
(AGENPARL) – ROMA lun 20 marzo 2023
Signor Presidente della Repubblica,
desidero ringraziarLa anche a nome dell’intero Consiglio Nazionale Forense e delle avvocate e avvocati italiani, per l’attenzione costante che nel corso di questi anni ha manifestato nei nostri confronti e la Sua presenza oggi, oltre che essere per noi un grande onore, conforta il nostro impegno e soprattutto sostiene e rafforza il senso della nostra funzione.
Saluto e ringrazio la Prima Presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano, il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Fabio Pinelli e il Vice Ministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto.
Saluto le Autorità presenti.
Tutte le componenti dell’Avvocatura (Consigli dell’Ordine, Unioni Regionali, Consigli Distrettuali di Disciplina, Comitati Pari Opportunità, Associazioni).
Il Presidente di Cassa Forense Valter Militi.
Il Coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense Mario Scialla.
Desidero infine ringraziare i componenti dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Nazionale Forense e tutte le Consigliere e i Consiglieri che hanno accompagnato, stimolato, sostenuto il percorso, certamente complesso, realizzato e condiviso in questo mandato.
Ritengo opportuno, anche per una questione di tempo, rinviare l’analisi delle attività consiliari e i dati relativi all’attività giurisdizionale, alla relazione dettagliata a cura del nostro Ufficio studi che ringrazio, che, come di consuetudine, sarà contestualmente messa a Vostra disposizione.
In questa sede, invece, mi soffermerei brevemente su alcuni dati, non ordinari né statistici, che però descrivono, mi auguro in misura adeguata, il metodo e le azioni, l’impegno e gli obiettivi coltivati dal Consiglio Nazionale Forense.
L’anno trascorso, appena compiuto, per la nostra Giustizia, come è noto, è stato caratterizzato da tanti ostacoli che hanno minato e incrinato il già precario rapporto di fiducia con i cittadini, reso complesso il rapporto tra gli operatori di Giustizia, quale funzione pubblica, soprattutto in relazione ai poteri dello Stato ovvero legislativo, esecutivo e giudiziario.
In nome di una sovranità, certamente legittima ma eccessivamente astratta, autorevole ma a tratti apparsa autoritaria, sono stati imposti limiti, tempi e obiettivi, utilizzando, fin troppo lo strumento certamente poco incline alla concertazione della decretazione d’urgenza che di fatto ha ridimensionato, o peggio contratto, sia la discussione sia una serena valutazione delle conseguenze e soprattutto dei rischi a cui è stata esposta la Giustizia nel suo insieme.
Eppure, con non poche difficoltà, abbiamo tentato di non smarrire l’attenzione e la cura che si deve al diritto. Il diritto a chiedere giustizia, ancor prima del diritto ad ottenerla non può, infatti, considerarsi avulso dal principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini, ai quali vanno assicurate pari ed eque opportunità di accesso alla giurisdizione e di tutela piena e indiscriminata.
L’avvocatura non ha perso occasione di segnalare il pericolo, talvolta evidente, altre volte subdolo, di “scollamento” tra esigenze di tutela e le proposte modificative individuate, di rappresentare dubbi, perplessità e infine anche un non trascurabile disagio per l’utopistica visione (priva delle scintille rinascimentali ispiratrici di modelli di felicità dove la cultura domina e informa le regole di vita delle comunità) di un sistema efficiente efficace equo e solidale.
A poche settimane dall’entrata in vigore di gran parte delle norme che regolano (?) il nuovo processo civile, oltre ad essere evidenti i denunciati difetti di coordinamento tra le fonti, è emersa in maniera chiara l’attuale inadeguatezza di strutture e di risorse. La stessa inadeguatezza che ancora impedisce l’attuazione delle norme che invece regolano il nuovo processo penale. Nel processo civile l’esercizio dell’attività di difesa rischia di essere e di diventare ancora più marginale, esposta irragionevolmente ad essere giudicata temeraria.
Riti disseminati di decadenze, oneri, spettri di inammissibilità rendono l’ambito di operatività inquinato da troppe variabili.
