
(AGENPARL) – gio 28 settembre 2023 Fegato grasso:
svelato l’identikit della variante più aggressiva che colpisce le donne
Uno studio dei ricercatori di Policlinico di Milano e dell’Università degli Studi di Milano ha
utilizzato tecniche di sequenziamento ed editing genetico combinate a simulazioni con organoidi
per scoprire l’interazione tra una variante genetica e il sesso femminile, responsabile
dell’insorgenza della steatosi epatica nelle donne. La pubblicazione su Nature Medicine.
Milano, 28 settembre 2023 – Da oltre 30 anni, la scienza cerca di trovare una spiegazione a come la
diversità tra sessi influenzi l’applicazione della medicina, la risposta alle terapie e la resilienza alle
patologie. La salute, infatti, non è neutra ma può avere diverse declinazioni in base al sesso del
paziente.
Le risposte ottenute dalla medicina sono sempre più precise anche grazie all’uso di tecnologie
avanzate e delle ultime frontiere dell’ingegneria genetica. Come nel caso del lavoro internazionale,
recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature Medicine, coordinato dai ricercatori del
Policlinico di Milano e dell’Università degli Studi di Milano. Una ricerca che ha messo in luce i
meccanismi molecolari alla base di una forma rapidamente progressiva di steatosi epatica (più
comunemente nota come “fegato grasso”) nelle donne in menopausa.
La steatosi epatica (Steatotic Liver Disease o SLD) è la principale malattia del fegato che interessa
un terzo della popolazione mondiale ed è in costante aumento, soprattutto tra le donne. È causata
da un accumulo di grassi in eccesso nel fegato che innesca uno stato di infiammazione cronica a
livello epatico. Alla base dell’SLD c’è l’interazione di diversi fattori: stili di vita e regimi alimentari
scorretti, alcune patologie – tra cui il diabete e l’obesità -, predisposizione ereditaria, aumento di
colesterolo e trigliceridi, ipertensione arteriosa e sovrappeso. A complicare il quadro è la
“silenziosità” del fegato grasso – spesso sospettato solo dopo un riscontro occasionale di esami del
sangue alterati (ad esempio le transaminasi) – ma anche il fatto che non siano ancora disponibili
terapie per contrastare la progressione a forme avanzate. Si ritiene che nei prossimi dieci anni
diventerà la principale causa di cirrosi, trapianto e tumore del fegato, in particolare nel sesso
femminile. Nonostante durante l’età fertile gli estrogeni proteggano le donne dall’SLD, si è visto che
dopo la menopausa alcune pazienti presentano una forma più grave di questa malattia.
Per chiarire questo aspetto, i ricercatori del Policlinico e della Statale di Milano hanno sviluppato
uno studio che ha visto la partecipazione di diversi centri internazionali, con più di 4mila pazienti
affetti da SLD. Inoltre, è stata studiata una coorte di quasi 5mila donatori di sangue, che fanno parte
dei programmi di prevenzione cardiometabolica della Medicina Trasfusionale del Policlinico, diretta
da Daniele Prati.
Grazie a moderne tecniche di laboratorio, come sequenziamento genetico di nuova generazione,
organoidi e CRISPR-Cas9, è stato possibile mettere in evidenza un’interazione specifica tra il sesso
femminile e la variante genetica PNPLA3 p.I148M nel determinare l’insorgenza e la severità della
SLD. Precedenti studi avevano già dimostrato l’associazione di questa mutazione con un rischio
aumentato di cirrosi e tumore epatico a causa della produzione di una proteina alterata che non è
in grado di eliminare i trigliceridi dagli epatociti. I ricercatori hanno però osservato che la proteina
PNPLA3 “mutata” è presente soprattutto nel fegato delle donne rispetto a quelli degli uomini.
Una differenza da attribuire alla presenza di una specifica sequenza di DNA di questo gene alla
quale si legano i recettori degli estrogeni e che inducono l’espressione del gene PNPLA3 anche in
risposta a bassi livelli ormonali. Con le modificazioni ormonali e metaboliche legate alla
menopausa, dunque, il rischio di SLD aumenta nelle donne portatrici della variante p.I148M, che
causa un accumulo nelle gocce lipidiche delle cellule del fegato, portando a infiammazione e
formazione di tessuto cicatriziale (o fibrosi epatica). I dati sono stati ottenuti con lo studio di linee
cellulari epatiche e “mini-fegati” – sviluppati in laboratorio dai ricercatori guidati da Luca Valenti,
professore associato di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Milano e responsabile del
Centro di Risorse Biologiche del Policlinico di Milano – e confermati dall’analisi dell’ampio studio di
popolazione presente nella Biobanca del Regno Unito.
“Questa pubblicazione sottolinea l’importanza di coinvolgere, insieme a grandi collaborazioni
multicentriche e biobanche capaci di raccogliere i dati genetici di vaste popolazioni, i donatori di
sangue nei progetti di ricerca sulle patologie di natura genetica e metabolica. Le coorti di donatori,
oltre a fornire dati di riferimento fondamentali per gli studi genetici, permettono di monitorare e
definire le fasi subcliniche delle malattie, facilitando la progettazione di programmi mirati di
prevenzione e terapia” commenta Luca Valenti.
Un risultato importante ottenuto dal grande lavoro di squadra dei ricercatori di molti team del
Policlinico, dalla Medicina Trasfusionale, all’Anatomia Patologica fino alla Medicina ad indirizzo
metabolico, alla Gastroenterologia ed epatologia, alla Chirurgia Generale – Trapianti di fegato, che
hanno collaborato a vario titolo nello sviluppo della ricerca.
“Lo studio, oltre a definire un meccanismo molecolare chiave nella progressione della SLD nelle
donne, suggerisce nuovi trattamenti terapeutici che tengono conto sia della variabilità genetica che
della storia clinica del paziente. Questi nuovi approcci di medicina di precisione potrebbero rivelarsi
particolarmente efficaci nelle donne che sviluppano la steatosi soprattutto dopo la menopausa”,
spiega Alessandro Cherubini, ricercatore del team della Medicina Trasfusionale e primo autore
dell’articolo.
Ufficio Stampa Policlinico di Milano
02.5503.4557
Ufficio Stampa Università Statale di Milano