
[lid] Il 10 Settembre, nella prima mattinata, i rappresentanti di tre organizzazioni di allevatori: COSPA-Abruzzo, APAC-Lazio e CAAT-Molise hanno organizzato un sit-in a San Benedetto dei Marsi (AQ) per portare solidarietà ad una popolazione che, fino a qualche giorno fa, viveva tranquilla e che – dopo l’uccisione dell’orsa ‘Amarena’ – è diventata vittima di un attacco mediatico senza precedenti, che non ha risparmiato nessuno: ne’ cittadini ne’ istituzioni locali. “L’intera collettività è stata considerata alla stregua di criminali, nemici giurati degli orsi. Abbiamo ricevuto minacce via internet e sulle nostre pagine FB…e questo non possiamo e non vogliamo più tollerarlo”, dice M.R., un semplice cittadino di questa piccola comunità del Fucino. Gli allevatori delle tre associazioni hanno portato le loro istanze all’attenzione del Sindaco di San Benedetto Antonio Cerasani, entrando in un dialogo franco e pacato con i residenti che, dopo un primo momento di naturale diffidenza, hanno dato man forte all’iniziativa. “Sono molto contento di com’è andata” dichiara Dino Rossi, presidente del COSPA Abruzzo “i cittadini di San Benedetto sono stati solidali con noi, ci hanno offerto perfino da bere. Singoli individui ci hanno manifestato il loro disagio per il linciaggio mediatico di cui sono stati vittime. Siamo così entrati in sintonia con la gente senza urla, senza sbandierare vessilli, senza processioni di autobus. Ci siamo comportati semplicemente come persone che incontrano altre persone, non con il desiderio di condannare nessuno ma soltanto per capirne qualcosa di più. In questo senso, la nostra è stata una vera iniziativa pacifista” (la documentazione dell’evento è disponibile online https://vimeo.com/laziopastorizia).
Ben diversa, invece, la manifestazione “un Futuro per l’Orso” organizzata da varie associazioni ambientalista/animaliste che ha avuto luogo nella stessa mattinata a Pescina (AQ) e poi nel pomeriggio, nuovamente, a San Benedetto dei Marsi (AQ). Tra le istanze principali di queste associazioni c’era quella di chiedere una pena esemplare per chi ha sparato l’orsa ‘Amarena’, ed un inasprimento delle pene per coloro che si macchiano di reati contro gli animali in generale, ed in particolare contro quelli inerenti la fauna selvatica. E’ ironico e paradossale che coloro che si dichiarano tolleranti e pacifisti non hanno avuto alcuna esitazione a definire l’autore dell’uccisione dell’orsa uno spregevole assassino, facendo a gara tra di loro su chi si dovesse costituire parte civile in giudizio. Addirittura un esponente dell’Ente Nazionale Protezione Animali (E.N.P.A.) ha dichiarato: “la morte di ‘Amarena’ è un lutto nazionale e chiedo che lo Stato si costituisca in giudizio contro l’assassino”. La lapidazione verbale di Andrea Leonbruni (il cittadino di San Benedetto che ha sparato l’orsa) è proseguita con gli stessi toni aspri durante l’intera manifestazione. Massimo Vitturi della LAV (Lega Anti Vivisezione) lo ha definito “un assassino…che ha reso ‘Amarena’ un simbolo e come tale, l’ha resa immortale”. E per questo, ha aggiunto “Amarena continuerà a vivere dentro di noi”. Antonella Giordanelli del “Comitato Orsi Si sulle Alpi” ha rincarato la dose definendo il Leonbruni ‘un matricida’. Neppure il Sindaco si è sottratto al crescente clima di vendetta, annunciando – invece – che anche la sua giunta si sarebbe candidata come parte civile. Commentando l’evolversi della situazione Virgilio Morisi di Pescasseroli, insieme ad altri suoi colleghi allevatori, ha condannano la gogna mediatica che è stata messa in atto durante l’intera manifestazione, affermando che “lo Stato deve intervenire e non consentire che si facciano processi sommari in piazza, questa è una cosa inconcepibile visto che siamo all’interno di una nazione democratica in cui lo stato di diritto deve essere assolutamente rispettato”. Anche vari esponenti del movimento ambientalista e animalista, tra cui il Vitturi ha condannato il clima d’odio che sta spaccando la nostra società in pro-orsi e contro-orsi, in pro-lupi e contro-lupi, in pro-cinghiali e contro-cinghiali. Gli ha fatto eco, un esponente dell’E.N.P.A che, commuovendosi, ha dichiarato “vogliamo un’Italia diversa, che è quella viva e presente, che è quella forte e