Nel penale il rischio è ancora più grande, soprattutto in tema di impugnazioni, quando legittimamente il difensore esigerà di esercitare in pieno e fino in fondo il suo mandato che consiste appunto nell’esercizio del diritto di difesa. Oltre e al di là dei contenuti è proprio l’approccio concettuale, il tema ideologico sotteso alle riforme che non può essere condiviso, come abbiamo rappresentato e denunciato in tutte le occasioni utili e anche in quelle (non poche) inutili. Tante le audizioni a cui il Consiglio Nazionale Forense ha partecipato: in tema di parametri su nostra proposta come da legge, e poi con quei contenuti approvata, in tema di equo compenso, fino all’emendamento della scorsa settimana, avente ad oggetto la richiesta di estensione dell’applicazione della legge a tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, e soprattutto alle convenzioni in corso, sottoscritte prima dell’entrata in vigore della legge; in tema di accesso alla professione ed esame di stato e ancora, su avvocato monocommittente, trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere, ordinamento giudiziario, riforma fiscale, riforma della giustizia civile, penale e tributaria, geografia giudiziaria, ufficio del processo, giustizia complementare, codice della crisi. Oltre 40 gli emendamenti realizzati e proposti, alcuni dei quali recepiti.
Peraltro, il mandato conferito dal Congresso di Catania prima e di Lecce poi alle sue rappresentanze era ed è naturalmente vocato al contenuto delle mozioni approvate e delle raccomandazioni che attengono a queste tematiche.
Dovrebbe sicuramente farci riflettere la circostanza che in tutte le occasioni di concerto e di condivisione su materie e temi di comune interesse, sia con le componenti dell’avvocatura (parametri, equo compenso, riforma ordinamento giudiziario e ruolo dell’avvocatura nei consigli giudiziari, tribunale delle persone e famiglie, riforma fiscale, compensazione dei crediti con i debiti e con gli oneri previdenziali) o con gli altri ordini professionali (codice della crisi, processo di esecuzione, riforma fiscale, sussidiarietà) con la magistratura (organizzazione degli uffici, protocolli: questa volta adottati per arginare i danni dell’entrata in vigore delle riforme) l’attenzione di chi deve recepire indicazioni e contributi non solo aumenta in termini di quantità e qualità ma consente di conseguire risultati in tempi brevi.
Sarebbe stato quindi non solo più efficace ma anche simbolicamente importante se i protagonisti della giurisdizione Magistratura e Avvocatura insieme e perché no, con funzioni e ragioni diverse, la componente amministrativa (che in maniera ancora più diretta ha contezza della scarsità e della inadeguatezza di risorse materiali e umane, subendo anche loro la fatiscenza delle strutture che oggi ospitano la giustizia) avessero comunicato in maniera forte e chiara il proprio dissenso nei confronti di interventi scarsamente rimediari e certamente non risolutori ma soprattutto manifestato la forte preoccupazione (che in un sistema democratico non può che essere condivisa) di vedere i cittadini ai margine della Costituzione piuttosto che al centro come si può come si deve. Del resto, sia l’avvocatura che la magistratura presente ai tavoli (in misura nettamente diversa e non equilibrata) hanno poi subito il disagio di doversi esprimere su progetti sensibilmente diversi da quelli licenziati dalle commissioni a cui seppur in minima parte (per unità e non per contenuto) avevano dato il loro contributo.
E invece questa “comunione di intenti e di dichiarazioni” è stata purtroppo intempestiva.
Abbiamo sprecato tempo prezioso nel rimettere in discussione quello che dovrebbe essere immanente al tessuto costituzionale e alla natura delle nostre diverse ma complementari funzioni. L’avvocatura che esprime un parere in seno ai consigli giudiziari ha allarmato più del rischio di fallimento delle riforme e di non conseguimento degli obiettivi a cui siamo vincolati e attinti.
Certo se avesse voluto, l’avvocatura avrebbe potuto manifestare, in maniera forse più eclatante e certamente più efficace, il proprio dissenso nei confronti di una riforma “peggiorativa” del già difficile stato in cui versa la giustizia, revocando o facendo venir meno la sua disponibilità a contribuire in maniera tangibile ed evidente alla sostenibilità della stessa.
