesso strumentalmente veicolata dai media o da altri
interlocutori, generalmente ipertutelati.
Da sottolineare, infine, il diffuso timore di dover subire ricatti, vessazioni o molestie sul lavoro, indicato
da ben il 17,5% dei giovani, che arriva a raggiungere il 24% tra le sole intervistate (9,7% tra i coetanei
maschi), che per esperienza diretta o riferita denunciano come la mancanza di tutele, all’interno di un
rapporto asimmetrico e sempre più disuguale, rischi di trasformare in una prassi diffusa anche i
comportamenti più riprovevoli e penalmente rilevanti.
Coerentemente, il tema dei diritti e delle tutele (39,6%), le pari opportunità (26,3%), il contrasto alle
molestie/violenze sul lavoro e la tutela della sicurezza sul lavoro (12,8% delle citazioni) rientrano tra
le priorità delle giovani generazioni, seppure in secondo piano rispetto alle questioni “strutturali” del
reddito/livello salariale (58% delle citazioni), dalla stabilità contrattuale/contrasto alla precarietà
(44,9%) e di un maggiore riconoscimento del merito (34,5% delle indicazioni).
Quando le raccomandazioni contano più delle competenze – Nell’indicare i fattori che “regolano”
l’ingresso di un giovane nel mondo del lavoro, il campione delinea un dualismo tra le
capacità/competenze personali (37,8%) e le raccomandazioni (37,7%), ovvero l’appartenenza ad un
sistema di relazioni forte in grado di alterare i meccanismi di “libero” accesso alle opportunità. Un
giovane su 4 (il 25,1%) indica inoltre la volontà e determinazione, mentre uno su 5 (il 19,4%) attribuisce
un peso significativo alla posizione sociale della famiglia di origine, riferendosi ancora una volta al
“capitale relazionale” di cui si dispone; secondo il 19,3% del campione occorre inoltre essere dotati di
adattabilità e flessibilità, per il 16,1% di serietà e affidabilità, mentre il 15,4% cita l’immagine e la
capacità di presentarsi. In coda i giovani collocano la propensione alla subalternità/sottomissione e
alla spregiudicatezza/carrierismo (con il 6,7% e il 6,5% delle citazioni), ovvero due tratti “estremi” di
funzionalità e/o di adesione ad una sottocultura di impresa che privilegia il controllo individuale alla
qualità complessiva delle relazioni tra le risorse umane.
L’equilibrio tra competenze e raccomandazioni lascia il campo a posizioni più nette nelle diverse
componenti del campione, prevalendo il “disincanto” tra il giovani-adulti (25-35 anni) e nella
componente femminile, che collocano le raccomandazioni al primo posto tra i fattori che agevolano
l’accesso al mercato del lavoro (rispettivamente con il 39% e il 41,2% delle citazioni); diversamente
nel campione più giovane (15-24 anni) e in quello maschile prevalgono le citazioni relativa alle
competenze/capacità individuali (rispettivamente con il 39,7% e il 36,7% delle citazioni).
Il lavoro nella Pubblica Amministrazione torna un’opzione vincente. E il terzo settore seduce più
delle PMI e delle imprese artigiane – La percezione diffusa di instabilità e di sotto-retribuzione quali
componenti ormai strutturali del mercato del lavoro sembra spiegare l’affermazione della Pubblica
Amministrazione quale settore e contesto lavorativo di riferimento per gli intervistati, che la collocano
al primo posto tra le proprie aspirazioni occupazionali (con il 24,3% delle citazioni, che salgono al
26,5% tra le donne e al 30,7% al Sud). Tale opzione elettiva precede quella dell’ingresso in una
multinazionale (20,7%) e del lavoro autonomo (20%), mentre ancora più distante risulta la “capacità
attrattiva” del lavoro in una grande impresa italiana (13,7%). Non marginali, infine, le indicazioni
relative al lavoro nel Terzo Settore (12,8%), quanto meno per la sua capacità prefigurata di
gratificazione sul piano valoriale, mentre in ultima posizione si collocano le piccole imprese (con
appena l’8,5% delle indicazioni), che pure costituiscono la quota più consistente della domanda di
lavoro.
Salute e famiglia i fattori centrali per la qualità della vita di un giovane. Soltanto ultimo l’amore L’esperienza della pandemia e le sue profonde ferite sembrano aver modificato la gerarchia dei fattori
che determinano la qualità della vita dei giovani: al primo posto, infatti, il campione colloca la salute
(fisica e mentale), con un voto medio pari a 8,9/10, che precede la famiglia (con un voto medio pari a
8,6/10) e gli amici (8,3/10), ovvero i tre contesti maggiormente condizionati dalle prescrizioni del
lockdown e del distanziamento sociale. Pur confermandosi importanti, scendono leggermente nella
gerarchia indicata la formazione e la cultura (8,2/10), il denaro (7,9/10) e l’amore (7,1/10) che appare
soggetto ad una forte trasformazione – così come il riferimento alla coppia – dove l’indipendenza
prevale sull’interdipendenza e dove la costruzione di un piano condiviso succede, soprattutto tra le
ragazze, all’acquisizione della piena autonomia e ad un progetto compiuto di autodeterminazione.