gentile, esattamente come la nostra amata orsa Amarena”. A questo punto, è assolutamente lecito porsi una domanda cruciale ed improrogabile: perché la polarizzazione tra animalisti/ambientalisti e il mondo degli allevatori e agricoltori sembra acuirsi sembra di più e, ormai, appare quasi impossibile trovare il benché minimo punto di accordo? La risposta a questo quesito va ricercata nelle posizioni assolutiste dello stesso movimento animalista che con le sue visioni rigide, intransigenti e dogmatiche non lascia alcuno spazio al dialogo. A testimonianza di questo sono le parole di Massimo Vitturi del LAV, secondo cui, per risolvere il problema delle predazioni da grandi carnivori e la conseguente sofferenza e morte del bestiame predato, bisognerebbe evitare il problema alla radice “chiudendo definitivamente con il modello allevatoriale che oggi conosciamo, che è quello degli allevamenti intensivi e quelli allo stato brado e semi-brado”. E’ ovvio che una posizione così poco conciliante, non può altro che favorire (invece di disinnescare) il clima d’odio che lo stesso Vitturi, e molti degli altri esponenti presenti alla manifestazione, dicono di condannare.
Chiunque condivida il verdetto che l’allevamento debba finire, accetta – necessariamente – anche l’idea che un’antichissima economia, come quella della pastorizia, vecchia di millenni e l’intero sistema culturale che la caratterizza – nonché l’identità e la stessa sopravvivenza degli allevatori – debbano essere cancellati per sempre con un colpo di spugna, facendosi beffa di numerose convenzioni e dichiarazioni internazionali che tutelano tale pratica. Lo stesso UNESCO, nel 2019, ha inserito la transumanza (e tutte le pratiche e conoscenze che girano intorno ad essa) nella lista del patrimonio culturale immateriale. Ma per gli animalisti, tutto questo sembra non avere alcun senso. Di fronte a queste prese di posizione oltranziste che abortiscono alla nascita qualsiasi forma di dialogo pacifico, la posizione degli allevatori (spesso considerati come dei burberi aggressivi) appare notevolmente più moderata e pacata. Quest’ultimi, infatti, non sono alla ricerca di un capro espiatorio e, di fatto, non attribuiscono le colpe della morte di ‘Amarena’ unicamente all’individuo che ha premuto il grilletto e che, facendolo, ha commesso reato. Sul banco degli imputati principali c’è il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) e la sua gestione fallimentare della fauna selvatica. Parliamo di un Ente che, grazie alla sua incompetenza, non ha incoraggiato una sana ‘convivenza’, ma ha permesso che crescesse la ‘confidenza’ dei grandi predatori verso l’uomo. “Se oggi gli orsi fanno razzie in ristoranti e pizzerie, entrano nelle case e arrivino perfino al quarto piano delle palazzine (episodi, questi, puntualmente riportati dalla stampa), ciò non è per niente normale. Tutto ciò poteva e doveva essere evitato” dice Giuseppe Ferrari, presidente dell’APAC (Alleanza Pastori Aurunci e Ciociari). Per molti allevatori che vivono il territorio tutti i giorni, l’arrivo degli orsi in paese è direttamente proporzionale alla scarsità di risorse alimentari in montagna, in buona parte dovuto ai soprannumero di cinghiali e cervi. Quest’ultimi radono al suolo pascoli e divorano interi campi, riducendo la presenza di vegetali erbacei di cui si nutrono anche gli orsi. La penuria di cibo per gli orsi, in montagna, è anche dovuta alla massiccia presenza di cinghiali, specie opportunista, anch’essa onnivora, che entra, perciò, in competizione con l’orso per quanto riguarda l’uso di alcune risorse naturali (es. le fagiole del faggio). Quindi, alla base dello sconfinamento degli orsi nei centri abitati, c’è la mala gestione della fauna selvatica da parte del Parco. Quest’ultimo avrebbe potuto e dovuto investire fondi e risorse per attuare interventi di rifocillamento per gli orsi con altane di frutta e verdure scartate dai supermercati e dalle industrie di lavorazione degli ortaggi. Tutto ciò non è stato fatto. I meleti che erano stati originariamente impiantati per offrire un’ulteriore fonte di cibo per gli orsi, sono ormai abbandonati. “La catastrofica gestione della fauna selvatica da parte del Parco è ormai sotto gli occhi di tutti!” afferma Dino Rossi di COSPA-Abruzzo.