Ma ancora una volta è occorso e ha soccorso il grande senso di responsabilità nei confronti del sistema, dell’ordinamento, dei cittadini e quindi della Costituzione.
E proprio questo grande senso di responsabilità che ci appartiene e sono certa ci accomuna, deve oggi caratterizzare l’impegno e la determinazione a reagire in maniera costruttiva e tecnica anche motivandoci nel partecipare ai gruppi di lavoro ministeriali, istituiti e istituendi.
Sono tanti, infatti, i gruppi di lavoro che l’attuazione della riforma prevede ed esige come necessari per rendere fattuale il generale e l’astratto. Bisogna allora che avvocatura e magistratura insieme chiedano con voce ferma interventi emendativi e non solo con finalità di mero seppur utile monitoraggio. Non è solo l’esercizio del diritto di difesa che rischia di essere sacrificato.
L’imperativo poco categorico ma molto autoritario delle esigenze di statistica mina sicuramente i diritti dei cittadini, ridimensiona e sacrifica la funzione dell’avvocato ma rischia anche di trasformare il magistrato in burocrate. E non è certamente questo che renderà la nostra giustizia efficiente ed efficace tempestiva e giusta.
Forse adottare come sistema la preventiva consultazione degli interpreti della funzione giurisdizionale rappresenterebbe un apprezzabile oltre che virtuoso cambio di passo e di immagine.
Per questo genere di coinvolgimento e con queste intenzioni l’avvocatura è pronta, deve essere pronta.
Soprattutto l’avvocatura che insiste e resiste, quella che abbiamo voluto e vogliamo accompagnare nel cambiamento. Solo pochi mesi fa, sempre in occasione del Congresso di Lecce abbiamo affrontato il tema della nostra identità, dei principi inderogabili che la caratterizzano ma anche esplorato nuovi ambiti e nuovi possibili percorsi, non necessariamente incompatibili con la natura del ruolo e le finalità della funzione. In quell’occasione, insieme all’Organismo Congressuale Forense, abbiamo ribadito la necessità di essere riconosciuti come risorsa per la Giustizia e quindi per il Paese. Abbiamo di fatto neutralizzato un tabù, ovvero quello di pensare all’avvocatura anche con un ruolo di “prevenzione” e di mirata e mirabile consulenza. Imparare a governare, conoscendole, le nuove tecnologie per non subirne supinamente gli effetti e valorizzare finalmente la grande opportunità dell’attività di sussidiarietà a favore di imprese, istituzioni e cittadini. Anche per questo e soprattutto perché non possiamo ignorare le difficoltà, e le criticità che riguardano la nostra professione, il suo esercizio, l’organizzazione del lavoro, le incertezze applicative di alcune norme che hanno troppe volte provocato l’intervento dell’autorità giudiziaria, l’Avvocatura dovrà farsi trovare pronta alla Sessione ulteriore del Congresso che si terrà a Roma in autunno. Non possiamo esigere chiarezza dal legislatore se non facciamo chiarezza al nostro interno.
L’avvocatura, però, con altrettanta cura e con rinnovata consapevolezza e mai sopito entusiasmo, deve convincersi e convincere di avere un ruolo fondamentale nell’avanzamento dei diritti e nella promozione dei nuovi diritti; “L’avvocato vigila sulla conformità delle leggi”, così recita il nostro codice deontologico e per leggi intende tutto il contesto normativo e di principi costituzionali e dell’ordinamento europeo. Espressione di straordinaria forza e modernità, così viene definita, che ci impone una prima riflessione sull’esatta declinazione della funzione sociale dell’avvocato, ovvero quella di contribuire a riaffermare diritti fondamentali, anche nella forma primitiva e difenderli al cospetto di chi degrada strumentalmente la loro difesa a mera retorica. Ministero che non può certo considerarsi esaurito nelle aule, peraltro ancora troppo vuote, di giustizia ma anche e soprattutto nella quotidianità della sua vita sociale e di relazioni. L’avvocato, anche quando crede di essere e di vivere come un semplice cittadino deve avvertire il dovere ontologico di essere altrettanto vigile e diligente nell’osservare questi stessi principi. E ancora, nell’affermare convinti che il nostro compito è soprattutto quello di tutelare i diritti degli altri, dovremmo poi essere altrettanto convinti che i diritti, se riconoscibili come tali, non possono che essere uguali e come tali non discriminati e non divisibili.