È infatti proprio la parità di genere (con un voto medio pari a 8,9/10) il principale riferimento valoriale
del campione, seguito dalla “tolleranza, rispetto e riconoscimento delle diversità” e dal valore della
“accoglienza, inclusione e solidarietà” (entrambi con un voto pari a 8,7/10).
Circondati dall’illegalità. Il contrasto alla violenza di genere e la lotta alla mafia, interventi prioritari
per migliorare la qualità della vita dei giovani – In piena coerenza con quanto emerso in alcuni
passaggi della ricerca, il contrasto alla violenza di genere rappresenta, secondo il 56,8% del campione
(69,9% tra le ragazze e 42,5% tra i ragazzi) il primo e più importante ostacolo da rimuovere per
migliorare la qualità della vita dei giovani; al secondo posto gli intervistati collocano la lotta alla
criminalità organizzata (45,5% delle citazioni, che salgono al 56,5% tra i giovani del Sud), capace di
condizionare nel profondo la vita e le relazioni di una comunità; seguono le richieste relative al
contrasto alle discriminazioni (41,9%), alla violenza giovanile (35,5%), allo spaccio di stupefacenti
(31,9%), alla corruzione (27,8%) e alla ludopatia (10%).
Il “rischio percepito”, e quindi la richiesta di interventi, non rispecchia le indicazioni emerse sulla
diffusione dei fenomeni illegali, tra i quali, al primo posto i giovani collocano lo spaccio/traffico di
stupefacenti (88,3% delle indicazioni), cui seguono i fenomeni di discriminazione (“molto” o
“abbastanza diffusi” per l’83,3% del campione), la corruzione (81,2%), la violenza di genere (79,4%), il
gioco d’azzardo (75,4%), la violenza giovanile (74,6%) e la criminalità organizzata (73,4%, che sale
alll’80,2% nel campione del Sud).
Adulti incapaci di accedere al mondo interiore dei giovani. Fragilità e paure le grandi incomprese –
La distanza nei modelli, nei valori, nella progettualità e nella ricerca di senso, che tradizionalmente
caratterizza il passaggio tra le generazioni, sembra assumere nel corso del tempo la forma di una
cesura sempre più marcata, amplificata dalla rivoluzione digitale che ha dirottato lo spazio sociale dei
giovani in una dimensione spesso indecifrata o comunque impenetrabile dal mondo adulto. Al di là
della naturale distanza che delimita lo spazio tra le generazioni, colpisce il fatto che secondo l’opinione
di tre intervistati su quattro (il 74,7%) gli adulti comprendano “poco” (61,1%) o “per niente” (13,6%)
le esigenze e il vissuto dei giovani.
A risultare incompresa è la dimensione interiore/introspettiva dei giovani, ovvero lo spazio delle paure
e fragilità (60,7% delle indicazioni), e quello delle aspirazioni e dei sogni (49,4%); inferiori le citazioni
relative ai modelli/valori (35,7%) ed ai linguaggi (21%), ovvero al piano del comportamento manifesto;
la percentuale inferiore di risposte si rileva infine per quanto riguarda i bisogni materiali, dove
soltanto il 7,9% dei giovani affermano che il mondo adulto non riesca a capirne le esigenze.
Dal disagio e dall’incomprensione all’interno del contesto familiare traggono origine, per il 69,1% dei
giovani, i fenomeni antisociali o violenti come il bullismo; ma nella genesi della violenza giovanile
trovano spazio anche la scarsa autostima e la difficoltà di inserimento sociale (34%), il desiderio di
accettazione (29%) e l’adesione a modelli culturali negativi veicolati dai social (24,4%).
Le madri, più dei padri, esempi e modelli di riferimento per i giovani – Nonostante le criticità
segnalate nell’interazione con il mondo adulto, circa 8 giovani su 10 considerano i propri genitori come
modelli di riferimento ed esempi da seguire, prevalendo tuttavia le citazioni relative alla figura
materna rispetto a quella paterna (84,8% contro il 77% per il padre), sia nel campione maschile sia in
quello femminile (rispettivamente 84% e 85,6% contro il 78,4% e il 75,7% per il padre). Tale asimmetria
diviene una vera e propria divaricazione nei giudizi dei giovani con genitori sparati/divorziati, tra i quali
soltanto per il 67% dei maschi e per appena il 54,2% delle femmine il padre continua a rappresentare
un esempio da seguire, mentre sembra addirittura rafforzarsi il riferimento materno (78,5% tra i
maschi e 83,9% tra le femmine). Più che di residui patriarcali sembra avanzare il tempo della
“evaporazione del padre”.