Alla manifestazione ambientalista/animalista sia a Pescina, che a San Benedetto dei Marsi, diversi relatori del mondo ambientalista hanno affermato che, oggi, gli allevatori possono accedere facilmente agli indennizzi a seguito delle predazioni dei loro animali. Inoltre hanno ribadito che l’impiego di misure deterrenti, come recinti elettrificati, può ridurre in modo significativo le predazioni. “Siamo stanchi di ascoltare la solita litania, circa indennizzi facili e misure di anti-predazione efficaci, nessuna di queste due cose è vera, e ne siamo noi stessi i diretti testimoni” ha dichiarato Marco Izzi, allevatore Molisano di Cerro al Volturno (IS), anch’egli presente al sit-in di San Benedetto. Infatti, all’interno del Parco, l’Ente paga gli indennizzi sulla predazioni soltanto quando la carcassa viene trovata, ma ciò non è la regola. I danni indiretti da lupo non vengono assolutamente calcolati o indennizzati. Tali danni includono la perdita di latte e aborti tra gli animali sopravvissuti, ma fortemente stressati dagli attacchi. Al di fuori del parco, accedere ad indennizzi equi è praticamente impossibile. Per quanto riguarda le recinzioni elettrificate, queste si possono trasformare in trappole mortali per gli stessi animali, soprattutto quando i lupi imparano ad oltrepassarle predando il bestiame impazzito, al loro interno. Inoltre molti allevatori dediti all’allevamento estensivo (pascolo brado e semi-brado) posseggono mandrie di mucche e cavalli disperse su un ampio territorio e, per questo, sarebbe impossibile radunare il bestiame ogni sera all’interno di recinti elettrificati.
Gli allevatori presenti al sit-in, hanno denunciato anche l’incostituzionalità del piano di pianificazione territoriale, pubblicato tra Settembre e Dicembre 2022, dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Questo strumento, totalmente calato dall’alto, senza nessun tentativo di coinvolgere in modo partecipativo le comunità locali, contiene regole contrarie all’ordine giuridico dello Stato Italiano ed è gravemente lesivo dei diritti costituiti dei residenti, con particolare riferimento agli usi civici. Cosa ancor più grave, tale piano contraddice quegli stessi principi fondamentali elencati nella Legge Quadro sulle Aree Protette (394/91), con particolare riferimento al rispetto dei “diritti reali e gli usi civici delle collettività locali” che, anche all’interno del Parco, vanno considerati inalienabili.
Ma la cosa più grave, secondo gli organizzatori del sit-in, è che il Parco ha totalmente fallito nel coinvolgere la gente del territorio, in primis allevatori e contadini, in processi partecipativi volti alla co-gestione delle risorse naturali. Per queste motivazione, tutti gli allevatori presenti al sit-in di San Benedetto hanno chiesto le dimissioni del Presidente Giovanni Cannata e del Direttore Luciano Sammarone del PNALM e, nello specifico, per non essere stati in grado di mettere in atto procedure d’intervento – prevenzione e controllo volte a ridurre l’abituazione degli orsi ai centri abitati. Di sicuro, avrebbero potuto e dovuto farlo, visto che tali interventi sono contemplati in un protocollo redatto dallo stesso parco nel 2012. La somma cumulativa di tutte queste carenze si è oggi tradotta nell’aumento di orsi confidenti e problematici.
Quindi, per concludere, la tragica fine dell’orsa ‘Amarena’ poteva essere evitata, se il Parco – tra i vari interventi mai attuati – si fosse fatto promotore di opere di rifocillamento per gli orsi, con altane di frutta e verdure scartate dai supermercati e dalle industrie di lavorazione degli ortaggi, e se si fosse preso cura dei meleti originariamente impiantati per offrire un’ulteriore fonte di cibo a questi animali. Tutto ciò non è stato fatto e, adesso, è infinitamente più comodo far ricadere la morte di un magnifico esemplare di orso marsicano esclusivamente su un singolo individuo che, pur avendo sbagliato, non è di certo l’unico colpevole.