Forte di questo convincimento il Consiglio Nazionale Forense ha deciso di dedicare l’apertura dell’ultimo Congresso giuridico di aggiornamento per gli avvocati ad un nuovo statuto dei diritti nella società dei cambiamenti. “I nuovi necessari diritti non sostituiscono affatto quelli antichi perché è un mondo che vive di accumulazioni e non di sostituzioni”.
Interpretare i nuovi bisogni della collettività anche nelle regole non scritte, ma incise nella legge morale a cui non siamo estranei.
Eppure, tanti troppi di questi diritti rischiano di essere oscurati e messi in pericolo, soprattutto se riferiti o riferibili a un genere.
Esattamente come sempre più spesso e non solo nei regimi totalitari, ad essere in pericolo non è solo la funzione di difesa ma l’avvocato in quanto tale, per il solo fatto di aver svolto, con correttezza e rigore il proprio ruolo. Ne è fulgido esempio, tra altri altrettanto ben noti, l’Avvocato siciliano Enzo Fragalà ucciso a bastonate sotto il suo studio oltre dieci anni fa. Solo pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha confermato, in via definitiva, la condanna dei suoi assassini. Fragalà, punito con l’assassinio per il suo costante e forte impegno contro la mafia oltre i processi. Un segnale “punitivo” che la mafia ritenne di dover dare all’Avvocatura.
Anche per questo motivo il Consiglio Nazionale Forense decise all’epoca di costituirsi parte civile, con il patrocinio dell’avv. Antonio De Michele che pubblicamente ringrazio. Minacciata era stata l’intera categoria con il sacrificio del collega che aveva ritenuto di dover svolgere il suo ruolo e la sua funzione ben oltre le carte processuali. La conferma definitiva è stata, pertanto, accolta anche come un giusto e legittimo riconoscimento al valore dell’uomo e del professionista e un altrettanto giusto e legittimo riconoscimento al valore del ruolo e della funzione sociale oltre che di difesa dell’avvocatura.
Avvocatura, sempre più spesso, vittima di minacce perché identificata con le parti assistite. Nella narrazione quotidiana, per la distorta, purtroppo non rara, opinione pubblica, l’avvocato è complice del criminale o peggio difensore non dell’uomo, della persona, bensì del crimine. In altri paesi, non lontani dal nostro, gli avvocati, in quanto difensori di diritti non riconosciuti sono perseguitati, torturati, uccisi, esattamente come chiunque si ribelli al sistema soprattutto se giovani, se donne, e se dimostrano di non voler cavalcare cavalli di legno come testimonia la rivoluzione delle giovani donne iraniane, a cui il Consiglio ha sentito il dovere non solo di manifestare solidarietà ma di essere loro vicino con tutti i pochi ma non per questo vani strumenti a disposizione. In questi casi ad uccidere con altrettanta ferocia è l’indifferenza di cui l’avvocatura non può essere né portatrice, né interprete, anche per non vanificare il sacrificio di chi non ha avuto alcuna esitazione quando ha dovuto scegliere chi essere e cosa fare.
A Questa Avvocatura interprete dell’Essere, nella puntuale e piena declinazione della nostra Costituzione, sento il dovere di dedicare questo inizio dell’anno giudiziario, di fine mandato di questa consiliatura, perché a questi esempi dobbiamo e dovremmo avere l’umiltà di guardare, soprattutto le giovani generazioni, affinché nella ricerca della verità non vinca mai il silenzio mai l’inerzia.
Concludo, auspicando ancora una volta il massimo impegno da parte di noi tutti, vocati al corretto funzionamento della giustizia, per rendere possibile, con una sana e robusta rivoluzione intellettuale, la realizzazione di quella che rischia di diventare un’altra “utopistica visione di comunità”, quella della giurisdizione e garantendo l’impegno dell’avvocatura a concorrere “al consolidamento di un’Italia fondata su pace, libertà e diritti umani.”